Benedetto (Bettino) Craxi_19 gennaio 2000 - 19 gennaio 2010
Avevo circa dieci anni, qdo scoppiò Tangentopoli.
Ero poco più ke un bambinetto, ma già ero curioso di sapere quello ke accadeva, attento al mondo ke mi circondava.
Ricordo che sarà stato circa un anno prima qdo ho sentito x la prima volta un "discorso di politica"; mio padre, uomo di quella destra "mistica" più solstizi ke particole, più Tolkien ke Del Noce, discerneva del nuovo "fenomeno del cambiamento", la Lega Nord.
Era quella Lega che durò fino al ribaltone del '94 - '95, quella federalista, liberista e filoamericana. Tutto il contrario di adesso, insomma...
In TV, ricordo i TG di Fininvest/Mediaset cavalcare l'onda del "cambiamento". Ricordo Mentana bava alla bocca e Brosio ke praticamente viveva davanti al Palazzo di Giustizia di Milano, pronto a scattare sull'attenti ad un cenno di Fede (memorabile qdo il Di Pietro simpatico guascone di allora gli passa in fianco, nn proferisce parola, e gli frega un block notes...).
Tutti gridavano "ladri, ladri", uscivano leggende e barzellette di tutti i tipi sui politici, specie su Craxi e i socialisti.
Il "mondo tutt'intorno" ti "costringeva" a tifare x il Pool, a odiare Craxi e ad essere schifato dal "sistema".
Venne Amato e il suo decreto bocciato x volontà di Borrelli, Davigo, ecc., le dimissioni, il primo governo tecnico della storia repubblicana (presieduto dall'allora Governatore della Banca d'Italia, Carlo Azeglio Ciampi), le elezioni col Mattarellum, la "gioisa macchina da guerra" di Occhetto, la "discesa in campo" di Berlusconi e la Seconda Repubblica che non è ke abbia gettato via il bambino con l'acqua sporca. Ha getto solo il bambino...
Gli anni passavano anke x me, ovviamente (e tristemente...hihi).
Cominciarono a venir fuori gli "scheletri nell'armadio" di Di Pietro, che poi si butta in politica, cominci a vedere ke "ma perchè se rubavano tutti, vanno in galera solo certi?!".
I giudici diventano nemico di chi li ha "cavalcati" o ispirati, e magari amico di chi li temeva.
Nel frattempo il "capro espiatorio" è andato via...
Si è autoesiliato ad Hammamet, x qualcuno portandosi dietro anke una fontana di Milano abbandonata invece in un magazzino.
Lì, nonostante provi a dire la sua, finisce praticamente nel dimenticatoio, nonostante, x quello ke ha rappresentato, sia una persona storiograficamente e giornalisticamente interessante. Oltre ovviamente al fatto ke sarebbe nn trascurabile sentire la sua versione dei fatti.
Perchè, dato ke quello ke disse alla Camera il 3 luglio del 1992 era la Verità, se tutto "rubavano" e tutti lo sapevano, magari anke lui aveva una sua tesi e degli elementi x spiegare cm mai la cosa è venuta fuori solo in quel momento (e perchè proprio in quello?!?) e perchè ha colpito solo alcuni.
Il ke, si badi bene, nn sminuisce gli errori di Craxi, ma se nn altro gli restituirebbe quella dignità ke dire calpestata è poco.
Per il resto, a suo merito parlano la sua grande azione politica di stampo riformatore, dal "decreto sulla scala mobile", agli euromissili, al "caso Sigonella". C'è tanto altro, ma già questo basterebbe x far invidia a QUALUNQUE premier venuto dopo di lui, e a TANTI ke l'hanno preceduto.
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La storia di Craxi ha tanti capitoli, che non meritano un uguale giudizio
Dalla vittoria del Midas alla sera delle monetine al Raphael, la parabola del craxismo non ha seguito un’unica traiettoria ed è stato un insieme complesso di azzardi e di paure, di rotture e di suture, di spirito riformista e di opposizione al cambiamento, di modernizzazione culturale e di affermazione di un “primato della politica” concepito secondo categorie ottocentesche, di idiosincrasia per il conformismo politico-costituzionale di stampo “resistenziale” e di incapacità di concepire la politica italiana fuori dallo schema dei grandi partiti consegnati alla storia italiana dalle vicende del dopoguerra.
