Non mettiamo il burqa all’Islam
Ferve in molti Paesi la discussione sul “velo” islamico. I musulmani sono numerosi ed il dibattito sull’Islam è ingombrante, foriero di sicuri conflitti. Se il dibattito sul “velo” ha portato ad interventi statali che lo hanno interdetto nella scuola pubblica (Svizzera, Francia) ed ai funzionari pubblici (Svizzera, Germania), la questione del “velo integrale” ripropone, in tutta la sua problematicità, la questione del rapporto fra l’Europa e l’Islam.
Al fine di non tediare i lettori, tendo subito a precisare di essere favorevole ad una norma che, in Italia, vieti il velo integrale, non per manie persecutorie nei confronti degli amici musulmani, o per una particolare predilezione nei confronti della laïcité statalista alla francese, ma soltanto perché, a mio avviso, non dovrebbe rientrare fra i giustificati motivi previsti come eccezione dalla legge 22 maggio 1975 n. 152 (divieto di “uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico”) quello dovuto alla circostanza “culturale” o “religiosa”. Sarebbe bene in questo caso intervenire per legge, senza lasciare un ampio margine di discrezionalità all’interprete in merito alla clausola del giustificato motivo. Qualsiasi misura dovrebbe comunque rispettare i principi costituzionali ed europei che proteggono la libertà religiosa degli individui.
Detto questo, credo che il dibattito cui stiamo assistendo si concentri sui dettagli senza badare alla questione principale. Prima di passare all’analisi ripercorriamo per sommi capi le vicende di ieri alla luce del dibattito europeo.
Le raccomandazioni della commissione francese sono ormai note a tutti: si suggerisce di vietare il velo integrale in tutte le scuole, gli ospedali, i trasporti pubblici e gli uffici statali. Il burqa, dice il rapporto della commissione, “offende i valori della Repubblica”. Ovviamente sono partite subito le polemiche. Le Monde ha organizzato nel pomeriggio un dibattito online con Mohamed Colin, direttore di Saphirnews.com. Sono così emersi tutti i dubbi ed i problemi che gravitano attorno all’iniziativa francese. Secondo Colin le donne che indossano il burqa, se sono già in situazione di emarginazione, non usciranno sicuramente più rafforzate da questa legge, che probabilmente le indurrà a restare in casa. Oltretutto la decisione sembra indirizzarsi contro una specifica comunità. Rispetto alla fonte dell’obbligo di indossare il burqa o il niqab si è evidenziato come non esista una prescrizione religiosa in tal senso, ma si tratta di un’interpretazione data in alcuni paesi come l’Afghanistan e l’Arabia Saudita, ma ad esempio estranea all’Islam magrebino.
Sbaglieremmo a considerare la questione soltanto come meramente francese. Il dibattito imperversa in tutta Europa. Il governo inglese ha addirittura risposto sul sito ufficiale ad una petizione presentata da 2370 cittadini inglesi dichiarando di non voler seguire la linea francese. Anche l’Economist, Bibbia per molti liberali, ha avanzato molti dubbi sull’iniziativa francese. Si discute, e molto, anche in Olanda, in Danimarca, in Austria ed in Belgio.
E a casa nostra? Non sono mancate anche da noi le reazioni rispetto all’iniziativa francese. La Lega esulta, il PD reagisce in ordine sparso, all’interno del PDL le posizioni non sembrano univoche. Mi preme segnalare che in Parlamento sono state già depositate delle proposte di legge che mirano ad introdurre il divieto di “velo integrale” e che, nel mese di novembre, la Commissione Affari Costituzionali ha già tenuto le prime audizioni, per cui il dibattito è destinato a riaccendersi nei prossimi mesi.
E Libertiamo? Non credo di dire nulla di sconvolgente affermando che, nelle scorse settimane, Libertiamo ha più volte tentato di aprire una breccia nel muro di silenzio che la Lega Nord ha fatto calare, ormai da tempo, sul dibattito concernente i rapporti fra le comunità islamiche e la società italiana (certo, anche alcune comunità islamiche non sono state particolarmente collaborative negli anni scorsi). Contatti con esponenti ministeriali avevano confermato interesse per alcune piccole, e certo non decisive, proposte che Libertiamo aveva sviluppato per affrontare le tematiche dell’integrazione guardando ad essa non sono dalla prospettiva della sicurezza e della repressione, ma anche da quella dell’integrazione e del rispetto dei valori fondamentali della Repubblica.
