Esteri, Mediterraneo: riflessioni 'fliniane'
Gheddafi, la Realpolitik e la dignità
di Gianmario Mariniello
Vi immaginate Gheddafi che va a Parigi o a Berlino e organizza un incontro con 500 hostess per dir loro “diventate musulmane”? Noi no. E non a caso Gheddafi certe pagliacciate – è il termine giusto – le viene a fare a Roma, non a Parigi o a Berlino. Evviva la Realpolitik, ma sui libri di Kissinger non c’è scritto che bisogna concedere ai dittatori la passerella sul suolo patrio, in regime di liceità assoluta: Roma in questi giorni sembra un possedimento extraterritoriale libico.
Viva gli affari, viva il trattato Italia-Libia che ci ha aiutato a risolvere il problema degli sbarchi clandestini, viva le materie prime libiche, viva l’autostrada libica che verrà realizzata dai nostri imprenditori, viva tutto ma la dignità di un Paese viene prima di tutto.
Non riusciamo a immaginare un solo leader europeo che vada a La Mecca a dire “diventate cristiani”: sarebbe irrispettoso. E invece siamo costretti a sentire Gheddafi che nella Città della Cristianità invita alla conversione 500 ragazze scollate e scosciate, attentamente selezionate da un’apposita agenzia. Una concezione della donna offensiva e ripugnante. E di più: quanto rende onore all’Islam la ragazza bombastica che si fa fotografare con il Corano appoggiato sulla scollatura?
Un Paese serio si sarebbe dissociato, indignato, noi risolveremo tutto con la politica della pacca sulla spalla, che peró nei manuali di Kissinger non c’è.
Viva gli affari, dicevamo. Ma siamo proprio sicuri che questa politica estera tutta Libia-centrica e filo-russa sia davvero negli interessi dell’Italia? I nostri partner europei e occidentali non saranno entusiasti di questa politica estera levantina e colorita ai limiti del ridicolo. E alla fine il nostro Paese corre il rischio di perdere terreno nei salotti che contano della politica estera, in cambio di relazioni buone ma più che discutibili (e trash) con autocrati, dittatori e pagliacci vari. La dignità di una Nazione è un valore, anche economico. Basta con le pagliacciate.
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Cercasi politica estera credibile
di Potito Salatto*
Ci risiamo. La politica è una cosa seria e bisogna saperla fare, specialmente quando si tratta di politica estera. Non c’è da scandalizzarsi se ogni Paese tiene conto in primis dei suoi aspetti economici. Si tratta, però, di saperli gestire con misura, soprattutto se obbligano a intessere rapporti politici non proprio edificanti.
C’è qualcuno che può immaginare che la Francia, la Germania, la Spagna, l’Inghilterra, l’America non abbiano interessi economici in Iran, per esempio? Ma forse qualcuno ha permesso ad Ahmadinejad di visitare le loro capitali alla maniera di Gheddafi, per esaltare il suo peculiare modello di società, di religione e di democrazia nei loro Stati?
Come reagiranno gli altri Paesi Europei, a maggioranza cattolica, alla sollecitazione del leader libico Gheddafi di islamizzare l’intera Europa? E’ mai possibile che nessun responsabile istituzionale (per esempio il ministro degli Esteri) sia in grado di rispondere adeguatamente a questa offesa formale e sostanziale avvenuta in un Paese centro della cristianità? In altri tempi sarebbero stati disdetti tutti gli incontri in programma.
Il Presidente della Camera Gianfranco Fini, per esempio, annullò il meeting con Gheddafi per il ritardo di un’ora di quest’ultimo, dimostrando dignità e rispetto per la sua carica istituzionale. E gli interessi economici? Quelli sarebbero sopravvissuti con discrezione e senza inutili vanterie.
Le civiltà nascono e progrediscono perché portatrici di valori e benessere. Quando i valori si affievoliscono o scompaiono, resta solo il benessere che, legato a cicli economici alternanti, può scomparire. E con esso la stessa civiltà. Questo è il punto di crisi dell’Occidente: l’assenza di valori è il ventre molle sul quale gli obiettivi islamici, ancora per fortuna disarticolati, puntano in questo XXI secolo. Riappropriamoci dunque dei nostri valori morali e religiosi: sono l’unica diga possibile che potrà, quanto meno, rinviare il nostro declino. Basta essere consapevoli di questa necessità per reagire. Civilmente, democraticamente, ma con intelligenza.
*eurodeputato del PPE e coordinatore romano di Generazione Italia
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Perchè la tolleranza non può far coprire l’Italia di ridicolo
di Alfredo Castiglione
Mu’ammar al-Quaddafi, il 1° settembre del 1969, prese parte al colpo di stato organizzato dal Movimento degli Ufficiali Unionisti Liberi. Aveva ventotto anni.
