sabato 31 gennaio 2009

11 proposte liberali

Di Egidio Sterpa*

La diagnosi della situazione del Paese è disperante. Non c’è settore che non sia in declino. Occorre dunque intervenire subito e in profondità. Servono misure forti per ritrovare la via della crescita. Occorre un Governo fatto delle migliori intelligenze e competenze del Paese, che, prescindendo dalle ideologie, con coraggio e lungimiranza sia forza propulsiva di istanze autenticamente liberali e sappia chiamare tutti ad uno sforzo generale che produca innanzitutto una salutare scossa morale.
Ecco secondo i liberali alcuni punti programmatici da attuare con determinazione al più presto:

Scuola
Il nostro sistema di formazione è tra i più inadeguati del mondo occidentale. E’ degenerato negli ultimi quarant’anni. Il declino italiano è anche il frutto di questo decadimento. Va affermato il principio della centralità della scuola pubblica. Tutti, però, devono poter frequentare il tipo di scuola che prediligono, purché si tratti di scuole che applicano le regole previste dallo Stato democratico. Va considerata l’opportunità dell’istituzione del “buono scuola” per garantire una vera libertà di scelta. Decaduta è la scuola secondaria, che non prepara i giovani né al contatto col mondo del lavoro né ad un ingresso proficuo all’Università. Molti diplomati si presentano agli atenei spesso addirittura senza una idonea padronanza lessicale, tanto da rendere necessari corsi propedeutici. L’Università italiana è agli ultimi posti nelle classifiche mondiali. Occorre un rilancio delle scienze e della ricerca, che sono i settori in cui siamo più che carenti. Bisogna aprire il sistema universitario ad una competizione anche con la libera scelta dei professori da parte delle singole Università ed una valutazione dei docenti.

Politica energetica
L’Italia ha una dipendenza in materia di energia (petrolio, gas, elettricità) che la rende debole fino al punto di temere un black-out in casi di crisi internazionali. L’import di energia comporta un pesante aggravio finanziario. Va ripensato razionalmente il rifiuto dell’opzione nucleare sancito col referendum del 1987. Oggi noi importiamo energia prodotta in centrali nucleari, dalla Francia per esempio, che distano poche decine di chilometri dal nostro territorio. E’ vitale per il futuro economico del Paese tale ripensamento, tanto più che l’energia nucleare di nuova generazione si va affermando come più rispettosa della salute e dell’ambiente.

Investimenti
L’Italia ha bisogno di potenziare le proprie infrastrutture: strade, ferrovie, telecomunicazioni, acquedotti, rigassificatori, termovalorizzatori, smaltimento dei rifiuti, servizi vari. In alcuni di questi settori c’è un invecchiamento che provoca grave perdita di efficienza. E’ necessario un rilancio robusto della competitività nazionale con grandi investimenti. Non va dimenticato che il nostro Paese si risollevò dai disastri della seconda guerra mondiale attuando investimenti coraggiosi che crearono le condizioni che ne fecero uno dei territori più industrializzati al mondo. Quella politica degli anni Cinquanta vide concordi maggioranza politica ed opposizione, che pure erano fieramente divise ideologicamente, e diede grande impulso all’occupazione dando il via ad una politica sociale che si affermò tra le più progredite in Europa. Vanno sottolineate come importanti per la modernizzazione del Paese opere come la TAV, il MOSE, il Ponte sullo Stretto di Messina. Quello di cui ha bisogno l’Italia è una forte e solida politica che la modernizzi e la sottragga al declino che l’ha avviluppata in questi ultimi anni.

Liberalizzazioni
Va accelerato il processo di liberalizzazioni e privatizzazioni per le aziende a capitale pubblico e per le società di proprietà degli enti locali, mediante modalità che consentano non solo la loro cessione alla Cassa Depositi e Prestiti (e successivo collocamento in Borsa di un’alta percentuale della Cassa, ad esempio di un settanta per cento), ma anche la partecipazione di capitali di gruppi privati variegati, non di gruppi della “solite” famiglie e degli “amici degli amici”. Va praticato un aperto contrasto alla ripubblicizzazione in atto presso le diverse aziende “multi-utility” locali (energia elettrica, gas, acqua, rifiuti urbani, telecomunicazioni, ecc.) che finiscono per configurarsi come aziende IRI regionali, provinciali, comunali. Vanno perciò liberalizzate. Vanno immesse sul mercato quote consistenti del patrimonio immobiliare pubblico. Bisogna rafforzare i poteri degli organismi di tutela della concorrenza. Vanno liberalizzati vari settori professionali per garantire l’accesso ai giovani e una più aperta e certa selezione.