Craxi ha giocato molte e diverse partite e i vari capitoli della sua storia politica non meritano un uguale giudizio.
E’ stato un leader socialista capace di affrancare il PSI dalla subalternità culturale e strategica al PCI, in un paese in cui molta parte della sinistra liberale e post-azionista continuava a ritenere ingiustificata la discriminazione di questa forza politica non solo democratica, ma – come si diceva – “costitutiva” della democrazia italiana.
Dal 1976 al decreto di San Valentino e anche oltre, lo schema dell’“alternativa di sinistra” è stato soppiantato da quello della “alternativa a sinistra”, che il socialismo craxiano ha imposto come terreno di scontro all’interno del fronte progressista. Da questo punto di vista, Craxi ha sdoganato gli spiriti animali dell’iniziativa privata e lo spirito anticonformista dell’individualismo liberale in una sinistra che, anche nelle sue componenti socialiste, rimaneva ancorata alla rigidità del collettivismo marxista e del perbenismo dottrinario.
Questo Craxi, compreso tra la conquista del partito e la prima fase dell’azione di governo come Presidente del Consiglio, è stato probabilmente quello “migliore”, in una prospettiva liberale e riformatrice. Se aveva visto con chiarezza che i socialisti non potevano rimanere truppe di complemento del PCI, mentre in tutta Europa stava per entrare in crisi lo stesso paradigma social-democratico e per prendere avvio la stagione delle rivoluzioni conservatrici, Craxi non è stato altrettanto acuto nel prevedere le conseguenze rovinose che il modello partitocratico, sia pure disancorato dal bipartitismo imperfetto DC/PCI e dalla logica consociativa, avrebbero comportato per la società italiana e per lo stesso sistema politico.
Il sistema che Craxi ha difeso fino all’ultimo (prima contro gli oppositori della deriva oligarchica del Caf, poi contro i referendum, infine contro gli homini novi dell’autoproclamata “società civile”) all’inizio degli anni ’90 non era più un “argine democratico” al PCI. La sua immagine era divenuta assai meno lusinghiera, anche presso settori di elettorato che, in mancanza di alternative, continuavano inerzialmente a votare per i partiti di governo (ed è accaduto fino al ‘92, pochi istanti prima del crollo).
L’immagine dell’Italia politica, che era stata dalla parte giusta del Muro di Berlino e non se l’era visto crollare addosso, era stata lentamente consumata: finì per strapparsi quando la bancarotta finanziaria del Paese, seppellito da una montagna di debito pubblico accumulato per comprare consenso e pagare la manutenzione della macchina partitocratica, e la degradante condizione di illegalità in cui era caduta l’amministrazione pubblica, divennero per larghissima parte dell’elettorato costi insostenibili e soprattutto inutili.
Così prima se ne andò il Nord, seguendo i pifferai della Lega, e quindi l’intero Paese, trovando i partiti di governo disarmati e inermi (e il PSI più degli altri), alle prese con i conti che la storia riversava loro addosso e con la stessa “giustizia ingiusta” che, dopo avere bivaccato per decenni alla mensa del re democristiano, era più che disponibile ad intronare i rappresentanti del popolo ex comunista.
Il corso degli eventi compresi tra la fine degli anni ‘90 e il 1993 non consente però di sostenere che la fine della Prima Repubblica abbia avuto un’origine giustizialista e che l’ipotesi “cospirazionista” sia quella confermata dalle più solide prove storiche. L’Europa, i mercati finanziari, i partners internazionali dell’Italia stavano per suonare la fine della ricreazione. E gli elettori avevano già lanciato il primo avvertimento, plebiscitando nel 1991 un referendum, quello sulla preferenza unica, che andava inteso come un’esplicita messa in mora del sistema politico, mentre i maggiorenti della partitocrazia italiana lo intesero invece come un’intemperanza senza conseguenze.
