martedì 19 gennaio 2010

Questa è la mia Destra...

Ecco, dal WebMagazine di Fare Futuro, alcuni interessanti spunti sulla Destra, dove sbaglia, e come migliorarla...



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Tutto sta nel definire cosa sia, questa destra. Per noi è aperta, laica e umana

Caro Gasparri, ecco perché siamo a destra anche noi



di Filippo Rossi




Maurizio Gasparri, in un’intervista pubblicata oggi sul Riformista, si domanda se noi di Ffwebmagazine siamo abbastanza “di destra”. Almeno, dice, se siamo di destra quanto lui. E allora, premesso che – come sa chi ci legge – cerchiamo, quando è possibile, di ragionare oltre di una categorizzazione politica che si delinea ancora sulle fratture novecentesche, proviamo a rispondere. Dicendo innanzitutto che, tanto per chiarire le cose, noi siamo e ci sentiamo pienamente “a destra”.



Certo, tutto sta a definire cosa sia questa “destra”. Calando nella realtà una parola astratta, declinando nella concretezza del tempo e dello spazio quella che è solo un’etichetta. Ebbene, la nostra destra parte dalla centralità dell’individuo. Dalla dignità della persona, dal rispetto della sua sfera di autonomia, di autodeterminazione, di libertà. Che sia libertà dai dogmi imposti, da uno Stato padrone, dal pensiero unico. E, per forza di cose se si crede nella libertà dell’individuo, si deve credere e praticare il rispetto delle differenze. Come in un mosaico, policromatico ma allo stesso tempo armonico, che non annulla le diversità ma le inserisce in un contesto, unitario e molteplice allo stesso tempo.



La nostra destra crede in una politica “prospettica”: una politica fatta di “visione”, che guarda al futuro, immaginandolo e costruendolo. Una destra “eroica”, e una politica che non si trinceri in un eterno presente fatto di paura e di difesa, che non si nutra di perpetue emergenze, che non si serva dei “valori” e delle “identità” come fossero vessilli da sbandierare per spaventare presunti nemici. E allora questa destra non può che essere “aperta”, umana. Caritatevole, per usare una bella parola che viene dal lessico cristiano.



La nostra destra crede nel principio della “laicità”. Serena, positiva e non battagliera, certo. Ma sempre e comunque laicità. E non solo quando si parla di rapporti tra fede e politica. Ma anche quando laicità significa obiettività e flessibilità di giudizio: crediamo in una destra, per capirci, che non si lancia nella difesa “a prescindere” di un poliziotto che sbaglia.



La nostra destra crede anche nella pacatezza. Intanto, perché quando si hanno idee non c’è bisogno di gridare. E poi perché la responsabilità (parola che fa senza dubbio parte del bagaglio politico e culturale della destra) implica la moderazione e la ricerca del dialogo. Perché parlare con l’“avversario”, quando c’è da disegnare il futuro del paese, non vuol dire cedere all’inciucio, tradire o svendere le proprie convinzioni. Vuol dire, semplicemente, avere a cuore il destino di una nazione: una destra che sia davvero patriottica, insomma.



E la nostra destra crede ancora – per quanto demodé ciò possa sembrare – nella moralità. Una moralità vera e praticata quotidianamente, fatta di buon gusto e di buon senso, di etica e di decoro. Attenzione, niente a che vedere con quei fumosi “valori” declamati alla bisogna, e agitati come un corpo contundente da chi, alle volte, li calpesta per primo.



Si potrebbe continuare ancora. Ma sono questi, in sostanza, i cardini su cui impostiamo questa nostra destra. E pazienza se per qualcuno non è “destra” abbastanza. A noi basta, e piace, così.



19 gennaio 2010



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C'è il rischio che il sogno di un partito liberale di massa diventi un ricordo "Nessun nemico a destra!".

E così il Pdl rinnega se stesso



di Filippo Rossi




Nessun nemico a destra, sembra essere questa la nuova, perversa, vulgata di un partito che dovrebbe essere maggioritario, che dovrebbe essere equilibrato, che dovrebbe essere liberale. Solo così, infatti, si possono capire gli infiniti sbracamenti psicologici e ideali verso un’idea del fare politica estrema, chiusa, arrabbiata. Verso una politica che si riempie la bocca di popolo ma che in realtà pensa sempre a qualche fazione.