Politica fiscale
In Italia è stato ampiamente superato il punto critico del carico fiscale, il che ha provocato effetti dannosi per tutto il sistema economico: minore propensione alle attività produttive; maggiore propensione al consumo rispetto al risparmio; maggiore inclinazione all’evasione fiscale. L’imposizione fiscale non deve superare quella soglia che può incentivare l’evasione e scoraggiare l’attività dei cittadini. Il carico fiscale deve essere ridotto sotto il quaranta per cento del prodotto interno lordo, (per arrivare al 30 – 35 per cento, con la prospettiva di studiare l’applicazione della cosiddetta “flat tax rate”, cioè una tassa bassa uguale per tutti). La riduzione agevolerà la crescita dimensionale delle imprese, l’innovazione, la ricerca, gli investimenti, la nascita di nuove aziende produttive, con conseguente aumento dell’occupazione. A questo proposito una misura utile sarà la detassazione degli utili reinvestiti nelle attività produttive. Vanno aboliti l’Irap e l’Ici per la prima casa, va ridotto ulteriormente il “cuneo fiscale” per i contributi. Va abolito il sostituto d’imposta per i lavoratori dipendenti. E va considerata la possibilità per i lavoratori dipendenti di optare per il versamento in proprio dell’imposta senza avvalersi del sostituto.

Vanno privilegiate fiscalmente le famiglie sulla base della composizione del nucleo familiare (“quoziente familiare”). Occorre ridurre le detrazioni e le deduzioni per le fasce di reddito più alte ed aumentarle per quelle più basse. Nell’esaminare queste indicazioni liberali va considerato, come ha rilevato uno studio della Banca d’Italia, che il 15,8 per cento della popolazione del nostro Paese ha possibilità di spesa inferiore alla soglia di povertà. Il ceto medio s’è impoverito, i nuovi poveri sono tra i pensionati e le famiglie monoreddito. E’ un fatto accertato che i salari italiani sono tra i più bassi d’Europa. Per combattere questo vero tracollo sociale, si deve cominciare attuando sgravi fiscali nel quadro di una politica dei redditi che veda l’impegno delle imprese interessate ad un aumento della produttività e della crescita.

Politica sociale
Rafforzare l’iniezione di flessibilità interrotta nel mercato del lavoro per merito della legge Biagi, con la conseguente riduzione significativa della disoccupazione. Introduzione del “modello danese” sulla libertà dei licenziamenti e contestualmente introduzione di adeguati sussidi ai disoccupati per un certo periodo di tempo (massimo tre anni), quindi tramite la realizzazione di una vera rete di ammortizzatori sociali. Pensioni: età pensionabile a 65 anni per uomini e donne (con aumento graduale di un anno ogni due anni, fino ai 65 nel 2018 (ogni anno si stima un risparmio di 7 miliardi di euro). Anche dopo i 65 anni dovrebbe cessare l’obbligo contributivo, ma si potrà continuare a lavorare cumulando reddito e pensione. Detassazione del lavoro straordinario e degli aumenti della parte variabile dei salari da legarsi ai risultati aziendali raggiunti e alla produttività. “Decontribuzione”, cioè taglio dei contributi sui nuovi assunti. Per quanto riguarda la cosiddetta “concertazione” tra le parti sociali, occorre fare in modo che non si creino situazioni in cui prevalgono i veti, come spesso è accaduto, sì che non si sono avute decisioni, si sono provocati ritardi, blocchi, quindi danni notevoli per l’economia. Consentire la contrattazione a livello regionale e aziendale. Va attuata una seria riforma del pubblico impiego, nella quale siano previsti: la valutazione del rendimento nel lavoro, premi al merito, sanzioni per gli assenteisti e per chi non fa il proprio dovere.

Debito pubblico
La situazione debitoria italiana è enorme, accumulata soprattutto negli anni ’80 e i primi anni ’90. Per ridurre il rapporto Debito – PIL occorre puntare su strumenti significativi di avanzi primari annuali. Il punto di attacco deve essere quello del rigore e della riduzione della spesa pubblica (al netto della spesa per investimenti e per interessi sul debito) dell’uno per cento all’anno (5 per cento in cinque anni) tramite:
a) un programma pluriennale e di contenimento e razionalizzazione delle spese del settore pubblico e un controllo severo dei meccanismi di decisione della spesa stessa, che oggi supera il 50 per cento del PIL;
b) una revisione straordinaria di tutta la legislazione vigente per annullare o quantomeno diminuire gli effetti moltiplicatori di spesa automatica incorporati;
c) lotta agli sprechi e ai privilegi, riduzione del peso della burocrazia pubblica;
d) riforma del “welfare” pletorico e costoso, che concede benefici superflui a chi non ha bisogno e trascura spesso i cittadini veramente bisognosi.

Giustizia
Riforma dell’ordinamento giudiziario. Occorre cominciare con la drastica riduzione del numero delle ipotesi e della durata della carcerazione preventiva per evitare che il cittadino finisca in carcere senza processo per tempi indeterminati. E’ troppo alto il numero dei carcerati (il 65 per cento secondo alcuni dati) “in attesa di giudizio”. Revisione della cosiddetta obbligatorietà dell’azione penale (è troppa la discrezionalità dei procuratori), che porta a privilegiare taluni processi e a insabbiarne altri. Separazione delle carriere, e non delle semplici funzioni, tra magistratura inquirente e magistratura giudicante, per garantire la “terzietà” di quella giudicante. Riforma del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) per eliminare l’impostazione corporativa. Affidamento alle parti dell’iniziativa nelle istruttorie per accelerare il giudizio civile. Introduzione di adeguate cauzioni per l’appellabilità delle sentenze. Severa disciplina delle intercettazioni telefoniche, da ammettere, per esempio, solo per reati di mafia e terrorismo. Pesanti sanzioni per chi le diffonde. Creare un organismo unico nazionale, sull’esempio di quanto avviene negli Stati Uniti, per l’autorizzazione alle intercettazioni.