Come rappresentante dell’ala oltranzista del movimento, prese il comando con il ruolo di “Presidente del Consiglio della Rivoluzione”. Da qui derivo’ il ruolo di comandante delle forze armate, e nel 1970 divenne Primo Ministro.
Gheddafi si distinse per la sua intransigenza verso gli stranieri, ed impose: lo sgombero delle basi britanniche e statunitensi, la nazionalizzazione del colosso del petrolio BP e l’espropriazione totale dei beni della comunita’ italiana. Poi, con i grandi proventi del petrolio, provvide a finanziare movimenti rivoluzionari in tutto il mondo.
Il resto e’ storia che conosciamo, dal panarabismo radicale, ai sospetti di fomentare il terrorismo, culminati nel corpo a corpo con gli Stati Uniti, che il presidente Reagan concluse con un bombardamento chirurgico, dove Gheddafi riusci’ a salvarsi per un soffio.
Il colonnello cambio’ rotta. Capi’ che la strada era scoscesa e senza uscita, e pubblicamente fece ammenda, ottenendo dagli Stati Uniti la cancellazione dagli stati canaglia.
L’uomo che vediamo in questi giorni e’ sul far dei settant’anni, con quaranta di potere sulle spalle, nonche’ di bizzarrie.
Non dimentichiamolo il carattere del colonnello in questi decenni di potere. Sempre incline alle provocazioni, ai colpi di scena, ai colpi di teatro, ai capricci. Un uomo che non manteneva le promesse, che capovolgeva il senso della storia, che arrivava a camminare sui paradossi, dove si sentiva a suo agio.
Ma l’Italia e’ un paese dirimpettaio della Libia e la Libia, oltre ad essere stato un paese colonizzato dagli italiani, e’ anche un immenso patrimonio di riserve naturali di combustibile. Oltre che un paese da modernizzare. E per la Libia passano le rotte dei trafficanti di vite umane diretti in Italia.
Insomma, un paese con cui fare i conti. E il nostro e’ una delle poche nazioni che riesce a dialogarci.
Ma il colonnello fa pagare uno scotto a tale dialogo, scotto ispirato al suo passato e al nostro passato di colonizzatori e di “europei”. E sembra che i suoi comportamenti di questi giorni, siano un misto di esibizionismo e rabbia viscerale, voglia di stupire e voglia di umiliare.
Il confine tra folklore e cultura di un popolo si fonde in un unicum, che rende interdetti gli osservatori e dunque gli italiani.
Un popolo tollerante, il nostro, che ascolta gli appelli all’Europa a convertirsi all’Islam, esplicitati nella capitale del cattolicesimo. Appelli che provengono da un individuo che non ha alcuna titolarita’ religiosa per emetterli. Dunque, per questo, sono solo inviti a titolo personale, sterili quanto ultravelleitari.
Ma quello che colpisce, e’ la cornice. Con 500 ragazze pronte piu’ per un casting, che per una conferenza.
Inoltre, a questo punto, viene da chiedersi il perche’ della mancata convocazione dell’elemento maschile. Perche’ la discriminazione degli uomini?
Anche questa e’ una provocazione. La religione islamica, che ha sempre avuto una caratterizzazione maschilista, ora pone la donna al centro dell’attenzione. Ne celebra quasi la superiorita’.
E cosi’ la guardia presidenziale del colonnello, che deve fungere anche da scudo umano in caso di pericolo, e quindi la vita del colonnello, e’ nelle mani del sesso femminile, e poi le amazzoni, le ragazze a cui il leader libico fa una lezione cultural-religiosa.
Cosa dire? Cosa pensare? Disorientante. Un cumulo di contraddizioni.
E devono essere di ben elevato spessore se un dirigente del Pdl, Lupi, finisce per avere la stessa opinione dei suoi piu’ strenui oppositori politici.
Bastano tali osservazioni per capire il colonnello Gheddafi. E a noi, con le nostra cultura giuridica ed istituzionale, dargli un limite. Perche’ la tolleranza non puo’ far coprire l’Italia e gli italiani di ridicolo rispetto al mondo.
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La nostra politica estera nel Mediterraneo e il rapporto con la Libia
di Gianluca Sadun Bordoni
Mentre sfuma il clamore per le provocazioni del Colonnello Gheddafi e si capitalizzano gli indubbi vantaggi che la cooperazione con la Libia produce per il nostro paese, si può tentare una prima riflessione, più distaccata, che riguardi il complesso della nostra politica estera nel Mediterraneo e il rapporto con la Libia.
Comparativamente, le distanze nel centro-destra sono minori, in politica estera, rispetto ad altri ambiti. Occorre riconoscere al governo e alla nostra diplomazia di aver in generale operato avendo sempre chiaro l’interesse nazionale. Non mi pare giusto qui confondersi con le critiche dell’opposizione, che mirano a ridicolizzare la nostra politica estera. E ciò al di là di certi comportamenti discutibili di Berlusconi (“la diplomazia del cucù”, la chiama lui stesso) o dell’acquiescenza mostrata nei confronti dell’imprevedibile Gheddafi (che all’Onu, un anno fa, non si comportò molto meglio).
