Lo Stato criminogeno
La vicenda degli appalti pilotati e delle assunzioni “raccomandate” in Campania apre l’ennesimo squarcio sulle distorsioni illecite nella gestione della cosa pubblica nel nostro paese.
Non sappiamo l’entità e la fondatezza penale dello scandalo che ha colpito la famiglia Mastella.
Ma questo ulteriore episodio (dopo tanti che hanno colpito la Campania e non solo) sembra confermare quanto già da tempo hanno denunziato Donatella della Porta e Alberto Vannucci nel volume Mani impunite. Vecchia e nuova corruzione in Italia. Che cioè dopo le inchieste dei primi anni 90 la corruzione non è affatto scomparsa.
Quello delle malversazioni è solo uno dei capitoli della crisi profonda in cui si è avvitato il nostro martoriato paese. L’iceberg di uno sbandamento e di una distorsione delle funzioni di governo, di cui il malcostume comune, l’inefficienza, lo spreco, l’incertezza del diritto, i bizantinismi burocratici, la pessima qualità dei servizi pubblici e, chi più ne ha più ne metta, costituiscono la grande massa sommersa.
Come con tangentopoli si squaderna, davanti a noi, l’immagine di una caduta verticale dell’etica pubblica, di una sovrapposizione cannibalesca degli interessi privati, locali, parziali, sull’interesse generale.
Persino alcuni moralizzatori di un tempo, o i loro sodali, appaiono coinvolti in questa deriva vergognosa. A dimostrazione che l’etica pubblica non può essere strumentalizzata come una bandiera di parte, ma dovrebbe essere la premessa di tutto e tutti.
Sono ormai troppi decenni che la “questione morale” si ripropone, arricchendosi di anno in anno di nuove versioni, rivedute e corrette.
A questo punto però non ci si può limitare a reagire solo con l’indignazione e lo scandalo, rivelatisi spesso tanto veementi, quanto passeggeri.
E’ necessaria una lettura politica degli accadimenti. Bisogna prendere una volta per tutte atto che l’appello alla mozione degli affetti, l’evocazione della rettitudine, l’esibizione della rabbia non basta più. La rabbia, l’indignazione e lo scandalo può essere il sentimento del cittadino comune, dello spettatore più esterno delle vicende pubbliche. Non la maschera dietro la quale, opportunisticamente, si trincera la classe politica o i tribuni di professione, proponendo superficiali lavacri rigeneratori, senza intervenire, nel profondo, sulle cause del problema.
Cosa che nessuno ha mai fatto, ripiegando su qualche pannicello caldo buono magari a vincere un’elezione sull’onda dell’indignazione popolare.
Il patologico tasso di corrotti e corruttori, malversatori, opportunisti, avventurieri, patroni e clienti in Italia non può essere solo il frutto di una “caduta morale”. Si deve prendere atto che c’è qualche problema di sistema.
E il problema è il fallimento dello Stato. Di questo Stato, sia ben chiaro. Di questo modo di concepire le istituzioni pubbliche come necessità immanente e onnipresente nella vita della società.
C’è un fallimento dello Stato sociale, costruito sull’illusione di una spesa pubblica tendente all’infinito e ormai ridotto alla conservazione di “chi ha avuto” pagando a debito e infischiandosene di chi “ha dato” (come le nuove generazioni) senza che nemmeno gli fosse chiesto.
C’è un fallimento dello Stato di diritto, incapace di assicurare una giustizia certa che, almeno nei tempi, non sia da terzo mondo; incapace di sgomberare il campo da una criminalità organizzata che attanaglia almeno un terzo del paese e ricicla e si ricicla altrove. Una criminalità con la quale, forse, è dovuto persino scendere a patti.
C’è un fallimento dello Stato interventista nell’economia, che ha trasformato questo in un paese di semi-socialismo reale, con più della metà della reddito nazionale che è spesa pubblica.
C’è un fallimento, infine, dello Stato come mito positivo, capace di orientare al progresso la società, di offrire opportunità paritarie per tutti.
I fatti della Campania, ma non solo essi, ci mostrano l’immagine di un paese in cui l’interposizione pubblica anziché divenire emancipatrice è diventata criminogena.
Né c’è da stupirsi. Con una politica e un’amministrazione che si intromette pressoché in ogni ganglio della vita sociale, moltiplicata da centri di potere pubblico (territoriali e non, come l’Arpac dei Mastella) di ogni dimensione e per ogni bisogno e interesse, è impossibile evitare le degenerazioni. Tale reticolato di condizionamento della società è ormai presidiato da terminali di affarismo, politica, interesse. Tutto a spese dello Stato, cioè nostre.