Sanità
Incremento dei fondi per la ricerca sanitaria. Revisione dei criteri e delle procedure per quanto riguarda la nomina dei direttori generali e dei primari, sì da evitare l’attuale esasperata politicizzazione. Riforma della legge 180 (malati di mente) fortemente avvertita dalle famiglie. Sottolineare la centralità del medico di famiglia nella sanità italiana. La capillare distribuzione sul territorio ne fa una figura insostituibile. Per questo occorre rivedere la recente proposta di creare Unità territoriali di assistenza primaria che condizionerebbero negativamente il rapporto fiduciario e personale tra medico e paziente.

Politica estera
Riaffermiamo i principi che hanno caratterizzato costantemente la politica liberale:
a) una politica europea non succube del direttorio franco – tedesco;
b) forte legame all’ispirazione atlantica nella difesa nazionale;
c) difesa dello Stato d’Israele e di tutti gli Stati arabi che abbiano scelto consapevolmente l’adozione di sistemi politici, sia pur progressivamente, liberi e democratici.

Riforme istituzionali
Qui è quasi superfluo accennarne nei particolari. E’ pacifico per i liberali che occorra imboccare seriamente e decisamente la via delle riforme istituzionali per rendere moderno, efficiente, concretamente liberaldemocratico, lo Stato italiano, tale da assicurare una autentica democrazia dell’alternanza. Va anche adottato un sistema elettorale che garantisca equità politica. Per i liberali va evitato il ricorso al monocameralismo, che potrebbe diventare strumento di un facile assalto al potere, com’è avvenuto in taluni Paesi dell’Est europeo. Certo, le due Camere devono essere ripensate razionalizzandone compiti e procedure. Per questa riforma essenziale bisogna fare affidamento sul Parlamento, che dovrà dedicarvisi in una opportuna e responsabile fase costituente. Vanno segnalati alcuni punti essenziali:
1) riduzione drastica del numero dei parlamentari;
2) rafforzamento dei poteri del premier;
3) abolizione delle Province.

* Articolo pubblicato dall'Opinione del 28.2.2008

---

Quasi un anno fa, l'allora senatore forzista Egidio Sterpa, liberale storico, lanciava questa piattaforma programmatica. Un paio di mesi dopo, si trovava depennato dalle liste del centrodestra, come molti altri liberali "scomodi". Lasciava inoltre il Giornale "di famiglia" x approdare alle colonne di Libero. E se pensasse anche lui in un (re)impegno liberale al fianco di Diaconale?!? Il suo sarebbe senza dubbio un apporto di Qualità.

venerdì 30 gennaio 2009

Davide Giacalone: Perché Diaconale segretario del Pli

Auguro al Partito Liberale che Arturo Diaconale sia eletto segretario. Nel vasto mondo della diaspora laica, egli è l’unico che può vantare la produzione costante, giorno dopo giorno, per anni, di idee, proposte ed iniziative politiche, sapendo gestire una squadra e mandandone il lavoro in edicola. Non è stato un fascista, non deve pentirsi di avere gridato “onore al duce” (minuscolo, proto, minuscolo) o di non aver condannato le leggi razziali. Non è stato comunista, non deve vergognarsi d’esser campato con soldi sporchi di sangue, né pentirsi di aver lasciato che i fessi, troppo credenti nelle sue parole di un tempo, abbiano lanciato delle bombe. E’ un liberale, vero. Pertanto è rimasto in minoranza anche quando si sono scoperti liberali quelli che non avevano più un’idea decente e spendibile cui attaccare l’ambizione d’arrampicarsi.

