Destra, destre, Feltri e il futuro
Se Rutelli riscopre la laicità…
di Benedetto Della Vedova da Il Secolo d’Italia del 6 gennaio 2009
Nella sua intervista di ieri al Giornale di Vittorio Feltri, Francesco Rutelli parla di islam e immigrazione, criticando la sinistra e Gianfranco Fini e riscoprendo il valore della laicità grazie all’etsi Deus non daretur di Ugo Grozio, filosofo assai caro a Umberto Bossi, che pure lo citava abbondantemente nelle sue aspre polemiche antipapiste di qualche anno fa. Per parte mia, sono d’accordo che – anche, ma non solo, rispetto al problema islamico – occorra partire da Grozio e dalla sapiente separazione tra religione e politica, grazie a cui l’Europa ha potuto superare le guerre di religione.
Leggendo la bella intervista di Laura Cesaretti, però, è chiaro ciò a cui Rutelli si oppone (la legge sulla cittadinanza Sarubbi-Granata, innanzitutto), ma non lo è altrettanto ciò che in positivo propone. L’idea di ancorare il percorso della cittadinanza ad una sorta di “patente a punti” (dove, però, i punti si perdono e non si acquisiscono, che è cosa assai diversa) potrebbe non divergere troppo dai meccanismi di verifica e di sanzione dell’integrazione degli immigrati, che tutti ritengano necessari ai fini del riconoscimento della cittadinanza.
E sul resto, cosa chiede Rutelli di alternativo, essendo chiaro che non condivide, neppure velatamente, i propositi autolesionisti e velleitari di de-islamizzazione dell’Europa, su cui si esercitano, anche nel nostro paese, i parolai della destra xenofoba e anti-europea?
Anche le comunità islamiche europee sono attraversate dalla tentazione del separatismo civile e della violenza religiosa. Ed è chiaro che oggi, come nei secoli passati, il problema dell’integrazione degli islamici e della convivenza con l’Islam all’interno di società multi-religiose si presenta arduo. Questo problema, che qualcuno ritiene irrisolvibile, è però inevitabile. E l’Italia non può realisticamente pensare di “rispedirlo” al di là del Mediterraneo. In futuro, non saranno comunque di meno, o sempre più vicini allo zero, gli islamici che calcheranno il suolo europeo. Saranno di più, molti di più, a decine e decine di milioni. Quindi, o vinciamo la sfida dell’integrazione, o perdiamo quella della convivenza. Tertium non datur.
Da questo punto di vista, il pessimismo millenarista del professor Sartori sull’immigrazione islamica non aiuta granché il decisore politico, così come non lo soccorre il catastrofismo ambientale e demografico, che ha portato il politologo fiorentino a sposare tesi anti-sviluppiste e anti-nataliste.
Per tornare a Rutelli, penso che il leader di Alleanza per l’Italia non faccia un errore, ma un falso, quando presenta come apertura al multiculturalismo la proposta di rendere più ragionevoli le regole per la cittadinanza, in particolare per coloro che nascono o crescono nel nostro paese. L’ancoraggio dell’integrazione alla lealtà costituzionale è l’esatto contrario di una tolleranza slabbrata e inerte verso fenomeni striscianti di “secessione” di immigrati o di gruppi islamici. La cittadinanza è l’accettazione e l’impegno al rispetto di valori repubblicani, che non conoscono zone franche di alcun tipo, né comunitarie né familiare.
Il Sì alla cittadinanza è l’altra faccia della medaglia che reca, a caratteri cubitali, il no (anche per legge) al burqa come strumento inaccettabile di segregazione ed autosegregazione delle donne. E il Sì alle moschee – cosa sulla quale Rutelli, pur con una qualche reticenza, sembra concordare – è pronunciato per rispetto della libertà religiosa, non per indulgenza verso il fanatismo islamico, essendo peraltro chiaro che solo se si autorizzeranno moschee “ufficiali” l’Islam italiano avrà alternative visibili ai luoghi di culto semiclandestini e paracriminali, che invece i veti leghisti finiscono per rafforzare. La “convivenza repubblicana” è insomma l’opposto del “multiculturalismo”, che nelle esperienze europee più fallimentari è diventato un “multi-comunitarismo”, in cui si è concesso a gruppi sempre più estesi di vivere secondo regole diverse e contrastanti con quelle sancite dalla costituzione e dalle leggi dello stato.
