sabato 11 settembre 2010

Il Belpaese senza i conservatori

di Luca GERONICO

Avvenire, 30.3.2000.


I mali italiani e il mancato sviluppo politico di fine ‘800: oggi un dibattito a Roma.
Tutta colpa di Giolitti? Rudinì cercò di dare soluzione al trasformismo italiano
Fonzi: "Mancò l'apporto del popolo"



Conservatori senza partito: e se la colpa fosse di Giolitti? Insomma, se l'Italia risorgimentale, quella della destra e sinistra storica moriva - come da manuale - con le cannonate di Bava Beccaris a Milano, l'età giolittiana che si andava ad aprire, oltre che la culla del trasformismo, della prima industrializzazione e dell'accordo clerico-moderato, fu pure la tomba del partito conservatore italiano. Così la patologia del sistema politico italiano, incapace di una alternanza fra due grandi schieramenti secondo la più schietta tradizione anglosassone, troverebbe la sua origine nel fallimento di due tantitivi ravvicinati di creare un partito conservatore antagonista ad un partito liberal democratico.

Ripartiamo allora proprio dalle schioppettate di Bava Beccaris, o meglio da quel marchese Antonio di Rudinì allora capo di governo che, bollato come effimero reazionario, si scopre aver tentato durante il suo primo governo (1891-93) "una delicata operazione di raccordo dell'area moderata" aprendo trattative con il Vaticano per ottenere il consenso cattolico, "fattore indispensabile per la costituzione di un partito conservatore in Italia". Un progetto politico riscoperto da Paolo Carusi, ora esposto in «Superare il trasformismo. Il primo ministero di Rudinì e la questione dei partiti nuovi», un tentativo da abbinare ai cento giorni del governo di Sidney Sonnino - un altro bistrattato dalla memoria - che nel 1906 cercò, unendo cattolici transigenti e liberali non anticlericali, di costruire un'alternativa di destra a Giolitti, come lumeggiato da Umberto Gentiloni Silveri in «Conservatori senza partito. Un tentativo fallito nell'Italia giolittiana». Un partito conservatore mai realizzato, anche se nel 1908 vi fu chi redasse il «Manifesto per un partito conservatore italiano». Un fallimento che "porta con sè riflessioni e conseguenze che hanno più a che fare con il futuro sviluppo dell'Italia che con il movimento conservatore ottocentesco", scrive Gentiloni Silveri. Due volumi rigorosi e documentati - entrambi editi da Studium e al centro di un dibattito oggi all'Istituto Sturzo di Roma con gli storici Fausto Fonzi, Ernesto Galli della Loggia, Luigi Lotti e Pietro Scoppola - che presentano una sintesi inedita, una «inventio» delle origini di una questione quanto mai di attualità.

"La mancanza di un partito conservatore - spiega lo storico cattolico Fausto Fonzi - fu il riflesso della mancata partecipazione di tutto il popolo italiano alla vita politica, in particolare l'assenza di gran parte dei cattolici". Insomma il non ancora risolto rapporto Stato-Chiesa che plasmò in modo anomalo rispetto al resto d'Europa i nuovi equilibri politici italiani del primo Novecento. Ma secondo Lorenzo Lotti, che insegna Storia moderna all'università di Firenze, i tentativi di Di Rudinì e Sonnino erano comunque velleitari perché "almeno fino al 1994 tutto il sistema politico italiano è stato imperniato su una grande aggregazione al centro. Un mito risorgimentale il bipolarismo anglosassone che si scontrava con la realtà di una sinistra estremista e con i cattolici estranei allo Stato unitario. Il partito conservatore non poteva nascere con i cattolici all'opposizione dello Stato liberale". "Il superamento del non expedit - precisa a sua volta lo storico Pietro Scoppola - non fu la condizione per il formarsi di un forte schieramento moderato, perché prevalse un uso strumentale del voto cattolico utile a mantenere gli equilibri giolittiani contro i socialismi. Una politica di alto trasformismo, ma che rese impossibile la polarizzazione del sistema come avvenne negli altri Paesi dove i partiti conservatori nacquero, durante la prima industrializzazione, in difesa del mondo agricolo e del mondo religioso ad esso strettamente legato". Invece in Italia, mentre nel declino del sistema liberale ottocentesco i partiti di massa conquistavano spazi sociali e consensi, i ceti medi, ossessionati dal rischio della proletarizzazione, si identificarono culturalmente nel futurismo e politicamente con il movimento nazionalista. L'esito, esauritasi anche la fase giolittiana, fu il costituirsi di un nuovo blocco sociale, formato da ceti medi e grande industria, che sostenne Salandra e poi l'ingresso in guerra.

Conservatori senza partito, ma anche senza eredità? "Il merito di quel tentativo - sostiene Fonzi - fu di aver posto con chiarezza una certa linea ideologica. Una tradizione di liberalismo di destra, che si può far risalire addirittura a Stefano Jacini che aveva teorizzzato il sistema politico all'inglese e il partito conservatore nazionale. Una tradizione perduta, ma di alto profilo morale che resta un punto di riferimento".

Per Scoppola invece la parte migliore di quella tradizione conservatrice "venne valorizzata da Alcide De Gasperi, in una situazione complicata dall'unità politica dei cattolici che i conservatori di inizio secolo, pensando ad una possibile alleanza con una parte di essi, non si ponevano. Viceversa il mondo cattolico venne tenuto unito dalle rivendicazioni temporalista e poi dalla difesa degli interessi cattolici. Uno spazio politico che non riesce a trovare una propria autonomia perché sovrastato da preoccupazioni confessionali legittime, ma che hanno prevalso sulla dinamica di una società in fase di modernizzazione".

Pochi spiccioli d'eredità, secondo Lotti, per il pensiero conservatore nel seguito del secolo: "Qualche elemento sopravvisse nella tradizione del liberalismo moderato, sconvolto dal primo dopoguerra e addirittura travolto dal secondo dopoguerra". Sconfitti o subalterni nel giolittismo e nel centrismo i conservatori per Scoppola adesso avrebbero una nuova chance: "La domanda politica al termine di questa riflessione è se, esauritasi con Moro ogni possibile sintesi centrista, sia giunto il momento di una polarizzazione della politica in cui gli «interessi religiosi» siano sostenuti lealmente da tutti i cattolici nonostante le divisioni politiche". Una nuova fase politica che, anche secondo Lotti "rende in teoria possibile non il bipartitismo, ma il bipolarismo. Un'ipotesi adesso non velleitaria sopratutto in un contesto internazionale inedito". Insomma, dopo la svolta post comunista, la «Cosa» del Duemila potrebbe essere il partito conservatore.
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Gli italiani sono singoli geni che formano, tutti insieme, un popolo politicamente disordinato e immaturo.

Una collettività talmente sorprendente da rendere problematico un giudizio complessivo.
A.Lattuada

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