Per quanto riguarda il Mediterraneo, per noi così importante, non si può negare che siano stati raggiunti alcuni risultati di rilievo: non è facile essere accolti con pari entusiasmo a Gerusalemme e a Tripoli. Il convinto sostegno offerto ad Israele rappresenta una grande novità nella politica estera italiana. Bisogna poi dar atto al governo di aver mantenuto salde alcune scelte strategiche, ad esempio l’apertura nei confronti dell’adesione della Turchia all’Unione Europea (qui la Lega ha esercitato influenza minore che altrove).
Si può solo osservare che l’Italia (ma questo non riguarda solo l’attuale governo) investe sempre in misura maggiore nei rapporti bilaterali, che più facilmente portano risultati concreti, che non nell’azione a carattere ‘regionale’, che richiede tempi più lunghi. Nel Mediterraneo, l’iniziativa in senso regionale è sempre stata più spagnola e francese che italiana: non a caso, il primo esperimento di partenariato euro-mediterraneo porta il nome di ‘Processo di Barcellona’, dalla città in cui fu lanciato nel 1995, su forte iniziativa spagnola; il rilancio del partenariato, che ha preso il nome di Unione per il Mediterraneo, è stato pensato e voluto dal Presidente Sarkozy, che lo tenne a battesimo a Parigi nel luglio 2008. In questa politica regionale dell’Europa nei confronti del Mediterraneo l’Italia ha sempre giocato un ruolo marginale, anche se può addurre a parziale consolazione che i successi di tale politica sono stati piuttosto scarsi. Ciò non toglie che si tratti della politica mediterranea dell’Unione Europea e che l’Italia avrebbe tutti i titoli (e gli interessi) per giocarvi un ruolo da protagonista. Ci si può augurare che il Ministro Frattini, volato a Tripoli per il vertice dei paesi del Mediterraneo Occidentale, riesca a definire un profilo più incisivo per l’Italia, almeno in questo ‘forum’ sub-regionale.
All’interno del mondo arabo, uno dei paesi che più tenacemente ha avversato questa politica europea è stata la Libia. E qui torniamo dunque a Gheddafi. La Libia non aderì al Processo di Barcellona e si è fieramente opposta, più recentemente, al progetto di Sarkozy. Prima del vertice parigino del 13 luglio 2008, Gheddafi convocò un incontro a Tripoli (il 10 giugno), cui parteciparono il Presidente algerino, quello siriano, quello mauritano e il Premier del Marocco, per boicottare l’iniziativa francese, considerata ancora troppo ‘eurocentrica’. Mentre si apprestava a firmare il Trattato di amicizia italo-libico, di cui abbiamo appena festeggiato i due anni, Gheddafi si opponeva dunque duramente alla politica mediterranea europea. E’ alla luce di questo atteggiamento che va esaminata la ‘visione’ del Mediterraneo sciorinata durante la sua visita a Roma dal leader libico, che vorrebbe espellere dal Mare Nostrum l’alleato americano e tenere sotto ricatto l’Europa, minacciando di lasciarla seppellire dalla marea nera dell’immigrazione. Qui la condiscendenza mostrata nei confronti di Gheddafi è ben più problematica di quella ostentata nei confronti dei ridicoli inviti alla conversione delle hostess.
Non sfugge qui la differenza rispetto all’atteggiamento del Presidente Fini, in occasione della precedente visita di Gheddafi a Roma, nel luglio del 2009. A causa dell’ingiustificato ritardo del Colonnello, si ricorderà, Fini annullò allora l’incontro. Il testo dell’intervento che avrebbe dovuto tenere fu però consegnato alla stampa e in esso Fini replicava con durezza all’antiamericanismo del Colonnello: “Le democrazie, a partire da quella americana, possono sbagliare, ma certo non possono essere paragonate ai terroristi”. E in relazione al processo di pace israelo-palestinese: “Voglio sottolineare al Leader Gheddafi che proprio lo sviluppo dell’Unione per il Mediterraneo – di cui Israele e l’Autorità palestinese fanno parte a pari titolo – può favorire la conquista della pace in Medio Oriente e che l’adesione della Libia rafforzerebbe una simile possibilità”.
Peccato che il Colonnello non abbia potuto ascoltare queste parole allora, e che nessuno, nel governo italiano, abbia sentito l’esigenza di opporre l’altro giorno concetti analoghi all’aggressiva, anti-americana, ma in realtà anche anti-europea, visione del Mediterraneo propalata da Gheddafi. L’utilità della cooperazione italo-libica non ne sarebbe stata messa in discussione, e l’Italia avrebbe mostrato di essere un partner capace di esigere rispetto politico da tutti gli interlocutori.
CREDITS: GenerazioneItalia

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