mercoledì 17 marzo 2010

W 'Generazione Italia'

Farefuturo e Generazione Italia: ma che problema c'è?
Semplicemente, si continua a lavorare per quello in cui si crede


di Sofia Ventura

Dopo tanti anni dal crollo della cosiddetta Prima Repubblica, il sistema politico italiano è ancora fluido. A destra come a sinistra ci si muove, si cerca, ognuno come può e come sa, di trovare una forma “solida” per i due poli di questo insicuro sistema bipolare. E al centro c’è chi spera nel fallimento di questi tentativi per tornare alla vecchia politica basata sulle oligarchie dei partiti e l’assenza di reale alternanza.

Oggi i riflettori, a causa soprattutto della debolezza – innanzitutto progettuale e di elaborazione politico-culturale – del Partito democratico, sono puntati sul Pdl, dove perlomeno qualcosa accade. E accade soprattutto nell’area cosiddetta “finiana”. L’ultimo evento è rappresentato dall’annuncio della creazione di una struttura “aggregante” dentro al PdL: “Generazione Italia”. Dovrebbe trattarsi di un’iniziativa per creare nuovi spazi di partecipazione e “militanza” per quanti sono interessati ad entrare nella vita del partito, soprattutto a livello locale; per quanti, fino ad oggi, con un Pdl ancora poco strutturato sul territorio e restio ad aprire spazi di democrazia ed un’effettiva partecipazione dal basso in grado di “pesare”, hanno avuto difficoltà a vivere il partito “dal di dentro”.

Questo a me pare che Generazione Italia voglia essere. Dunque, perché dovrebbe esserci un conflitto con una Fondazione, Farefuturo, o con testate come Ffwebmagazine e il Secolo d’Italia, che si occupano soprattutto di analisi e di elaborazione culturale, certo al “servizio della politica”, ma non di organizzare l’impegno di quanti vogliono, nelle diverse realtà italiane, partecipare e contribuire alla vita del Pdl? Credo che Generazione Italia sia un progetto importante, che persegue con mezzi diversi – e con una dimensione più direttamente organizzativa – lo stesso fine perseguito in questi anni da Farefuturo, o da altre realtà, come Libertiamo: dare un contributo alla costruzione di una moderna destra europea. Le due dimensioni, quella dell’elaborazione e dell’organizzazione, dunque, non mi pare confliggano, ma credo che siano anzi destinate a divenire complementari.

Per questo, le interpretazioni che circolano sulla stampa di un leader (Fini), pronto a lanciare qualcuno per emarginare qualcun altro, fanno sorridere. Fanno sorridere innanzitutto perché quest’area non è fatta di soldatini obbedienti, ma di persone che si sono ritrovate ad un certo punto della loro storia personale a condividere un’avventura culturale e politica. In secondo luogo, perché non si capisce il motivo per cui, per dare forza alle proprie posizioni politiche e alla propria idea della politica, Gianfranco Fini non dovrebbe attingere a tutto ciò che di vitale lo circonda.

Dunque, che gli amici de Il Giornale stiano tranquilli: non sono previsti esodi da Farefuturo verso lidi più à la page, nessuno sta “drizzando le orecchie” per capire dove sia più conveniente “trasferirsi”. Si continua a lavorare, per ciò in cui si crede.
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Non arrocchiamoci: è tempo di andare "oltre le radici"
Perché la difesa dell'identità non può essere sterile arroccamento


di Antonio Rapisarda

«Percorso privo di sostanza» viene definito così da Giampaolo Rossi sul Tempo il cammino politico e culturale di Gianfranco Fini, alla luce dell'iniziativa che sta portando alla costruzione di un contributo proprio del presidente della Camera al Pdl. L'inventario delle accuse è noto. Sono le ormai classiche rivendicazioni che rimbalzano ormai da più di un anno ogni volta che si parla dell'idea di partito di Fini («contenitore senza contenuto», viene definito) e della sua idea di destra (una destra "nichilista" che, a quanto si legge, vorrebbe dare voto e cittadinanza a tutti gli immigrati ora e subito e che sarebbe succube del giustizialismo di Di Pietro, sic). Niente di nuovo, così come le accuse rivolte a loro, i "maledetti intellettuali" di cui il presidente della Camera continua a circondarsi. Peccato, però, che il Pdl sia proprio questo. L'approdo naturale di un partito post-ideologico come è stato Alleanza Nazionale. Perché, è bene ribadirlo, questo non è stato l'addizione di due o più soggetti politici. Ma un processo dove ognuno ha svuotato un po' di sé.Venendo alla metafora jungeriana utilizzata da Rossi, è proprio un "passaggio dal bosco" quello che è stato richiesto a chi ha fatto nascere il più grande partito italiano. Il tentativo, cioè, di non fermarsi al "meridiano zero" ma andare oltre le proprie radici. Altro che nichilismo. E che il meccanismo non sia stato unidirezionale è evidente. Del resto, il Pdl - dal punto di vista del dibattito sull'economia - è decisamente più evoluto rispetto alle posizioni iniziali, fortemente liberiste, di Forza Italia. E, viceversa, sul tema delle libertà individuali le posizioni della destra oggi sono altro rispetto alla vulgata della tradizione missina. Questo a dimostrazione che la destra italiana è "nella" storia. Proprio come insegnava Pinuccio Tatarella.Altra accusa che viene mossa a Fini (così come a Farefuturo) è la perdita di "identità". Che da queste parti sarebbe addirittura parola "pornografica". Ma identità è una cosa (e per definizione mai statica, perché si fonda su qualcosa che prima non c'era). Arroccamento un'altra. E la tentazione di una certa destra - e di un certo dibattito sulla destra - è proprio quella di sbandierare ancora la nostalgia per il minoritarismo culturale (che in quei tempi, guarda caso, era il prodotto di una marginalità politica). Oggi, invece, la destra italiana è chiamata a governare i fenomeni, a determinare una nuova fase costituente. A rifondare una destra alla luce della grande sfida europea. Non è un caso, infatti, che proprio questa destra sia interlocutrice privilegiata con i massimi esponenti del centrodestra continentale (da Aznar a Sarkozy). Ancora una volta toccherebbe analizzare cosa ne pensa - in materia di integrazione, laicità, ecologia - il "naturale approdo" della destra italiana in Europa, ossia il Ppe. Toccherebbe infine parlarne con Angela Merkel che ha recentemente derubricato la parola "conservatore" dal dizionario della Cdu.«Occorre che Gianfranco Fini torni a una dimensione più politica», si legge ancora nella riflessione di Rossi. Ma proprio "Generazione Italia" ad esempio, assieme al think tank, è la testimonianza di come sia volontà di Fini riallacciare un discorso politico a partire proprio dal Pdl. Discorso "aperto", alla luce del sole. A meno che anche qua non ci sia la tentazione di una doppia morale. Quella per cui ogni azione - vuoi anche situazionista - da parte del premier o di altri esponenti del Pdl, è giudicata come un'innovazione salutare contro la vecchia politica che arranca. Mentre quando la stessa cosa viene proposta da Fini diventa un attacco preventivo a una leadership che nessuno mette in discussione. Mettetevi d'accordo un volta per tutte, per favore.

CREDITS: FFWebMagazine

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