Chi di Puglia ferisce...
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Da "farefurista" convinto, non sono certo un fan di Giorgio Stracquadanio. Il che, però, non m'impedisce di trovarmi perfettamente d'accordo con lui in questa circostanza...
La lezione pugliese che il Pdl non ha imparato
Anche senza i sondaggi – del tutto veritieri nonostante le polemiche di Francesco Boccia – si poteva avvertire con anticipo che Nichi Vendola avrebbe trionfato alle primarie pugliesi del centrosinistra anche solo ascoltando le ultime dichiarazioni dei due candidati.
di Giorgio Stracquadanio
Ai microfoni di Sky Tg 24, che poneva ad entrambi la domanda di rito (“Per quale motivo un elettore di centrosinistra dovrebbe votare per lei?), Francesco Boccia rispondeva con freddezza: “La scelta non è tra Boccia e Vendola, ma tra due concezioni del centrosinistra, tra un progetto che unisce le forze della sinistra e quelle di centro per costruire, anche a livello nazionale, un'alternativa alla destra”. Il trionfo della politica politicante, del calcolo di partito, del gioco di palazzo, dove la Puglia è al massimo un “laboratorio politico”, un luogo dove altri – D'Alema e Casini – utilizzano una cavia, Francesco Boccia, per trovare un modo, tra tre anni, di sconfiggere Silvio Berlusconi. Una risposta pedagogica, senza neppure la larvata intenzione di accendere un sentimento.
Quel sentimento, caloroso, che sgorgava dalle parole di Vendola: “Noi vogliamo ridurre la distanza tra i sogni, le passioni, i progetti che abbiamo alimentato e le cose che abbiamo realizzato, per dare, sopratutto ai giovani, la possibilità e la speranza di una Puglia migliore”. Parole di un combattente, capace di evocare sogni, speranze, passioni; capace di riconoscere che c'è ancora una distanza da colmare tra i sogni e la realtà; capace di indicare – qui ed ora – l'idea di una Puglia da desiderare, una Puglia migliore.
Parole ben interpretate dal regista barese Alessandro Piva, secondo il quale “Vendola è un Berlusconi rosso e li ha fregati con lo stesso metodo che il Cavaliere usa da anni. E´ bravo a far la vittima, quello contro il sistema, quello che si è fatto da solo. È più moderno, è un comunicatore, si rivolge direttamente al popolo ed è capace di emozionare. Con lui gli avvisi di garanzia funzionano alla rovescia. È un combattente e ha dimostrato di avere nove vite come i gatti. È come Berlusconi”. Un paragone di cui Vendola si compiace e che conferma la stoffa da leader di Nichi, il quale con il leader del centrodestra ha sempre mantenuto un rapporto rispettoso. Tanti ricordiamo che, nel settembre 2005, all'inaugurazione a Bari della Fiera del Levante, quando il governo Berlusconi era da poco uscito dal rimpasto a cui l'aveva costretto l'Udc di Follini e Casini dopo la dura sconfitta delle regionali, Vendola fu l'unico dei tre rappresentanti delle istituzioni locali ad avere parole di sincera accoglienza per il premier, mentre il presidente della provincia Divella e il sindaco di Bari Emiliano non avevano fatto mistero del loro antiberlusconismo. E in quella occasione Berlusconi ebbe modo di ringraziare altrettanto sinceramente il giovane governatore comunista, gay e con l'orecchino.
Che Vendola non piaccia innanzitutto a sinistra è un fatto testimoniato dalla campagna che gli ha scatenato contro D'Alema. Nella regione che, almeno fino a domenica, considerava come un protettorato personale, il leader Maximo prima ha tentato lo sfondamento con Emiliano, poi ha cercato di forzare con l'accordo dell'Udc sul nome di Boccia, infine – una volta costretto alle primarie – ha tentato la demolizione dell'immagine di Vendola, con una campagna martellante in cui l'accusa era la stessa rivolta a Berlusconi: “populista”. Mentre la procura, inspiegabilmente “intima” di Boccia, inventava un avviso di garanzia a orologeria contro Vendola.
Vendola, però se lo aspettava. Basta leggere cosa pensa dei dirigenti ex-comunisti del Pd: “Hanno un rapporto nevrotico con la modernità e non hanno mai davvero chiuso i conti col passato. Ma di tutta la grande narrazione politica comunista, quelli come D´Alema e Bersani hanno conservato un solo tratto, il fascino supremo del comando. L'illusione di poter imporre alla base qualsiasi scelta, per quanto impopolare, in nome del fine superiore del partito. Soltanto che questo fine superiore non esiste più. E alla lunga, senza un'utopia, una trascendenza, la gente prima o poi si stufa di obbedire”. Forte di queste convinzioni il “Berlusconi rosso” ha stravinto, con il 73% in tutta la regione e risultati stupefacenti in città simbolo: il 95% a Bari, la città di Boccia, l'80% a Fasano, la città di La Torre, il 77% a Gallipoli, il collegio elettorale di D'Alema. Chissà cosa avrebbe preso a Piacenza.
