In alto, a destra. La scommessa di Fini, guardando avanti
Gianfranco Fini ha tra le mani una vera opportunità politica. Quella di proseguire, suo malgrado fuori, e non più dentro il partito berlusconiano, la modernizzazione liberale della destra italiana, la cui speranza è stata legata per oltre un quindicennio all’icona di Berlusconi. Fini è un’icona diversa: più “antica”, nel senso della continuità con la storia della Prima Repubblica, ma insieme più “moderna” perché alternativa ad un leaderismo anti-politico, che nella storia italiana ha molti precedenti, anche a destra, e nell’ultimo Berlusconi purtroppo un interprete “professionale” e perfetto.
L’icona di Berlusconi è calda, strabordante, “personale”. Quella di Fini fredda, istituzionale e “politica”. Ma il problema e la differenza non è solo di forma, di temperamento o di carattere.
La difesa del dissenso contro la logica del partito plebiscitario ha posto Fini in rotta di collisione con il berlusconismo, che, nella sua deriva finale, ha completamente sostituito la politica e la discussione delle idee con le kermesse, i sondaggi, le feste azzurre, le relazioni private, dichiarando un’assoluta intolleranza verso ogni tipo di dibattito – qualificato tout court come teatrino – e verso chi chi, in un modo o nell’altro, più o meno sensatamente e efficacemente, ha provato ad animarne qualcuno. Questi uomini e donne nel lessico berlusconiano (quello sì, indubbiamente penetrante e persuasivo) sono divenuti “parrucconi”, “vecchi arnesi” e altre finezze simili.
L’impresa già riuscita a Fini in questi due anni (anche se la svolta, in realtà, era partita procedendo in un crescendo rossiniano già dal 2003) è, anzitutto, quella di aver ridato un volto e un’appartenenza a chi, specie tra i giovani, forse con una punta di idealismo, ha ritrovato la voglia di tornare in piazza, nelle sedi reali o virtuali di discussione, sul web, a parlare criticamente di alcuni valori: la patria, l’etica pubblica, i nuovi diritti e la legalità declinata in maniera postideologica, in particolare oltre le contrapposte derive manettare o insabbiatrici. E’ evidente, dunque, che la “svolta” di Fini è un tornante della storia italiana che non ha nulla a che fare con un semplice ritorno al passato e a quella che era la politica prima dell’anomalia berlusconiana.
L’obiettivo ora deve essere quello di allargare, citando Lucia Annunziata, l’orizzonte di Futuro e Libertà per l’Italia: un futuro che non è rappresentato dall’astensione sulla sfiducia al sottosegretario Caliendo, interpretata dagli analisti come la premessa per la creazione di un “terzo polo” puramente tattico con Casini e Rutelli che, indubbiamente, almeno un poco “vecchi arnesi” lo sembrano, per una loro idea molto manovriera della politica e per un certo equilibrismo centrista. Si alzi in piedi chi, almeno una volta, non l’ha pensato. Il vero obiettivo “futurista” di quella generazione figlia legittima del Berlusconi pre-politico (quello dei Drive In) e di quello politico (il Silvio delle meraviglie e del partito liberale di massa) è di passare il guado, di fare almeno un po’ ciò che per 15 anni si è quasi solo detto, di non rinnegare affatto, ma di non servire più un babbo che si è fatto ormai troppo vecchio e risentito e che ha perso lo smalto e la freschezza necessari a realizzare la famosa, promessa e mai realizzata, “rivoluzione liberale”.
I “futuristi”, dunque, come rivendica giustamente il Secolo d’Italia rifiutano tutti i clichè: “Macchè terzo polo e ribaltone, siamo l’altra destra possibile”. Ecco, forse è proprio questo il passaggio necessario (e decisivo) a rianimare quella “svolta in alto a destra” che, a differenza di quanto ha scritto Lucia Annunziata, non è affatto cominciata con un’astensione e rimane ancorata, malgrado le difficoltà, alla lealtà verso l’impegno di governo conferito all’intera maggioranza, e non al solo Berlusconi, dagli elettori. “In altro a destra” si possono incontrare quei ragazzi nati dopo 1989, o anche un po’ prima, che – per loro fortuna o meno – non hanno conosciuto le stagioni delle “pastette”, dei “compromessi storici” e delle “convergenze parallele”. Non è quella, manifestamente, né la logica né la strategia del Fini di oggi come, per ragioni opposte, del Fini di ieri. Il suo linguaggio rimane politico, non politichese.
Daniele Priori - Nato a Marino (Rm) il 27 marzo 1982. Giornalista, è segretario politico dell’associazione GayLib. Tra i primi tesserati dei Riformatori Liberali dall’autunno 2005, è tra i soci fondatori di Libertiamo. Collabora col “Secolo d’Italia” e con riviste locali e nazionali. E’ direttore di collana presso l’editrice Anemone Purpurea di Roma per la quale ha pubblicato, insieme a Massimo Consoli, il libro “Diario di un mostro – Omaggio insolito a Dario Bellezza”
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