Auguro alla politica di potere disporre di un protagonista come lui. Così, magari, ogni tanto, capiterà anche di parlare di qualche cosa di concreto. Lo auguro, in particolar modo, al mondo laico, che è messo così male da non sapere neanche cosa sia, talché si debba poi procedere con il poco laico rosario: liberali, radicali, repubblicani e socialisti. Della serie: neanche noi sappiamo chi e cosa siamo, ma solo ciò che fummo. Quel mondo vive in un film del terrore, con degli alieni che si sono impadroniti dei vecchi corpi e li tengono in (falsa) vita solo per conquistarsi la linfa vitale: un seggio, un posticino, qualche soldo.
In questi anni ho incontrato un sacco di “veri” liberali, repubblicani, ecc. ecc., che proprio perché si sentivano quelli “veri” ce l’avevano solo con quelli falsi, che stavano dall’altra parte. Zombi, per giunta incattiviti.
Diaconale ha annunciato la scelta dello schieramento: il centro destra. Non può fare diversamente, oggi. Ho l’impressione, però, che sia il centro destra a dovere fare una scelta di schieramento, se vuole avere un futuro: liberale. Così come il centro sinistra: democratico e riformista. Chi la pensa come noi, a quel punto, potrà trovarsi da una parte o dall’altra, avendo come principali interlocutori i propri simili dell’altra sponda. E sarebbe come dire (e sperare) che è tornata la politica. Nel frattempo, divenuto infinito, non si fanno sconti a nessuno: sulle riforme istituzionali, sulla giustizia, sull’economica, sul mercato del lavoro. I faziosi togliamoceli dai piedi, tanto sono inutili.
Noi siamo liberali e democratici, metodologicamente riformisti. Abbiamo una naturale vocazione a guidare schieramenti maggioritari. La natura dell’Italia ci ha, però, resi minoritari. Non da oggi. Abbiamo il dovere del pragmatismo, perché la testimonianza appartiene alla fede, non alla politica. Ma abbiamo il dovere assoluto della chiarezza d’idee, del realismo delle proposte e della coerenza. A Diaconale nessuno può insegnare queste cose.

www.davidegiacalone.it

---

Ecco il pensiero di Giacalone, già giovane e brillante militante repubblicano, autore di libri e una delle più vivaci ed apprezzate firme di "Libero".

VERDINI: Con An raggiunto l'accordo, congresso dal 27 al 29 marzo

29 gennaio 2009 ore 16:12

"Il congresso e’ fissato dal 27 al 29 marzo, abbiamo raggiunto l’accordo, abbiamo definito i particolari con i quali andare al congresso". Lo ha affermato il coordinatore nazionale di Forza Italia, Denis Verdini, ospite di Maurizio Belpietro a ’Panorama del giorno’, parlando dell’intesa tra Forza Italia e An per dare vita al Popolo della liberta’: "Nell’interesse del Pdl, Alleanza nazionale ha cercato, come abbiamo poi concluso, di stabilire i luoghi di riunione, organismi, fondendo le due grandi tradizioni, quella di Forza Italia e quella di Alleanza nazionale. Ho letto e ho vissuto le polemiche ma in realta’ erano molto marginali rispetto al progetto. Nel Pdl ci saranno tre coordinatori dentro una direzione nazionale che naturalmente rappresentano la storia di Forza Italia e la storia di Alleanza nazionale. Mentre noi, come Forza Italia, abbiamo gia’ fatto il consiglio nazionale con la confluenza nel Pdl utilizzando gli strumenti del nostro statuto, altri piccoli partiti come la Dc di Rotondi lo hanno gia’ fatto, altri lo faranno in questo mese. Alleanza nazionale, seguendo il proprio statuto, fara’ i congressi nel mese di febbraio e poi quello nazionale per decretare ai sensi del loro statuto la confluenza nel Pdl".

--

Vediamo cosa ne viene fuori...sinceramente, questo Congresso mi attizza ancora meno di quello ke decretò la nascita del Partito Democratico...io sono x i Congressi VERI, ke ci volete fare...

mercoledì 28 gennaio 2009

Candidatura alla Segreteria del PLI, di Arturo Diaconale

28 gennaio, 2009

ho deciso di tornare ad impegnarmi nel Partito Liberale Italiano da cui mi ero ultimamente allontanato non condividendo lo slittamento progressivo verso sinistra. E sono orientato, in occasione del congresso nazionale che si terrà il 20, 21 e 22 febbraio, ad avanzare la mia candidatura alla segreteria.

Il mio obbiettivo è di rilanciare il Pli e di riportarlo all’interno della sua area naturale, che è quella del centro destra, in una collocazione autonoma ed indipendente. In questa iniziativa non sono solo. Posso contare sul sostegno di tanti amici vecchi e nuovi, interni ed esterni al Pli, persone di grande spessore e, comunque, animate da grande impegno. Compreso Marco Taradash, disposto a mettersi in gioco al mio fianco in un partito rinnovato e capace di riconquistare un posto adeguato alla propria storia nel panorama politico italiano.

Nel compiere questa scelta non eseguo alcun ordine. La mia storia indica che sono refrattario agli ordini di chiunque. Rispondo solo ad un impulso di passione civile alimentato da un passato che mi spinge a tentare una così difficile ed affascinante avventura. Sono stato l’ultimo direttore de “l’Opinione”, organo settimanale del Partito Liberale Italiano e, dal 1993, dopo la scomparsa del Pli, sono stato l’artefice della trasformazione de “l’Opinione” in giornale quotidiano fedele alla sua tradizione di punto di riferimento dell’area liberale politica e culturale del nostro paese. Nel rispetto di questo ruolo ho sostenuto e favorito, con i mezzi in mio possesso, gli sforzi di Stefano De Luca per tenere in piedi in Pli in tutti questi anni. E solo negli ultimi tempi, per ragioni non dipendenti dalla mia volontà, non ho più potuto garantire al Pli l’ospitalità assicurata all’interno degli uffici de “L’opinione”.