Una bella lezione per tutti, non c'è che dire. Una lezione che il Popolo della Libertà non vuole imparare. E per la seconda volta in cinque anni. Il gruppo dirigente del partito, infatti,, di fronte alla crisi del laboratorio pugliese di D'Alema e Casini non ha saputo che rinserrarsi nella sua ridotta. Ha prima evitato che l'ufficio di presidenza della scorsa settimana assumesse un orientamento preciso e poi ha forzato i tempi per giungere a una candidatura “ufficiale” a urne delle primarie ancora chiuse, come se fosse la stessa cosa confrontarsi con Francesco Boccia e la coppia D'Alema – Casini piuttosto che con Nichi Vendola.
E così ne è scaturita una candidatura tutta di apparato, resa pubblica con parole degne di un politburo, non di un partito carismatico: “I Coordinatori Nazionali del Pdl, sentito il Presidente Silvio Berlusconi, d`intesa con il Coordinamento Regionale della Puglia e con il Ministro per i Rapporti con le Regioni, Raffaele Fitto, ha designato Rocco Palese quale candidato per la Presidenza della Regione Puglia”. Ma come? Berlusconi, il monarca, il leader, l'unico in grado di raccogliere milioni di voti in tutta Italia e stato solo sentito? E invece è stata necessaria l'intesa con il Coordinamento Regionale pugliese e il ministro Raffaele Fitto, sponsor dell'amico Rocco Palese? E da quando in qua il ministro degli Affari Regionali conta più del primo ministro? Forse perché è pugliese e quella regione è il suo protettorato personale secondo logiche dalemiane? Misteri dei partiti.
Misteri che rendono legittima una domanda: quale scopo si prefigge il gruppo dirigente del Pdl, vincere le elezioni o affermare la supremazia di apparato? Scelte così al ribasso, a cui si è giunti con il metodo del fatto compiuto, chiariscono perché nella riunione dell'ufficio di presidenza di qualche giorno fa era stata avanzata l'ipotesi “dadaista” del giornalista del Tg1 Attilio Romita. E anche perché nella tavola rotonda al convegno di Arezzo proprio Raffaele Fitto, rispondendo ad una domanda di Bianca Berlinguer sulla candidatura Romita per la Puglia, si era “avvalso della facoltà di non rispondere”.
Già, proprio il convegno di Arezzo, quel convegno che era nato per segnare le distanze tra Gianfranco Fini e la maggioranza degli ex-An e che, invece, durante la strada, è diventato il luogo di formazione di una anomala squadra di “colonnelli” del Pdl, di un partito che – mentre i partiti pedagogici e novecenteschi sono polverizzati dalla spinta popolare come è accaduto in Puglia – cerca di diventare proprio come quelli che in questi diciassette anni Berlusconi ha sconfitto. Gruppi di dirigenti autoreferenziali, che le elezioni le perdono perché vivono di veti più che di proposte. E più perdono le elezioni, più stringono il controllo sul partito. Così è sembrato il Pdl ad Arezzo, un partito che ha evocato il suo leader carismatico con la stessa passione con la quale il PRI evocava Mazzini.
Così, mentre Vendola viaggia verso il 28 marzo sull'onda della spinta popolare (”Con il Vendola in poppa” titola il manifesto) e Casini evita di affondare insieme D'Alema aggrappandosi ad Adriana Poli Bortone, il Pdl non entra nemmeno in partita pur di non rischiare l'equilibrio interno raggiunto ad Arezzo.
Se così stanno le cose, è meglio che il Pdl non nasca mai. Anzi che muoia presto. Perché a noi, che crediamo ancora nella sovranità del popolo, nella forza del popolo, avrebbe fatto piacere leggere un comunicato più o meno di questo tenore: “Il presidente Silvio Berlusconi, d'intesa con i coordinatori nazionali, sentiti il coordinamento regionale pugliese ha chiesto a Tizio Caio di candidarsi alla presidenza della Regione Puglia con il sostegno del Popolo della Libertà”.
Qualche mese fa, in Abruzzo e in Sardegna si è fatto così. E si è vinto anche contro quel Soru che doveva diventare il nuovo leader del Pd e invece è andato a picco abbracciato stretto a Walter Veltroni. Altri tempi. Speriamo che tornino.
26 gennaio 2010
CREDITS: Il Predellino
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Da cui segue...
Rocco chi?
