mercoledì 7 aprile 2010

Pdl, se ci sei batti un colpo

I rapporti di forza contano ancora. E i due partiti sono diversi, inutile negarlo

di Filippo Rossi


«Si voterà anche a Napoli. E non è detto che non ci facciamo un pensierino…». È chiaramente ironico, il ministro dell’Interno Roberto Maroni intervistato dal Corriere. Eppure anche una boutade come questa può essere un chiaro segnale politico. E in questo caso è uno dei (tanti) segnali che la Lega è passata all’incasso. Perché la strategia del Carroccio, dopo il trionfo delle Regionali che si è consumato poco più di una settimana fa, si è delineata in maniera chiara ed evidente, ormai. Il partito di Bossi, come ha spiegato lui stesso a spoglio appena terminato, ha deciso diventare il “motore” della maggioranza e di fare “da traino” per le riforme. Da timoniere del governo, in pratica. Con l’obiettivo di concretizzare il tanto sospirato federalismo, certamente. Ma non solo. Perché il disegno è di più ampio respiro e prevede anche un consistente pacchetto di riforme, dal presidenzialismo alla giustizia. E – parola di Calderoli – contempla anche la preparazione dell’arrivo a Palazzo Chigi di un premier leghista (o amico delle Lega, almeno).

“Niente poltrone ma riforme” titolava la Padania qualche giorno fa. Partecipare da protagonisti alla Grande Riforma che si attende da quindici anni almeno, è un bottino ben più sostanzioso di qualche ministero, in effetti. «La nostra vittoria rafforza il governo. Se vuole passare alla storia, non può che stare con noi», ha spiegato Maroni. E ancora: «Ci vuole qualcuno che coordini e la regia deve essere della Lega. Del resto noi siamo il vero motore e dunque il soggetto giusto» per fare la riforma presidenzialista. Segnali di forza assolutamente legittimi, beninteso. Il Carroccio fa il suo mestiere, e lo fa bene: vince le elezioni, amministra, e sfrutta fino in fondo (con buona dose di spregiudicatezza) il suo peso. Verrebbe da dire: è la politica, bellezza.

Il problema, semmai, è tutto del Pdl. La grande questione è il “sonno” di un partito nato un anno fa con l’ambizione di scrivere la storia del paese. E che adesso rischia di essere trainato dal suo alleato “minore” (i rapporti di forza parlano ancora chiaro). Perché sempre di alleato si tratta, seppur “fedele” e “leale”. Un alleato che, è sotto gli occhi d tutti, non ci mette nulla a diventare concorrente e, addirittura, “sfidante”. E allora non si capisce chi, nel Pdl, continua a non preoccuparsi dell’iperattivismo del Carroccio, come se i due partiti coincidessero in strutture, ideali, programmi. Ma così non è.

E allora il Popolo della libertà dovrebbe far pesare la propria “differenza”, dettando l’agenda del governo e impostando il cammino delle riforme. Non solo per motivi di forza numerica (che comunque hanno una loro valenza) ma anche e soprattutto perché è nato come grande partito “nazionale”, maggioritario e plurale. L’esatto contrario della Lega. Eppure «la lucidità della strategia leghista è impressionante, come impressionante è il silenzio del Pdl», ha scritto Giuseppe Valditara sul Secolo d’Italia di oggi (ieri per chi legge, NdA). È vero. Il silenzio inizia a essere insostenibile. È tempo che il Popolo della libertà batta un colpo. Per non morire tutti leghisti.


CREDITS: FFWebMagazine

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