sabato 17 aprile 2010

Lettera aperta a Silivo Berlusconi

di Gianfranco Miccichè

Caro Presidente,
le vicende politiche delle ultime ore m’inducono a fare qualche riflessione e a portare alla Sua attenzione alcune considerazioni, che, per il ruolo che rivesto, ma soprattutto per il legame (prima affettivo, poi politico) che ha sempre contraddistinto il nostro trentennale rapporto, sento il dovere di esternare.

Le fibrillazioni interne a quel grande progetto politico-partitico che doveva essere il Pdl non possono non pormi davanti a degli interrogativi, su cui credo abbiamo tutti il dovere di riflettere, con grande attenzione. Un dovere che è, prima di tutto e soprattutto, nei confronti dei milioni di cittadini che credono in noi e continuano a sceglierci, come l’ultimo, vero baluardo di libertà, oggi, come potente torcia che illumini quella difficile strada di riforme, di cui il Paese ha estremo bisiogno.

I cittadini ci scelgono, Presidente, ci scelgono da quasi vent’anni, ormai, da quando Lei decise di scendere in campo, per salvare l’Italia dalla deriva comunista, che insidiava le nostre Istituzioni fin nelle loro fondamenta di libertà e democrazia, per – ricordo le sue parole – “non vivere in un Paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a un passato fallimentare” .

Queste parole mi fecero subito comprendere che la Sua discesa in campo fosse animata dal solo desiderio di lottare per il bene comune della Nazione e di farlo irrompendo sulla scena con una classe politica nuova, che sapesse interpretare al meglio quel miracolo italiano, che poi effettivamente compimmo. Mi misi a lavorare, con entusiasmo e senso di responsabilità! Lei mi aveva chiamato ad un compito arduo e gravoso, cioè costruire il partito in Sicilia. E’ vero, si trattava di costruirlo dal nulla, e questo mi spaventava; ma è pur vero che si trattava di costruirlo sulle solidissime fondamenta dell’entusiasmo, mio e di chi, come me, sentiva riecheggiare nella propria coscienza il Suo richiamo al dovere, e questo mi dava forza. Ci riuscimmo, fondammo Forza Italia e, assieme ai nostri alleati, fummo per la politica italiana alternativa alla Sinistra un grande Polo di attrazione, diventammo per il Paese una grande Casa di libertà. E creammo nuova classe politica, quella stessa che ora (lo dico anche con un pizzico d’orgoglio) tiene in mano le redini della Nazione.

Ma c’è qualcosa di ancor più straordinario, di più grande nel nostro cammino, più grande delle vittorie, del potere conquistato e delle cose realizzate: il fatto che, a distanza di tutti questi anni, siamo ancora qui, al Suo fianco. Mi creda, non c’è nulla di più grande della costanza nella condivisione, non c’è nulla di più grande dell’ andare insieme, spalla a spalla, condividendo un lunghissimo cammino, sia esso in salita, sia esso in discesa. Non c’è nulla di più grande della fedeltà e della fiducia reciproca. E’ grazie ad essa se in fondo siamo ancora in cammino, verso quella meta infinita che si chiama Italia. Abbiamo stretto la presa, quando il percorso si faceva irto e insidoso; ci siamo protetti a vicenda, quando qualcuno tentava di farci inciampare; abbiamo resistito a chi, uomo o partito, lasciando proditoriamente quella presa, ha cercato di deviare il cammino e se n’è andato nella direzione opposta. Abbiamo sempre camminato insieme, anche quando quel cammino ha conosciuto tappe impreviste o poco gradite: ce lo siamo detto in faccia, ci siamo confrontati, abbiamo discusso, abbiamo litigato, anche, ma non abbiamo mai deviato, nè imboccato direzioni opposte; siamo rimasti lì, abbiamo continuato a camminare insieme a Lei, mano nella mano, aggrappati con tutto il cuore a quella rassicurante presa; e non ce ne siamo mai andati.
E che entusiamo, quando Lei, rinvigorito dal Suo stesso amore per il Paese, s’è issato su quel predellino, dando vita al Popolo della Libertà! Mi sembrava di rivivere gli entusiami della prima volta, mi sentivo bruciare della stessa passione, mi sembrava di sentire nelle Sue parole lo stesso richiamo: “Io non devo e non voglio convincere nessuno, chi deciderà di esserci ci sarà”. Ed io c’ero, come sempre, con la stessa passione e voglia di condivisione di sempre! E con me tanti altri, alleati e forzisti della prima ora, tutti convinti nel seguirLa, ancora, tutti convinti di essere, in fondo, padri fondatori di un’opera politicamente monumentale, operosi costruttori di un sogno che finalmente si reralizzava: fare di un’alleanza solida e duratura un grande, unico partito riformatore.