Niente nomi, oggi. Non ce n’è bisogno. Chi vuole capire capisca. È purtroppo evidente, però, che il sogno di un grande partito liberale di massa, di questo passo, rischierà di diventare un ricordo. O, peggio ancora, di tramutarsi nell’incubo di un grande partito estremista di massa. Un partito che invece di parlare a tutti, trasversalmente, con orgoglio, si riduce a lanciare slogan “duri e puri” nella convinzione che sia questo quello che vuole la gente. Un partito che sale sulle barricate convinto di avere tutto un “popolo” – battagliero e fremente – alle spalle.



Ma è una convinzione appesa nel vuoto, perché anche i sondaggi, se ben interpretati, dicono in realtà l’esatto contrario: dicono che la maggioranza assoluta degli italiani non ne può più di una politica urlata e arroccata nel ridotto psicologico di fortini e trincee che sono solo nella testa di qualche leaderino senza seguito.



Eppure la cultura e l’azione politica di troppi esponenti del Pdl sembra ormai tutta destinata a rincorrere pulsioni e istinti che in qualsiasi altro paese occidentale sarebbero, semplicemente, di “estrema destra”: xenofobia, semplificazione quasi barbarica, dogmatismo retorico, rappresentanza di minoranze arrabbiate, localismi di ogni genere, qualunquismo…



Ma un Pdl di tal fatta, in realtà, organizza, e senza neanche rendersene conto, il suo lento suicidio politico. Perché abdica al suo destino di grande partito della nazione e degli italiani. Di grande partito in cui tutti possono riconoscersi e di cui tutti possono fidarsi. Rinuncia – per miopia di molti e forse calcolo di qualcuno – a una missione storica, perde l’occasione di fare una rivoluzione benefica. Una rivoluzione necessaria, per il centrodestra italiano e per tutto il paese.



18 gennaio 2010



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Diagnosi pre-impianto: c'è anche chi arriva a parlare di deriva eugenetica...

Quanto non ci piace la "destra paternalista"



di Sofia Ventura




Una sentenza del Tribunale di Salerno ha autorizzato una coppia fertile, ma portatrice sana di una grave malattia genetica che condanna il neonato a una vita brevissima (circa un anno) e di dolore, a ricorrere alla diagnosi pre-impianto (diagnosi che era possibile prima dell’approvazione della restrittiva e in parte incostituzionale legge 40 del 2004), nella speranza di dare alla luce un figlio sano. Questo avvenimento ci ha fornito una volta di più l’occasione per capire la differenza tra una destra liberale, laica e pragmatica – la destra che vorremmo, simile a quelle che già esistono in Europa – e una destra antimodernista, tradizionalista e ideologica – quella che non vorremmo e che rischia di fare di noi una triste eccezione tra le democrazie europee.



A illuminarci è la reazione del sottosegretario al ministero della Salute, onorevole Eugenia Roccella, alla sentenza di cui sopra. Roccella difende il divieto alla diagnosi pre-impianto evocando lo spettro dell’eugenetica. Un comportamento individuale considerato legittimo dal senso comune – evitare di dare alla luce un bambino condannato a una vita tanto breve quanto contrassegnata dalla sofferenza – è assimilato a piani di manipolazione dell’essere umano su larga scala, allo scopo di delegittimare il primo attribuendogli tutta la mostruosità dei secondi. In altre parole, si prefigurano scenari inquietanti e terrorizzanti per liquidare sbrigativamente la modernità e difendere una politica paternalistica attraverso la quale si vuole imporre un proprio modello di società. Intendiamoci, è chiaro che come esseri umani abbiamo il dovere di riflettere sui limiti che dobbiamo porre a noi stessi nell’uso delle applicazioni della scienza. Ciò, però, non può che avvenire partendo dalle nostre sensibilità, profonde e condivise, non da una ideologia imposta dall’alto.



Ingannevole è anche il continuo ricorso ai concetti del “diritto alla maternità” e del “diritto al figlio sano”, diritti che si ritiene da parte di Roccella e di quanti condividono le sue posizioni non esistenti. Si può convenire sul fatto che essi, in effetti, come diritti soggettivi non esistano. Ma ciò che in un contesto liberale e non autoritario dovrebbe essere riconosciuto, non è il “diritto”, bensì la “libertà” di fare ricorso alle applicazioni della scienza per potere condurre, per sé e i propri cari, ciò che si ritiene essere, soggettivamente, una vita più dignitosa.



L’ideologia uccide la libertà e una grande forza politica di destra che si piega alle logiche della prima e attraverso il potere politico tenta di imporre un modello teorico di “buona società” non può che umiliare la seconda. E non ci stancheremo mai di ripeterlo.



18 gennaio 2010

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