È la nuova etichetta che i falchi del premier si appuntano sul petto in nome del sogno berlusconiano che le nomenklature stanno picconando. In Puglia con Rocco Palese, una candidatura che Silvio Berlusconi ha subito, e non poco. Ma anche altrove.
di Alessandro De Angelis da il Riformista
Rocco chi? Nel Pdl è l'ora dei notabili, ovunque. Giorgio Stracquadanio - uno che per custodire il culto del Predellino gli ha dedicato una testata online - parla tutto d'un fiato: «La vittoria di Vendola è una lezione per tutti, ma il Pdl non vuole imparare per la seconda volta in cinque anni. Di fronte alla crisi del laboratorio pugliese di D'Alema e Casini il Pdl si è rinserrato nella sua ridotta forzando i tempi per giungere a un nome ufficiale a urne delle primarie ancora aperte. E così ne è scaturita una candidatura tutta buona per affermare la supremazia dell'apparato più che per vincere le elezioni, peraltro resa pubblica con parole degne di un politburo, non di un partito carismatico. Se così stanno le cose è meglio che il Pdl non nasca mai».
Il Capo tace. Ma i suoi vogliono uno scatto. Un segnale per dire che lo spirito del '94 non può tramontare così. Mario Valducci, col premier dai tempi della discesa in campo, non ha voglia di parlare: «È proprio necessario?». Poi però sbotta: «In questa fase siamo poco aperti, poco innovativi. Vedo uno stanco riproporsi di metodi da partito novecentesco, che invece andrebbe rottamato. Imporre una candidatura, come in Puglia, a urne aperte e senza convocare l'ufficio di presidenza è un metodo che non corrisponde all'anima vera di Forza Italia. Quell'anima invece deve tornare a pulsare. Paradossalmente, nella diversità dei contenuti, il berlusconismo l’ha interpretato più Vendola sotterrando in nome del popolo le strategie di palazzo di D'Alema e Casini».
Già, Casini. Nel suo forno i falchi temono di rimanere arrostiti: «Se non riflettiamo un po' di più ora -prosegue Valducci - rischiamo che la sera delle elezioni Casini ci dirà: avete vinto dove eravate con noi, altrove avete perso». È l'incubo che si è materializzato tra gli azzurri della prima ora dopo la candidatura di Rocco (Palese). Sotto accusa quel correntone doroteo del Pdl che si sta consolidando in nome del sottogoverno locale: triumviri, capigruppo, capicorrente. Con Berlusconi impegnato su altri dossier sono loro a gestire le trattative. Sopra il tavolo si condanna «l'opportunismo casininiano» ma sotto il tavolo si chiudono accordi. A Casini la Polverini darà le infrastrutture, e non solo. E di assessorati già si parla anche in Campania e Calabria. Non è un caso che i big del Pdl in questa fase non tollerano molto le voci critiche. Tanto che ieri alla Camera il capogruppo Fabrizio Cicchitto, di fronte a una decina di parlamentari, ha richiamato all'ordine Stracquadanio, che le sue considerazioni le ha scritte nero su bianco sul suo sito: «Non hai capito niente - gli ha detto Cicchitto - proprio niente. Finché giochi con Granata è un conto. Ma la Puglia è tutt'altro. Abbiamo raggiunto un difficile equilibrio tra An e Forza Italia. Tu, con la Puglia che c'entri?».
Per molti tutto questo è l'opposto dello spirito berlusconiano delle origini: il leader da un lato, il popolo dall'altro. In mezzo solo devoti apostoli della Causa. Dice Jole Santelli: «Il Pdl funziona se c’è il Principe che ha un rapporto diretto col popolo. Perché Berlusconi è uno che ci mette la faccia, si assume le responsabilità, rischia. Quando poi una nomenklatura in suo nome si mette a recitare la parte del Principe qualcosa non va. La nostra innovazione funziona quando è trainata da un'immagine carismatica. D'altronde anche la vittoria di Vendola contro gli apparati dimostra che dal '94 la politica è cambiata. Vedremo la sera delle elezioni come va a finire. Berlusconi sta lasciando lasciando fare anche se il suo verbo nell'altrui bocca funziona poco. È chiaro che chi sbaglia andrà a casa. Questo è lo spirito del '94».
Vecchi leoni e giovani promesse. Comunque chi è nel cuore del Cavaliere l'amaro calice della vecchia politica non vuole mandarlo giù. È indigeribile. Nunzia De Girolamo è alla sua prima legislatura. E nella sua Campania la trattativa con l'Udc è chiusa, con la benedizione di Ciriaco De Mita. Ma manca ancora la ratifica del premier. Lei non usa perifrasi: «Casini va scaricato, messo ai margini senza tanti giri di parole. Siamo per il bipolarismo o no? Non si può tollerare che scelga le alleanze in base a chi vince. O ci dobbiamo raccontare la storiella degli accordi sui programmi e sui candidati? Bisogna dire basta alla politica dei due forni in Campania e altrove». È il berlusconismo di seconda generazione. Poche chiacchiere. E tanta voglia di regolare i conti. Con tutti: «Quando leggo di correnti, correntoni e nomenklature nel Pdl mi viene l'orticaria. È roba che ho letto sui libri di storia al capitolo sulla crisi dei partiti. Ma sono certa che anche questa volta Berlusconi recupererà l'entusiasmo scendendo in mezzo al popolo. Come sempre».
27 gennaio 2010
CREDITS: il Riformista & Il Predellino

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