Gli economisti, le previsioni e altre amenità
Sembra che in occasione del meeting di Rimini il ministro dell’economia abbia equiparato gli economisti ai maghi “che sbagliano le previsioni e non si scusano nemmeno”. L’affermazione si presterebbe ad interpretazioni malevole che sarebbero del tutto fuor di luogo se riferite ad un collega di partito, ma sembra evidente che obiettivo di Tremonti fosse quello di screditare gli economisti, categoria alla quale non appartiene.
La sua tesi, tuttavia, è del tutto inidonea a conseguire quel risultato, e questo sorvolando sul fatto che non è chiaro a quali economisti né a quali previsioni egli faccia riferimento. Se azzeccare previsioni fosse prova certa di conoscenze sicure ed affidabili, i migliori veterinari dovrebbero invariabilmente indovinare i cavalli vincenti e gli allenatori di calcio fare sistematicamente tredici al totocalcio.
Ma così come un incompetente di calcio o una persona digiuna anche delle minime conoscenze di anatomia equina possono centrare previsioni sulle partite e sulle corse anche un non economista può indovinare un evento economico futuro. Il che ovviamente non prova nulla; è infatti perfettamente possibile effettuare per ragioni sbagliate una previsione che si avvera, oppure per ragioni fondate sbagliare a prevedere il futuro. Sembra un paradosso ma non lo è, come confermato da un celebre precedente storico.
Prima della crisi del 1929 F. Hayek, premio Nobel per le scienze economiche nel 1974, aveva ripetutamente suggerito che una crisi fosse imminente. La sua tesi era basata sulla teoria austriaca del ciclo del credito: la eccessiva espansione del credito rendeva inevitabile una sua drastica contrazione che la ridimensionasse. Questa teoria non ha fondamento logico ed è stata da tempo abbandonata da quasi tutti gli economisti, però Hayek effettuò una previsione fortunata in base ad una teoria sbagliata. Irving Fisher, secondo Friedman il “più grande economista americano della prima metà del XX secolo”, d’altro canto, poco prima del crollo del 1929 si disse convinto che la crescita dei ruggenti anni Venti fosse destinata a continuare.
La previsione di Fisher venne smentita ma la teoria che la aveva ispirata era giusta: se, com’egli era convinto, la banca centrale americana avesse consentito alla quantità di moneta di continuare a crescere, i fatti gli avrebbero dato ragione. Ciò che Fisher non poteva prevedere è che la Fed, tradendo la sua funzione istituzionale, consentì il fallimento di un terzo di tutte le banche americane con conseguente crollo della quantità di moneta in circolazione e crisi gravissima a livello nazionale. Hayek previde giusto per ragioni sbagliate, Fisher sbagliò previsione per ragioni giuste.
In realtà, l’economia checché ne pensino quanti ne sono digiuni è un potente strumento di conoscenza che aiuta a comprendere il mondo in cui viviamo, che si rifiuta di essere semplice come appare agli stolti. Nessun economista degno di questo nome, tanto per fare un esempio, riterrebbe la Yugoslavia di Tito un modello da imitare e si lascerebbe andare a proposte di “partenariato”, cioè di partecipazione dei lavoratori agli utili dell’azienda.
In apparenza una soluzione siffatta sembrerebbe equa e tale da cointeressare i dipendenti al successo dell’impresa. Un istante di riflessione suggerisce che non è così. Per il lavoratore dipendente il suo salario sarà sempre molto più importante degli utili che potrebbero derivargli dalla compartecipazione, e questo per ovvie ragioni quantitative: è perlomeno dubbio che la quota di utili spettanti al lavoratore sia maggiore del suo salario. L’idea, quindi, che coinvolgendolo nella spartizione dei profitti si asterrà dal chiedere aumenti salariali e smetterà di scioperare è priva di senso. Stando così le cose la proposta di associare i lavoratori alla ripartizione dei profitti, che taluno ha pensato bene di resuscitare in questi giorni, è semplicemente assurda. E sorvolo sul fatto che un provvedimento legislativo che la imponesse costituirebbe una prevaricazione ed un aperta violazione del diritto di proprietà.
Gli economisti non sono immuni da torti: molti di loro hanno, in buona o cattiva fede, fornito ai politici i più disparati pretesti per accrescere l’invasione della politica nella nostra vita e sfornato “modelli di sviluppo” che hanno prodotto conseguenze nefaste, ma quelli veri, quelli cioè che sanno l’economia, comprendono il nostro mondo assai meglio degli arroganti dileggiatori della loro scienza.
Antonio Martino
CREDITS: NeoLib

2 Commenti:
La ringrazio per intiresnuyu iformatsiyu
La ringrazio per intiresnuyu iformatsiyu
Posta un commento
Iscriviti a Commenti sul post [Atom]
<< Home page