Questa storica “convivenza” è andata avanti all’insegna della reciproca autonomia, del quotidiano e del partito. Il partito, sotto la guida di Stefano De Luca, ha assunto di volta in volta le posizioni che tutti gli iscritti ed i simpatizzanti conoscono. E il giornale “l’Opinione” ha sempre garantito spazi e presenza alle tesi di De Luca e degli altri esponenti del Pli, anche quando risultavano difformi dalla linea del giornale da me diretto. In tutto questo lungo periodo ho cercato di mantenere “l’Opinione” in una posizione centrale rispetto alla grande galassia liberale, laica e riformista formata da frammenti, gruppi, spezzoni e singole individualità. Nel tentativo di dare a ciascuno uno spazio ed un riconoscimento. E nello sforzo, da un lato, di favorire quella ricomposizione unitaria che, purtroppo, non è mai stato possibile realizzare. E dall’altro di contribuire ad assicurare comunque una rappresentanza politica al mondo liberale. Fosse dentro o fuori Forza Italia o An, vicino al Pri o a fianco degli altri laici e del Partito Radicale o in una qualsiasi area intermedia che non fosse quella della sinistra. Sono convinto che nel sistema bipolare venutosi a creare dopo la fine della prima Repubblica la collocazione naturale dei liberali sia all’interno del centro destra. Autonoma e indipendente da i partiti di quest’area. Ma sempre alternativa ed antagonista con la sinistra.


Tutta questa premessa serve a spiegare le ragioni della mia scelta e di questa lettera aperta agli iscritti ed ai simpatizzanti del Pli. La delusione e l’irritazione, pur se comprensibili, per il mancato accordo con il Pdl alle ultime elezioni, hanno spinto il segretario Stefano De Luca a traghettare progressivamente il partito su una posizione innaturale di singolare vicinanza al fronte variegato dell’attuale opposizione. Dietro questo spostamento non c’è una analisi approfondita ed esauriente della situazione politica italiana. C’è un pizzico di pur comprensibile ritorsione. E, soprattutto, c’è la radicata convinzione che l’unica possibilità di trovare uno spazio politico dipenda per il Pli non da una sua linea, dalle sue battaglie e dal suo radicamento nella società italiana ma solo da una gestione “politicista” del proprio nome e del proprio blasone. Il mio timore, in sostanza, è che l’attuale gruppo dirigente del Pli, non essendo riuscito a “ vendere “ il proprio titolo nobiliare al Pdl in cambio di un posto in Parlamento, voglia ora tentare una operazione analoga con l’Udc o con il Partito Democratico. Nell’illusione, propria del vecchio modo di concepire la politica, che sia la rappresentanza a determinare il consenso e non il consenso sulle idee, sui valori, sugli impegni e sulle battaglie a spianare la strada alla rappresentanza.


Proseguire lungo questa strada e con questi comportamenti politici significa, a mio parere, condannare il più antico partito italiano alla definitiva dissoluzione. Viceversa, se il Pli vuole tornare a vivere deve necessariamente cambiare. Il cambiamento deve riguardare gli uomini ed il modo di fare politica. E, soprattutto, deve poggiare su una analisi della situazione politica nazionale da cui emerge con assoluta chiarezza che, mentre all’interno delle opposizioni di centro e di sinistra non c’è alcuno spazio politico per chi voglia portare avanti battaglie liberali, nell’area del centro destra si stanno determinando le condizioni migliori per consentire ad un Pli rinnovato di giocare le proprie carte. In piena autonomia ed indipendenza dagli altri partiti della maggioranza di governo. Un Pli che non si annulli nel Pdl ma sia la “coscienza critica” di una coalizione che senza il sale dei valori della democrazia liberale costantemente sostenuti e rilanciati rischia l’omologazione e l’appiattimento sulla semplice ortodossia di stampo cesarista. Il Pli rinnovato deve mettere al centro del proprio programma pochi ma precisi punti qualificanti.


Il primo riguarda la difesa dell’unità nazionale che non può essere messa in discussione da un federalismo burocratico che destinato a riproporre il centralismo su scala regionale e ad appesantire il peso dello stato sulle spalle del cittadino innescando, oltre tutto, pericolosi processi centrifughi. Il Pli, partito di Cavour, ha il dovere storico di battersi per la tutela dell’unità del paese. Non nella riproposizione antistorica dello stato centralista. Ma nel sostegno ad una concezione federale d’ispirazione americana fondata su una forte difesa della identità nazionale e su un effettivo passaggio di una parte delle competenze dello stato centrale alle realtà locali. Il Pli, però, è anche il partito che aveva denunciato a suo tempo che l’istituzione delle regioni si sarebbe risolta nella moltiplicazione delle strutture burocratiche e nell’aumento della spesa pubblica improduttiva. Per cui, proprio nel quadro di un federalismo liberale, deve battersi per un riordino delle strutture pubbliche che tenga conto che l’ormai vecchia articolazione regionale è superata e che se si vuole realizzare una struttura federale si deve tenere conto delle aree metropolitane e delle province.