Quando Craxi, nell’aprile del 1993, si alzò in Parlamento a difendere orgogliosamente il sistema dei partiti e ad ammettere i finanziamenti illegali come pratica diffusa e comune, sfidando i colleghi a dissociarsi dalla chiamata di correo, la Prima Repubblica era già morta. Non per mano di Di Pietro e delle consorterie politico-giudiziarie che intendevano lucrare su questa morte (anche se a guadagnare lo scettro del comando fu il più craxiano e il più nuovo di tutti, Berlusconi). La bolla del consenso era scoppiata e nel listino della borsa politica italiana, i titoli dei partiti del primo cinquantennio repubblicano erano in caduta libera.
Craxi fu certamente il capro espiatorio di un sistema politico sbandato, che si piegò un culto ideologico della legalità dopo avere coltivato, in tutte le sue componenti, una pratica spregiudicata dell’illegalità. Ma, altrettanto certamente, “tangentopoli” non fu un’invenzione delle procure, né un’espressione tutto sommato fisiologica della costituzione materiale del Paese.
Il rischio è che oggi si onori la memoria di Craxi come se n’era, da ultimo, maledetta la persona in vita, senza misura e senza senso della realtà. Non mi sembra onesto, ma forse è inevitabile, quando si imbastiscono questi imbarazzanti processi postumi, per riscattare la figura di un politico, che un processo uguale e contrario aveva condannato da vivo alla damnatio memoriae.
Carmelo Palma - 41 anni, torinese, laureato in filosofia, pubblicista. E' stato dirigente politico radicale, consigliere comunale di Torino e regionale del Piemonte. Tra i fondatori dei Riformatori Liberali. Direttore dell’Associazione Libertiamo e di www.libertiamo.it
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Craxi, i nodi irrisolti e i tabù della politica italiana
Non so quale giudizio gli storici, tra molti anni, daranno della complessa vicenda di Mani Pulite, delle cause scatenanti la fine della cosiddetta Prima Repubblica, dell’incidenza che, su questa fine, ebbe la corruzione diffusa e dei rapporti tra politica e magistratura negli anni ’90. Non lo so e non credo nessuno lo possa sapere, perché quegli eventi appartengono ancora al presente.
Quello di cui però sono certo è che la figura di Bettino Craxi verrà collocata, nella storia di questo paese, in un orizzonte che travalica di gran lunga quel periodo. Per due ragioni. La prima, più ovvia, riguarda il significato “di sistema” di alcune scelte politiche: la rottura dell’asse DC-PCI, la scala mobile, il Concordato, la responsabilità civile dei giudici, le scelte in materia radiotelevisiva, la politica europea e quella internazionale. La seconda ragione è meno ovvia, ma altrettanto importante, perché la rilevanza “storica” di una politica non consiste solo nei risultati ottenuti (che certo debbono esserci), ma anche nella capacità di mettere a fuoco dei nodi strutturali del vita politica nazionale, scoperchiando alcuni tabù e suscitando degli interrogativi “epocali” che rimangono consegnati anche ai successori.
Nel caso di Craxi i nodi strutturali sono tre e sono tutti, ancora, estremamente attuali.
Il primo riguarda la questione della della c.d. governabilità e dell’ammodernamento istituzionale. Questione imposta concretamente all’attenzione politica, e non solo accademica o pubblicistica, proprio dall’iniziativa socialista alla fine degli anni ’70.
La seconda questione riguarda il profilo politico della sinistra in Italia. La sua identità, i suoi metodi, le sue visioni. Su questo terreno la triste vicenda del PD dimostra che ancora molta strada dev’essere fatta. E, forse, non solo di aggiustamenti si tratta. Nel confronto tra Psi e Pci negli anni ottanta e nei primi anni novanta si condensano tutti i nodi irrisolti della costruzione di un’area riformatrice (?), progressista (?) socialdemocratica (?). Anche le parole sono ormai consumate.
Certo fa molto effetto vedere nelle immagini di repertorio, più di vent’anni fa, Craxi che incontra due giovani leader del PCI di allora: Massimo D’Alema e Walter Veltroni. O leggere nell’autobiografia politica di Giorgio Napolitano l’amarezza con la quale egli ricorda gli attacchi subiti da Gerardo Chiaromonte ad opera di quello stesso D’Alema sull’Unità per il solo fatto di aver dialogato con il PSI. Segno di divisioni profonde, culturali, politiche, ideologiche. Dell’eterna alternativa tra riformismo e massimalismo, tra idealismo e pragmatismo. Come non pensare alla scelta di Veltroni che, nelle elezioni del 2008, dice sì a Di Pietro e no ai socialisti?