Purtroppo, il dibattito pubblico appare al momento appaltato alla Lega che, se da un lato martella con facili slogan, dall’altro – nell’assenza di una legge generale – s’incunea a macchia di leopardo con i provvedimenti amministrativi dei sindaci. Grazie a titoloni, interviste, talk show, l’opinione pubblica si forma e si sedimenta: resta sul fondo una sensazione di intolleranza diffusa pronta a riemergere al prossimo sussulto o al prossimo straniero da prendere a calci.
Si può decidere di mettere il burqa sull’Islam. Di far finta che il problema non esista.
D’altronde la botte non può dare che il vino che ha, ma un dibattito sull’opportunità di vietare il burqa non può esser usato come diversivo per evitare di affrontare l’argomento più importante ovvero quello che riguarda i rapporti fra le comunità islamiche e lo Stato italiano. Lo abbiamo già scritto: urge una politica religiosa. Urge adesso.
Pasquale Annicchino - Nato a Maratea (PZ) il 13 Dicembre 1982, vive a Siena. E’ dottorando di ricerca in Jus Publicum Europaeum presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università degli studi di Siena. Presso la stessa università è anche junior fellow nell’ambito del Law and Religion Programme coordinato dal Prof. Marco Ventura. Fa parte dell’Organizing Committee della International Summer School in Law and Religion.
CREDITS: Libertiamo

1 Commenti:
Sempre molto apprezzabili i tuoi interventi, caro Federico. Positivi perchè fanno pensare (merce assai rara di questi barbari e rimbambiti tempi) e lodevoli perchè vanno controcorrente. Entrambi i poli opposti sono negativi: chiuderci nel reticolato del proprio orticello (concettuale,vivere sulle paure (dati concreti:quanti terroristi berberi/arabi hanno compiuto attentati in Italia?cfrcon la più grande organizzazione terroristica europea, cioè Cosa Nostra?)ma anche relativizzare tutto:azzerare identità culture, valori, storie per mere logiche economiche e di real politik(affaire Turchia/ex impero Ottomano in Europa solo per una logica monetaria lobbystica..). entrambe le logiche (chiusura concettuale/relativismo-annullamento identitario)sono negative per una efficace relazionalità. come un "sistema aperto"bisogna agire stabilendo dei ponti(mentali ed ideologici) di rispetto e schietto confronto con l'altro evitando di perdere la memoria di chi siamo stati e da dove veniamo.
se ci troviamo in questa confusionaria e paurosa situazione è perchè, prima di "loro", dobbiamo guarda al "noi":solo chi non si riconosce, chi non sa chi è stato e dove deve andare vive in uno stato transitorio, mai definito nè determinato di quotidiana e costante paura e titubanza. occorre fare in primis una pulizia concettuale al nostro interno, chiederci cosa vogliamo dimostrare, a che punto siamo arrivati nel definire la nostra identità storico e sociale. solo riconoscendo e valorizzando (positivamente)le nostre identità ed i nostri valori, solo riconoscendoci, potremmo valorizzare anche il dialogo ed il confronto con gli altri (perlomeno con chi ci sta al cfr).
Insomma..non sto certo pensando ad imperi di mezze lune terzomondiste/relativiste/veltroniane pseudo islamiche ne a comunità teutoniche (così in voga specie nelel nostre regioni..)un augurio di buon impero austro-ungarico non sarebbe malvagio:dove il Kaiser (così spregiudicato,rozzo e cattivo come lo descrivono criminali libri di storia)era l'emblema dell'identità statuaria e si sponsorizzavano esplicitamente valori,cultura,tradizioni della dinastia Asburgica ma al contempo, all'interno della ragnatela europea della Felix Austria, vivevano in armonia decine di etnie,culture,valori,usi e costumi ma tutti erano uniti e si rispecchiavano nel nome della casa regnante e del suolo vIENNESE.
Realizzare una dignitosa "Felix"Italia è davvero una chimera?
Paolo
Paolo
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