Il secondo punto riguarda la democrazia all’interno dei partiti, che è la questione prioritaria rispetto anche all’evoluzione del sistema bipolare in bipartitico o ad un ipotetico ritorno al proporzionale. Senza una legge che imponga l’applicazione del metodo democratico all’interno dei partiti qualsiasi sistema, sia esso bipartitico o multipartitico, può dare vita ai partiti “padronali”. In questa luce va vista anche la questione delle liste bloccate o delle preferenze. Il rispetto delle regole democratiche all’interno dei partiti, magari con l’introduzione delle primarie, azzera il problema e favorisce una selezione di classe dirigente sicuramente migliore di quella dei cooptati e degli eletti-nominati.

Il terzo punto riguarda la difesa della democrazia liberale, della società aperta, dello stato di diritto e della legittima pretesa dei cittadini ad avere una giustizia giusta e non al servizio dei potenti o delle corporazioni. In questa luce s’inserisce la difesa del modello liberale e liberista in economia in contrapposizione con quello autoritario e dirigista. Nessuno nega, nel breve periodo e per fronteggiare circostanze eccezionali provocate dalla crisi economica, la necessità di un oculato intervento dello stato a sostegno delle fasce più deboli della popolazione e per stimolare la ripresa dell’economia. Ma l’eccezionalità non può in alcun caso rappresentare la regola. Perché l’esperienza insegna che l’eccesso di dirigismo statalista schiaccia il cittadino e provoca distorsioni di tipo autoritario spesso irrimediabili nel funzionamento delle istituzioni.

Il quarto, infine, è rappresentato dalla collocazione internazionale del nostro paese a fianco delle grandi democrazie del pianeta e la difesa dei valori dell’Occidente.


Credo che su queste basi sia possibile ridare linfa e vigore al Pli. Per renderlo la coscienza critica della propria area naturale di riferimento, che è quella del centro destra. Ma anche per difenderne l’autonomia rispetto alle forze politiche della stessa area ed assicurargli un ruolo di pungolo continuo ed intransigente a tutela dei valori di libertà. Ho meditato a lungo prima di assumere la decisione di candidarmi alla segreteria del Pli. Non sono un politico di professione e non ho alcuna intenzione di rinunciare al mio mestiere di giornalista. Non ho smanie di potere e non ho alcun motivo di risentimento personale nei confronti di Stefano De Luca al quale, anzi, oltre i sentimenti di una antica amicizia, va la mia stima per l’impegno profuso in tutti questi anni per tenere in piedi le insegne liberali. Ma sono convinto che per il Pli sia arrivato il momento di voltare pagina. E che il mio non essere un politico di professione ma un giornalista di lungo corso possa aiutare il partito ad uscire dal gorgo che minaccia di condannarlo alla marginalizzazione ed alla definitiva scomparsa. So bene che la mia iniziativa alimenterà il dibattito che si è già aperto sul futuro del Pli. Ma considero questo un mio primo contributo all’aumento della vitalità del partito. Il resto si vedrà al congresso!

Arturo Diaconale

---

Una grande notizia per tutti i Liberali VERI!!!

giovedì 22 gennaio 2009

VALDUCCI: Sarà il Pdl degli iscritti e dei registrati

Una precisazione positiva sulla strutturazione del PdL...speriamo bene...

"Servono due binari. Uno sara’ quello degli iscritti, della politica vissuta a tempo pieno: indispensabile per far funzionare il partito e le istituzioni, per selezionare la classe dirigente. L’altro binario sara’ riservato ai registrati, cioe’ a quelli che ci votano, non sono interessati a impegnarsi nella vita politica, eppero’ vogliono dire la loro. Le decisioni piu’ importanti, dalla scelta dei candidati a quella della linea del partito dinanzi a temi particolarmente delicati, sara’ affidata a loro, anche perche’ una platea cosi’ larga, fatta di milioni di persone, costituira’ una garanzia".

Credits: Forza Italia.it

martedì 20 gennaio 2009

In Memoria di Luigi Preti (scrittore e politico) 1914 - 2009

E' con questo articolo di Egidio Sterpa, apparso su "il Giornale" del 21 Ottobre 2006, che voglio rendere omaggio ad uno dei "padri sconosciuti" della nostra Repubblica. Si tratta di Luigi Preti, uno degli storici leader del socialismo riformista italiano. Ha militato ne PSDI fino alla diaspora, fondando poi diverse formazioni d'ispirazione riformista collocate nello schieramento di centrodestra, contro i massimalisti, contro il comunismo. Di lui i libri di storia non parlano, ma è la Storia a parlare per lui. Più Luigi Preti e meno Togliatti, Berlinguer, ecc., e il nostro Paese sarebbe sicuramente stato migliore...