La terza questione irrisolta è quella della cultura del conflitto propria di una democrazia dell’alternanza. Anche su questo i problemi sono ancora davanti a noi. La strategia craxiana ha rotto, provocatoriamente, anche molto provocatoriamente, un certo clima unanimista che affonda le sue radici lontane nella cultura ciellenista e che transita nella storia italiana lungo tutti i decenni. L’idea della convergenza tra culture nel patto nazionale e nella progressiva inclusione di tutti nella vita dello stato. Mito straordinario e importantissimo, ma che può avere senso come mito fondativo, non come idea del governo quotidiano.
Questa difficoltà di conciliare l’unità sui fondamenti della convivenza con una sana cultura della competizione tra proposte politiche contingenti è il grande, enorme macigno che ci separa, pur dopo tanti progressi, dalla normalità delle democrazie mature. E non si può dubitare che la leadership craxiana abbia, con tutte le contraddizioni, sollevato per prima il tema dell’alternanza e della rottura consociativa, tema che Aldo Moro non era riuscito ad affrontare compiutamente perché la sua “terza fase” (come dimostra l’intervista postuma a Scalfari su Repubblica nel 1978) rimase allo stato di progetto irrealizzato e appena abbozzato a causa della tragica morte.
Piuttosto che cimentarsi in giudizi storici che non competono loro, credo gli attuali protagonisti della vita pubblica potrebbero rendere un sincero e adulto omaggio alla vicenda politica di Bettino Craxi, ripartendo da qui. Dalle stesse parole di Napolitano: “La considerazione complessiva della sua figura di leader politico (…) Non può dunque venir sacrificata al solo discorso sulle responsabilità sanzionate per via giudiziaria”. “Il nostro Stato democratico non può consentirsi distorsioni e rimozioni del genere”.
L’auspicio è dunque che non si rimuovano e che si affrontino quei nodi irrisolti, strutturali, antichi, che anche Craxi (dopo altri) ha prepotentemente imposto all’agenda politica, non solo della nostra cronaca, ma anche della nostra storia.
Giovanni Guzzetta - Nato a Messina nel 1966, è un costituzionalista italiano. Presidente nazionale della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana) dal 1987 al 1990, attualmente è professore ordinario di Istituzioni di Diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma "Tor Vergata", nonché titolare della cattedra Jean Monnet in Costitutional Trends in European Integration nel medesimo ateneo. Presidente del comitato promotore dei referendum costituzionali, ha elaborato gli attuali quesiti referendari ed è stato, nel 1993, l'ideatore, insieme a Serio Galeotti, dei quesiti per il referendum sulla legge elettorale. È coautore di un manuale di diritto pubblico italiano ed europeo, nonché autore di diverse monografie.
CREDITS: Libertiamo
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A Bettino Craxi, che ha abbattuto muri senza guerre
di Sergio Talamo
Oggi che sono 10 anni, oggi Bettino voglio raccontarti di una sera romana di pochi giorni fa. Lo sai com’è Roma, no? Certe volte, tra la gente e i tavolini, tra i monumenti e un freddo dolce da alzarsi il bavero, c’è un’aria elettrica, un’emozione senza nome. È il 14 gennaio, e al cinema Capranica va una stranissima prima: il film Benedetto Craxi. In pratica sei tu che per un’ora ritorni in Italia. Tu che per vent’anni sei stato vietato ai minori, oggi torni e ricordi, sorridi e poi piangi senza lacrime.