Quanti hanno aperto la discussione sulla cittadinanza cercano di impedire che l’immigrazione diventi una bolla destinata ad esplodere tra un paio di lustri, esattamente come accadde per il debito pubblico, la cui crescita fu per anni trascurata da politici troppo attenti al consenso immediato per comprendere che il bene del Paese richiedeva scelte coraggiose e lungimiranti. Anche sul tema dell’immigrazione, dal nuovo corso di Francesco Rutelli – alla cui evoluzione politica abbiamo sempre guardato con interesse, rispetto e non poco apprezzamento anche da avversari – ci aspettiamo sicuramente di più, nel costruire un futuro che non inizia né finisce con le regionali di primavera.
CREDITS: Libertiamo
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Ma perché Feltri & co. non fondano un'estrema destra?
Trovino il coraggio. Per contarsi davvero, oltre la retorica della "gente"
di Filippo Rossi 7 gennaio 2010
Sapete cosa serve davvero alla destra italiana? Un partito di estrema destra. Di quella vera: xenofoba, populista, stracciona, sempre incazzata, con la bava alla bocca. Dura e pura. Senza tentennamenti. Con gli attributi. Maschilista, reazionaria, brutta e cattiva. Di quella che fa le manifestazioni contro gli immigrati. Di quella che raccatta i falliti della società. Di quella che urla i suoi slogan senza pensare, così per vedere l’effetto che fa. Di quella che, per dirla tutta, avrebbe fatto rabbrividire Giorgio Almirante. Un’estrema destra che si riempie la bocca di parole come nazione, popolo, patria e che le tradisce nella sostanza. Ogni volta che le pronuncia.
Una estrema destra dalla testa rasata. Di quella che nasce nelle osterie. Di quella che alza il braccio. E di quella che odia gli intellettuali, tutti, da qualsiasi parte stanno. Li odia perché è una destra semplice, dozzinale, sciatta. Strumentalmente ignorante. Che fa comizi. Sempre. Un’estrema destra alla Jean-Marie Le Pen, per intenderci. Un’estrema destra che si riconosce come tale, che non ha paura, che non si nasconde, che non fa finta di essere altro. Che non va mai al governo. E che, se ci va, si trasforma subito in qualcos’altro. E comunque, fa paura.
Ecco, questo partito di estrema destra, in Italia, un leader potrebbe già averlo: un giornalista che si diverte a sbaraccare il tavolo da gioco della politica. Si chiama Vittorio Feltri. Capo fazione perfetto. E poi c’avrebbe anche una classe dirigente soddisfatta finalmente dei nuovi ruoli dirigenziali: Marcello Veneziani, Daniela Santanchè e tanti altri... Gente con una certezza sempre in tasca. Con un nemico sempre pronto all’uso.
Sarebbe la soluzione per tutti. Perché adesso questo leader con un giornale senza partito si sfoga pretendendo, metastasi maligna, che il Pdl, movimento nato moderato, liberale ed europeo, si trasformi in quel che non potrà mai essere. Una pretesa senza senso e senza futuro. Se vogliono, lo fondino questo bel partito di estrema destra. E, a quel punto, si contino davvero nel paese, facendola finita con la retorica della gente. Con la retorica di quel che vuole il popolo.
Quel che non si capisce, però, onestamente, è come sia possibile che leader politici di lungo corso e di tradizione consolidata come, giusto per fare qualche nome, Giulio Tremonti, Claudio Scajola, Franco Frattini, accettino ancora tutto questo. Accettino senza fiatare che un caudillo detti la linea di un grande partito europeo. Accettino di mandare al macero una possibilità, un’opportunità storica: quella di costruire, finalmente, anche in Italia, una destra sana, colta, moderata. Come loro. Una destra capace di parlare al paese, a tutto il paese. E non solo a una rumorosa minoranza di incazzati.
CREDITS: FFWebMagazine

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