Ma quel sogno, purtroppo, durò poco! Presto ci svegliammo e aprimmo gli occhi a una realtà completamente diversa, capovolta. I figli si erano ribellati ai padri, ognuno di noi conobbe le sue Idi, vittima di una meschina congiura, umana e politica, architettata solo per arrivare alla Sua corte da unici privilegiati. Sono stati privilegiati! Ed è così che la corte dei miracoli s’è tristemente trasformata in corte dei traditori miracolati. Ma le Idi non finiscono mai, c’è sempre un Cesare da tradire per chi si preoccupa solo di scalare vette e arrivarci prima di chiunque altro. Questo, Presidente, è l’aspetto che più mi amareggia e più m’inquieta. Nonostante portino in bell’evidenza il più indelebile dei marchi (il tradimento), Lei li ha accolti come i più cari dei figlioli e li ha privilegiati, sulla testa di chi si è sempre preoccupato e, nonostante tutto, continua a preoccuparsi di privilegiare, invece, quel cammino, quella condivisione, quella fedeltà; ma, soprattutto, sulla testa del partito stesso e di chi davvero ci credeva, di chi, immaginandosi una nuova, meravigliosa stagione politica, ha dovuto poi fare i conti con un completo fallimento, talmente evidente, che neanche Lei e la Sua ultima affermazione elettorale riesce oggi a dissimulare.

Perchè? Questo è l’interrogativo, che non posso fare a meno di pormi e che, come me, si pongono in tanti, tantissimi. Perchè? E’ così efficace l’opera di persuasione di questi cortigiani? E’ talmente ficcante, da far passare in secondo piano la loro vera natura? Ed è giusto lasciare il partito in mano loro? E’ giusto lasciare che quell’unione, vecchia e buona, venga sfilacciata dalle nuove Penolopi della politica, che solo in apparenza tessono, ma in realtà mirano a disfare? E quando quel cammino avrà delle soste o conoscerà delle tappe diverse dalla gloria e dalle vittorie? Chi rimmarrà al Suo fianco, di chi sarà la presa che Lei a quel punto sarà cecamente fiducioso di poter stringere?

Ciò che sta succedendo in queste ultime ore come ciò che succede a me da tempo, in Sicilia, mi conferma ancora una volta quanto alto sia il prezzo che rischiamo di pagare al Pdl: la fine di quel cammino! Un rischio che, ovviamente, possono avvertire e paventare soltanto coloro che da sedici anni camminano con Lei e ci credono, ci credono davvero; non certo coloro ai quali poco importa la direzione e poco importa con chi camminare … basta che camminino.

E allora concludo questa mia lettera “a cuore aperto”, con una speranza: la speranza che Lei, Presidente, voglia considerare ed accogliere le ragioni di chi Le vuole troppo bene per dirLe sempre e solo “Sissignore!”, le argomentazioni di chi probabilmente la stima troppo per preoccuparsi solo di compiacerLa, le ragioni e le argomentazioni di chi magari è un pò scomodo, un pò rompiscatole, ma, quando Lei si volta, è certo di trovarsi al Suo fianco. E’ così da sempre! Questa è la mia speranza o un appello, se preferisce considerarlo tale: perchè quel cammino non abbia a conoscere altre soste o deviazioni pericolose, perchè quel cammino possa continuare a vederci ancora UNITI, tutti insieme, verso quella meta infinita chiamata Italia.

0 Commenti:

Posta un commento

Iscriviti a Commenti sul post [Atom]

<< Home page