Quando te ne andasti, il 19 gennaio 2000, eri solo. Oggi per rivederti ci sono tutti. Hanno nel viso e sui capelli 20 anni di più, ma gli occhi sono i loro. De Michelis e Martelli, Signorile e Cicchitto, Dell’Unto, Marzo e mille altri che con te diedero anima e nervi alla Prima Repubblica. In prima fila c’è anche tuo figlio Bobo, uno che era gentile anche quando il potere ce l’aveva, e che oggi sembra ringraziare tutti per essere venuti alla festa del padre. In giro anche molti nomi dell’oggi. Pierferdinando Casini, che mai cedette alla demagogia del nuovismo, Italo Bocchino che davvero si sente fra amici, i ciuffi liberi di Sgarbi e Barbareschi, il sacrilego Minzolini che dice in tv quello che da anni tutti sanno.
Gli ex big del Psi si salutano con affetto sincero: pacche sulle spalle, sguardi che si aprono e si scaldano. Ma è solo un attimo. E sai perché, Bettino? Perché non c’è un domani. Non hanno più nessun appuntamento da darsi. Hanno perso, e ancora non hanno ben capito perché.
Hanno perso, e abbiamo perso anche noi che non c’entravamo niente perché non abbiamo neppure giocato. Noi ex giovani, intendo. Mentre al microfono va Luca Josi, e sfodera il suo stile sobrio e sarcastico e la rabbia di chi ti ha voluto bene senza fronzoli, penso che questa assemblea doveva avvenire 15 anni fa. Era allora che i capi di un partito che stava crollando avrebbero dovuto avere il coraggio e l’umiltà di ascoltare chi aveva 30 e 20 anni. Dovevano ascoltare, e poi accettare di ringiovanire e rilanciare un partito che valeva più delle loro persone. Non lo fecero, non l’hanno fatto mai. Ascoltano ora che è tardi, ora che è inutile.
Quando Luca era segretario dei giovani socialisti, io ero il presidente e il capo dell’altra parte, quella che stava con Signorile e poi anche con Martelli. Credevo (lo credo ancora) che tu, Segretario, stessi sbagliando politica, che non sentissi i nuovi fermenti nel paese, che sottovalutassi il degrado del partito, che cercassi nella Dc quello che non aveva più. Ma e io Luca avevamo la stessa passione, la stessa illusione. Eravamo una generazione che ci provava, che non ebbe spazio, soprattutto non ebbe tempo. Poi, quando si scoprì che contro Craxi e il Psi non c’era lotta politica ma guerra di distruzione, ognuno di noi dovette scegliere fra la convenienza e la coerenza. Oggi sono contento di ascoltare Josi, perché parla anche a nome nostro.
Ecco, la luce si spegne. Arrivi tu. Racconti la storia di un ragazzo che amava la spiritualità, voleva farsi prete e poi convertì questa pulsione nella febbre politica. I primi passi nel socialismo milanese, i carri armati russi del 1956 e la scelta di vita: noi di qua, i comunisti di là. Con Nenni in minoranza, a temprare il cammino di uno che vincerà perché non vuole vincere subito; perché vede lontano. Cambia scena, ed eccoti sotto un grande albero tunisino. Occhi persi sul sole che tramonta e la tua voce: «Da piccoli le mangiavamo, le carrube». In sala un fremito, forse perché si coglie come avevano ridotto il capo dei socialisti, il presidente del consiglio di tante vittorie: a parlare di carrube.
La tua gioventù. I fiori sulle tombe dei partigiani milanesi. I fiori anche a piazzale Loreto, dove la democrazia appena rinata si macchiò dell’infamia di Benito, Claretta e gli altri a testa in giù. E la tua rabbia, la tua grinta? «Extraterrestri, ecco cosa sono! “Dov’eri in questi anni? Sulla luna”. E invece sono terrestri. Terrestri e bugiardi!». Ma dura poco. Il tuo tempo corre verso la fine eppure sei sereno. Non c’è più il Segretario. Appena messo piede ad Hammamet, insieme alla giacca e alla cravatta hai lasciato da parte i galloni.
Conta solo la dignità dell’uomo. La tua storia, le tue parole sono gonfie di umanità. I vincitori di oggi sono gelidi, paurosi, pronti a vendere tutto per il vantaggio di un istante. Tu invece accetti di morire pur di non accettare quelle che consideri menzogne e violenze. «Credono che io mi stia zitto, che non reagisca? Io reagirò fino all’ultimo». Poi, con un sorriso amaro che non ci ho dormito la notte: «Certo. non è che io creda ormai di poter ottenere nulla. So che è un’illusione. Ma lasciatemi questa illusione». E la sferzante autoironia: «Hammamet! Hammamet! I fax di Hammamet!».