"Non finisce di meravigliare Luigi Preti, oggi novantaduenne, per oltre quarant’anni parlamentare della Repubblica, per quattordici ministro. È ancora sulla breccia, che nel suo caso non è una espressione meramente retorica: scrive (sono quasi una ventina i suoi libri), pubblica articoli e lettere sui giornali per puntualizzare e affermare il proprio punto di vista. È il «grande vecchio» della socialdemocrazia italiana, anche se di senile nel suo comportamento e in tutta la dinamica della sua vita non c’è davvero nulla. Lo si incontra tuttora come «pendolare» sui rapidi Bologna-Roma o per le strade romane, che percorre a piedi.
Ammirevoli sono la sua coerenza e fedeltà agli ideali che ne hanno caratterizzato la militanza politica. Socialista, nel 1947 fece con Saragat la scelta socialdemocratica, partecipando da protagonista alla vicenda storica che si svolse a Palazzo Barberini con la scissione dal Partito socialista che Nenni invece volle allora nel patto di unità e di azione col Pci dichiaratamente stalinista.
Sono passati 59 anni e Preti non ha mai tradito quella scelta, allora davvero controcorrente e coraggiosa. Del partito socialdemocratico è stato tra l’altro segretario, ed ancora oggi è alla socialdemocrazia che dedica tempo, studi e iniziative. Nelle settimane scorse ha pubblicato a pagamento un annuncio sul Corriere della Sera per testimoniare pubblicamente e inflessibilmente la sua fede. L’annuncio si chiude con questa frase: «Devo dire che purtroppo, finora, non mi hanno ascoltato né gli esponenti politici né gli organi d’informazione».
Parole che destano qualche turbamento e anche un po’ di imbarazzo in taluni ambienti. Quanti ce ne sono oggi, tra i politici, che possono vantare curricolo, coerenza, forza morale e anche cultura come Luigi Preti? Quest’uomo è stato membro della Costituente (di suo nella Costituzione italiana c’è, come dimostrano gli atti parlamentari, un emendamento che definisce la magistratura non «potere», come qualcuno aveva proposto, ma «ordine autonomo»), è scrittore non di second’ordine (il suo Giovinezza, Giovinezza vinse il Premio Bancarella nel 1964), studioso serio, non superficiale (vanno citate almeno due sue opere: Le lotte agrarie nella Valle Padana e Giolitti e i riformisti), persona di gran carattere e aduso, per educazione e cultura politica, a rispettare gli avversari, pur combattendone fermamente le idee, ma praticando quel fair-play che da anni purtroppo non c’è più nella politica italiana.
Tutte qualità che risaltano nel suo ultimo recentissimo libro Ricordi di ottanta anni di vita italiana (Gangemi Editore, pagg. 254, euro 15) al quale mi sia permesso di dedicare questa colonnina come recensione. C’è solo un rammarico, che vale la pena di esprimere: che ad un uomo siffatto il Quirinale finora abbia negato il riconoscimento di senatore a vita.

Germania: Della Vedova, “Vince alleanza popolari-liberali, utile lezione per il Pdl”

La piattaforma politica del Pdl guardi sia alla Merkel sia a Westerwelle

Dichiarazione di Benedetto Della Vedova, presidente dei Riformatori Liberali e deputato del Pdl

I risultati delle elezioni in Assia, che registrano il successo della Cdu in alleanza con i liberali di Guido Westerwelle, sono molto utili per stabilire, in prospettiva, quale possa e, a mio parere, debba essere la piattaforma dello schieramento liberale e conservatore in Italia.
In Germania si annuncia un’alleanza tra il partito del popolarismo europeo e quello del liberalismo marcatamente pro market e libertario. In Italia, in uno schema bipartitico che spero possa consolidarsi, entrambe queste culture politiche e di governo devono trovare spazio all’interno del Pdl. Già oggi questa sintesi trova riscontro sul piano elettorale, visto che in Italia votano per il Pdl tanto gli elettori che in Germania voterebbero Westerwelle, quanto quelli che voterebbero la Merkel.
Sul piano politico, è invece evidente il rischio che la piattaforma del Pdl assuma su vari temi (da quelli economico-sociali a quelli civili) una impostazione puramente conservatrice, quando non reazionaria, assai più arretrata di quella dei popolari tedeschi e destinata ad emarginare le proposte più propriamente liberali, liberiste e libertarie e gli elettori che in esse si riconoscono.
La classe dirigente del Pdl deve essere consapevole di questo rischio e tentare di scongiurarlo.

Credits: Riformatori Liberali

venerdì 16 gennaio 2009

PRI: Una solidarietà ininterrotta da La Malfa a Spadolini

Questo l’intervento con cui Vito Kahlun ha testimoniato l’adesione del Pri alla manifestazione in solidarietà con Israele tenutasi mercoledì sera a Roma davanti a Montecitorio


Carissimi amici, vorrei innanzitutto salutare il segretario del Partito Repubblicano, On. Francesco Nucara, che questa sera è qui con noi e che mi ha dato l’opportunità di parlare in rappresentanza del partito in questa magnifica serata. E’ bello vedere come, in questa manifestazione per la pace, le bandiere vengano sventolate e non bruciate. Sapere che chi è qui stasera non invita al boicottaggio di negozi gestiti da musulmani.