Di fronte ad una tale galassia pulviscolare di concrezioni, come si po’ pretendere di operare un’adeguata vigilanza ed un efficace controllo? Ci vorrebbe un paese di gendarmi. E poi qualcuno che controllasse a suo volta i controllori.
Prendiamone atto. Il nostro modello di Stato è fallito. L’etica pubblica sviluppatasi all’ombra del Molock che abbiamo edificato non somiglia a quella scandinava ma a quella dei paesi dell’est e dell’Unione sovietica prima della caduta del muro.
E i riformisti di tutte le osservanze dovrebbero prendere atto che questo Stato è criminogeno e distorsivo, premia i parassiti, i questuanti, gli amici degli amici. Umilia gli eroi inconsapevoli che non si piegano e induce alla prostituzione i padri e le madri per il bene dei figli da raccomandare a qualche santo.
Prendiamone atto. E smantelliamo le troppe superfetazioni, giustificate scomodando i più grandi ideali di eguaglianza e fratellanza, e gestite solo per arricchire di soldi e munizioni i protagonisti della quotidiana guerra di potere nello Stato.
E’ necessario cambiare radicalmente paradigma. Lo Stato non può più essere la mammella cui strappare risorse e potere da spartire ciascuno nella propria corporazione. Ma un regolatore sobrio che non tartassa i cittadini per rimpinguare gli sprechi.
E’ venuto il tempo di quella rivoluzione liberale che, in Italia, non c’è mai stata. Perché l’alternativa è la bancarotta economica, sociale e (se ancora non c’è) morale.
E i riformatori, se ancora ci sono, a destra e a sinistra, dovrebbero imbracciare questa rivoluzione, piuttosto che tradire la propria onestà intellettuale per un posto da (inascoltato) consigliere del principe.
Altro che evocazione, irresponsabile e populista, del posto fisso e inamovibile, incrollabile mito della retorica statalista che ci ha portato al fallimento, ingrassando solo i furbetti della spesa pubblica.
Giovanni Guzzetta - Nato a Messina nel 1966, è un costituzionalista italiano. Presidente nazionale della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana) dal 1987 al 1990, attualmente è professore ordinario di Istituzioni di Diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma "Tor Vergata", nonché titolare della cattedra Jean Monnet in Costitutional Trends in European Integration nel medesimo ateneo. Presidente del comitato promotore dei referendum costituzionali, ha elaborato gli attuali quesiti referendari ed è stato, nel 1993, l'ideatore, insieme a Serio Galeotti, dei quesiti per il referendum sulla legge elettorale. È coautore di un manuale di diritto pubblico italiano ed europeo, nonché autore di diverse monografie.
CREDITS: Libertiamo

1 Commenti:
"Accolgo" in pieno il passionario intervento del costituzionalista Guzzetta. Pur non ritenendomi di impasto liberale (ma quando si dicono cose di buon senso hanno poca importante le "etichettature")valuto più che apprezzabile questo scritto.
Purtroppo, caro federico, come ha detto una volta Cossiga (pardon..Kossiga..)L'Italia è sempre stato un Paese "incompiuto": il Risorgimento incompleto, la Vittoria mutilata, la Resistenza tradita, la Costituzione inattuata, la democrazia incompiuta. Il paradigma culturale dell'imperfezione genetica lega con un filo forte la storia dello sviluppo politico dell'Italia unita
Non serve una "gendarmeria morale" sarebbe inutile un Bismark "de noialtri".inutile fare legislazioni sui costumi (Franceschini ndr).le leggi sono fatte per essere inosservate..l'unico rimedio è con la cultura ed educando il "popolo". Per una volta mi metto dalla parte del "palazzo":in fondo i politici sono lo specchio del Paese, rappresentano vizi e virtù così come il Paese di-mostra...stessa cosa vale per tutti gli altri "poteri forti"o caste italiane...inutile fare la morale sessuale a quel politico o a questo quando il PAESE è pieno di curricula per diventare velina, quando le trasmissioni più trash sono seguite da milioni di italiani. questa rappresentanza politica evidenzia la grande democrazia italiana..la colpa è sempre degli altri..spiace dirlo ma siamo esattamente come dignitosamente ci rappresentano i politici ed i poteri forti dominanti in questo,tragico,periodo storico.
In ogni caso...auguro fortuna a te ed ai liberali con ancora senno in testa che vogliono dichiarare guerra a questo marciume democratico(in fondo te da liberale io da forsennato teocratico papista stiamo conducendo la stessa battaglia contro lo stesso nemico..).
Nell'attesa di un odierno rinascimento italiano (che ci liberi di tutte le pochezze e le cretinaggini democratiche..) auguro a te ed al tuo gruppo un meritatissimo in bocca al lupo!!!!
Paolo
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