Guardi il mare e racconti ancora. I soldi dati ai dissidenti dell’Est, ai palestinesi, a Solidarnosc, «ma senza passare per la Banca d’Italia», dici con un ghigno. Infine un’immagine lontana. È il 1973, Santiago del Cile, Salvador Allende è appena stato ucciso. Sei lì con altri leader dell’Internazionale Socialista per portare un fiore sulla sua tomba, ma le guardie vi fermano e vi minacciano. Siete bloccati in un campo, tu chiedi di fare pipì. Uno dei caporioni dice a un soldato di controllarti. Mentre tu fai pipì e lui ti guarda che la fai, gli chiedi: «Complicata la vita, eh?». E lui: «Abbastanza». Il film si chiude con te che ridi.
Bettino, oggi che sono 10 anni, oggi voglio dirti una cosa. Tu non puoi immaginare quanto ci manchi, perché sei il simbolo di quando noi e la politica eravamo giovani e migliori. Ma se siamo ancora qui che ci crediamo, se scrivo su questo giornale e questo giornale ospita me e te con amicizia e ammirazione, è anche un po’ merito tuo. Perché tu i muri li hai abbattuti prima di tutti e senza guerre.
Che la terra tunisina ti sia lieve, che l’Italia ti dedichi buona politica e non vie né targhe.
19 gennaio 2009
CREDITS: FFWebMagazine

1 Commenti:
"Anche negli annali universali dell'umanità vi sono addirittura molti secoli, che, si direbbe, andrebbero cancellati e annullati, come superflui. Molti errori si sono compiuti a questo mondo, tali che, si direbbe, ora non li farebbe neppure un bambino. Che strade tortuose, cieche, anguste, impraticabili, lontane dal giusto orientamento, ha scelto l'umanità nel suo conato di pervenire alla verità eterna, mentre pure aveva innanzi tutta aperta la retta via, simile a quella che conduce alle splendide stanze, destinate all'imperatore in una reggia! [...] Ora tutto appare chiaro alla generazione che passa, e si meraviglia degli errori, ride della semplicità dei suoi antenati, e non vede che un fuoco celeste irradia tutti questi annali, che grida da essi ogni lettera, e che di là, penetrante, un dito s'appunta proprio su essa, su essa, la generazione che passa. Ma ride la generazione che passa, e sicura di sé, orgogliosa, dà inizio a una nuova serie di errori, sui quali a loro volta rideranno i posteri". (Nikolaj Vasil'evič Gogol')
si è sempre cercato il capro espiatorio per scagliare sugli altri gli errori di una collettività...per carità Craxi non era un Santo, ma DETESTO l'ipocrisia di una mentalità fascista/bolscevica/travaglista che vuole un solo ladro in Italia, un tiranno in Usa dal 2000 al 2008 (un tiranno votato da più di 40 milioni di americani che poi, da IPOCRITI hanno lasciato solo ed indifeso il loro leader oramai un Chaplin in "Luci della Ribalta"),l'Italia (tra il 1943/1948)che ha dichiarato caccia al fascista quando la STRAGANDE maggioranza degli italiani nel ventennio era PROFONDAMENTE fascista, l'uso FAZIOSO e parziale del tribunale dei crimini contro l'umanità usato GIUSTAMENTE per punire alcune vomitevoli e demoniache fazioni (nazisti)ma messo in silenzio quando c'era da mette sotto accusa i vinti (Stalin, i britannici in India e Sud Africa, gli Americani per le loro costanti avventure nel globo..), le fiere dei libri vietate agli "sporchi ebrei"poi magari ci si impietosisce, da luridi vigliacchi, quando parla cesare battisti..
di Craxi si è detto tutto ed il contrario di tutto..io non voglio parlare di questo politico..che è già scritto nel giudizio del libro della Storia..ma più della Storia mi preoccupa il giudizio parziale e volubile degli uomini ed il costante, in questa balzana Storia, dei due pesi e delle doppie misure.
Paolo
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