E’ in comportamenti di questo tipo che si può individuare la profonda differenza tra chi si sente libero di fare ciò che gli pare e chi è consapevole del fatto che le regole e leggi di uno Stato sono le sole e vere garanti della legalità e della libertà. L’anno scorso, in occasione della visita a Sderot di una delegazione del partito, l’On. Francesco Nucara, a capo di questa delegazione, fece un discorso offrendo un parallelismo tra Mazzini e Herzl, tra sionismo e mazzinianesimo. Parallelismo svolto anche dal Presidente della Repubblica nel suo discorso di fine hanno. Nell’occasione di quella visita è stato immediato comprendere come la popolazione del sud d’Israele non potesse vivere in perenne condizione di minaccia. Allora voglio dire all’On. D’Alema che non c’è questione di proporzioni quando l’unica proporzione accettabile è quella che garantisce ai cittadini israeliani il diritto alla tranquillità e all’esistenza.

In questo periodo c’è chi sottolinea che Hamas è stato democraticamente eletto. Vorrei chiedere, a chi mette in rilievo questo aspetto, se Hamas allo stesso modo ha democraticamente deciso di colpire Israele con 9000 missili, ha democraticamente ucciso gente del suo popolo usando anche i bambini come scudi umani. Perché non c’è democrazia in tutto questo!

Credo però che Israele abbia democraticamente deciso di non farsi distruggere. La differenza è abissale tra chi difende il suo diritto ad esistere e convivere in pace con i suoi vicini e chi si pone l’obiettivo di annientarli.

Voglio concludere ricordando due grandi personaggi della storia di Italia. Giovanni Spadolini, primo politico italiano invitato alla Knesset e l’unico ministro che si rifiutò di ricevere Arafat nel 1982 e poi nel 1988.

E Ugo La Malfa, altro grande amico di Israele, che affermò: "La libertà dell’Occidente si difende sotto le mura di Gerusalemme". Oggi noi stiamo difendendo quella stessa libertà sotto Montecitorio.

Per dire se Israele abbia fatto la cosa giusta è presto, sicuramente ha fatto ciò che andava fatto e i Repubblicani, per quello che possono, lo sosterranno come sempre hanno fatto nella loro storia.

Credits: PRI

giovedì 8 gennaio 2009

Con i DiDoRe, Rotondi dà il ‘la’

di Benedetto Della Vedova, da Il Tempo del 7 gennaio 2009

La riflessione del Ministro Rotondi di ieri su Il Tempo circa i DiDoRe, rappresenta un eccellente viatico per una discussione aperta, tanto interna al PDl quanto fra tutte le forze politiche, sulla normativa per le unioni civili.
Rotondi affronta la questione dal suo punto di vista di politico cattolico, appassionato difensore della funzione di mediazione che storicamente i grandi leader della DC hanno incarnato, consentendo “un’armonica convivenza sociale” in un paese di cattolici e non cattolici. Se un tempo, come ha ben spiegato il Ministro, dunque, moltissimi politici vivevano secondo la propria fede cattolica ma sapevano, da legislatori, considerare e rispettare posizioni diverse da quelle espresse dalle gerarchie, oggi mi pare di vedere moltissimi politici che, pur non essendo credenti e non vivendo quindi in modo consono ai dettami della Chiesa, da legislatori si fanno paladini intransigenti della diretta trascrizione della morale cattolica sul piano normativo.
Non ho mai pensato né detto che gli interventi dei vescovi italiani nella discussione pubblica sui temi cosiddetti eticamente sensibili fossero un’ingerenza nella vita politica italiana o interventi a gamba tesa. Anzi, trovo positivamente “laico” questo loro modo di confrontarsi pubblicamente nell’agorà democratica esponendosi così al giudizio e alla critica di tutti gli italiani. Il vero problema, casomai, sta nella politica e nei politici che a volte sembrano considerare la Cei, prima che gli elettori dei proprio schieramento, gli unici interlocutori cui rendere conto (quando poi non ritengano di agire, di fatto, “sotto dettatura”).
Io sono convinto che dentro entrambi gli schieramenti, e per quel che mi riguarda dentro il centrodestra, convivano posizioni diverse su questi temi e sia come minimo azzardato, politicamente ed elettoralmente, tentare una improbabile “reductio ad unum”. Meglio una sana “anarchia”, cioè il riconoscimento liberale di piena cittadinanza a idee tra loro in competizione.
I DiDoRe, del resto, al di là degli scontri ideologici e di una infondata e strumentale contrapposizione tra le politiche a sostegno della famiglia e il riconoscimento delle coppie di fatto, corrispondono alla necessità di una normativa che riconosca su basi pragmatiche ciò che nella società italiana è ampiamente diffuso e comunemente accettato, cioè la differenziazione delle forme stabili di convivenza. Si tratta di un’ipotesi assai moderata (troppo, penso io, ma non è questo il problema), intorno alla quale potrebbe cominciare una discussione scevra da pregiudizi.
A quanti, nel centrodestra, reiterano il loro “no pasaràn” contro qualsiasi forma di riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali e delle unioni civili in genere, consiglio di alzare lo sguardo oltre le alpi e osservare le posizioni dei grandi partiti del Partito Popolare Europeo, cui il PDL enfaticamente si richiama. Oppure, più semplicemente, di leggere le statistiche sul nostro paese.

Credits: Riformatori Liberali