mercoledì 27 febbraio 2008

Temi etici: Della Vedova, Berlusconi anarchico, cioè liberale

Temi etici: Della Vedova, Berlusconi anarchico, cioè liberale

Dichiarazione di Benedetto Della Vedova, Presidente dei Riformatori Liberali e deputato di Forza Italia:

“Trovo le parole usate oggi da Silvio Berlusconi, “siamo un partito anarchico, perche’ su questioni di etica e morale, ad esempio, noi lasciamo la liberta’ di coscienza in tutte le situazioni”, particolarmente importanti e positive.
Io, casomai, non parlerei tanto di partito “anarchico” quanto, semplicemente, di partito “liberale”.
Dietro questa posizione, infatti, da una parte c’è la consapevolezza che su questi temi esistono, non solo tra i politici ma soprattutto tra gli elettori di centrodestra, una molteplicità ed una ricchezza di posizioni che non sarebbe opportuno mortificare. Dall’altra che sarebbe una presunzione fatale quella di assegnare al Governo il compito di imporre a tutti una propria visione “etica”.
Il Parlamento, nella piena libertà di coscienza di ciascun parlamentare indipendentemente dallo schieramento, è la sede più propria per un confronto sui temi etici, sempre, a mio avviso, nella consapevolezza che i legislatori devono essere assai prudenti nello stabilire a maggioranza ciò che è “giusto” e devono essere il più possibile rispettosi dell’autonomia della coscienza dei singoli.
La campagna elettorale di questi giorni del leader dei Partido Popular Rajoy, lo sfidante di Zapatero, evidenzia come anche dentro il Partito Popolare Europeo vi siano posizioni di grande apertura e tolleranza sulle questioni cosiddette eticamente sensibili.”

Credits: Riformatori Liberali

martedì 26 febbraio 2008

E dopo padre Bondi, ecco a voi suor Michela, dell'ordine delle scosciate pentite...





«SONO MOLTO GRATA A GIULIANO FERRARA»

Posso dirle che cosa farei io, se mai dovesse capitarmi un'altra gravidanza, che per la verità escludo. Vede: quando aspettavo mio figlio, io non ho fatto neanche l'amniocentesi. Per me, nel momento in cui era stato concepito, quello era già il mio bambino». Nel dibattito etico-politico-religioso-medico sull'interruzione di gravidanza prevista dalla legge 194, Michela Vittoria Brambilla, 40 anni, presidente dell'associazione nazionale Circolo della Libertà, ma soprattutto delfina di Berlusconi votata ad alti incarichi - «Ministro? Io continuerò a fare quello che faccio: da che posizione lo farò deciderà lui» -, entra senza mal di pancia nell'arena delle opinioni. Se altre donne di spicco del centrodestra tacciono, con l'abituale eccezione del bastian contrario Prestigiacomo, lei non ha dubbi: il capo - che ha chiesto all'Onu una moratoria sull'aborto - ha sempre ragione.
Sono forse madri indegne, le donne che non si sentono madri dal concepimento, o che rinunciano a bambini destinati alla malattia e alle difficoltà?
«No, guardi, io sono per la totale libertà di coscienza. Ma sono molto grata a Giuliano Ferrara e spero che entri nel Partito della libertà: c'è proprio bisogno oggi di un uomo come lui per riportare la politica sul terreno anche delle idee e dei principi. L'entrata in campo di un uomo di grande spessore intellettuale rappresenta un contributo importante, in un momento in cui si sta finalmente tentando di rigenerare anche quei valori di tradizione, cultura e impegno morale che si sono appannati negli ultimi due anni».
Lo hanno accusato di essere «neoguelfo» e «baciapile».
«Lei davvero pensa che un uomo come Ferrara si assuma tutti i rischi di chi ha deciso di andare controcorrente solo perché "plagiato" da qualche vescovo? Ma andiamo... E anche l'etichetta di "neoguelfo" mi sembra del tutto fuori posto. Le ingerenze della Chiesa su questo tema ci sono, e non potrebbero non esserci, date le vistose carenze nell'applicazione della legge».
Lei è contraria alla 194?
«La verità è che è stata - e continua a essere - applicata in modo spesso assai parziale e anche maldestro. Si faccia un giro nei consultori, scoprirà che alle donne si chiede solo di scegliere se lo vogliono maschio o femmina, biondo o bruno».
Chi, scusi?
«Il ginecologo che farà l'interruzione».
Non capisco.
«Il mio è evidentemente un paradosso per farle capire che, ferma restando la libertà ultima della donna a proseguire o meno la gravidanza, non viene affatto messa in grado di valutare tutti gli elementi. Lo Stato laico ha gestito male, anzi malissimo, la 194: lo Stato deve salvaguardare i diritti delle donne, ma anche quelli di chi sta per nascere».
Non le sembra curioso che sia Berlusconi che Veltroni abbiano dichiarato di voler tenere questo tema fuori dalla campagna elettorale? Nobiltà d'animo nel non volere ridurre a slogan un argomento così delicato, o paura di scontentare per un verso o per l'altro gli elettori?
«Guardi, mi sembra che il loro programma converga su tanti punti. Con una differenza: che col 55% di cui è accreditato nei sondaggi, Berlusconi potrà portarlo avanti. Veltroni, col suo 27%, no».


(da Vanity Fair, 27/02/08)

lunedì 25 febbraio 2008

Nel mondo islamico sta vincendo la democrazia

di Amir Taheri

I media occidentali hanno tutti presentato le elezioni in Pakistan come una sconfitta del presidente Pervez Musharraf. In realtà, i veri sconfitti sono stati i partiti islamisti. I risultati mostrano che i partiti connessi, o quanto meno affini, ai talebani e ad Al Qaeda hanno subito un tracollo nei consensi, passando dall’11 per cento delle ultime elezioni di qualche anno fa al 3 per cento di oggi. La coalizione principale dei partiti islamisti, l’Assemblea Unita per l’Azione (MMA) ha perso il controllo della Northwest Frontier Province, l’unica della quattro province pakistane in cui era al governo. Il vincitore nella provincia è stato il partito nazionale Awami, dichiaratamente secolare. Nonostante le grandi somme di denaro elargite dall’Iran e dai ricchi stati arabi del Golfo, l’MMA ha mancato una vittoria che i suoi candidati, sia sciiti che sunniti, erano certi di cogliere.

La sconfitta degli islamisti in Pakistan conferma una tendenza in corso già da alcuni anni. Per il senso comune, le guerre in Afghanistan e Iraq, e la mancanza di progressi nel conflitto israelo-palestinese sarebbero per le forze radicali islamiste il trampolino di lancio per la conquista del potere attraverso le elezioni.

Molti analisti in Occidente usano tale prospettiva per attaccare la Dottrina Bush della diffusione della democrazia in Medio Oriente. Per costoro i musulmani non sarebbero pronti per la democrazia e le elezioni si risolverebbero semplicemente in una vittoria dell’islam più intransigente. I fatti ci dicono che non è così. Finora, nessun partito islamista è riuscito a conquistare la maggioranza del voto popolare in nessun paese musulmano dove si sono svolte elezioni con modalità accettabili. E comunque, i consensi degli islamisti sono ovunque in forte calo.

In Giordania, ad esempio. Nelle elezioni generali dello scorso novembre, schiacciante è stata la sconfitta del Fronte d’Azione Islamico, passato dal 15 per cento di quattro anni fa al 5. I gruppi radicali legati alla Fratellanza Musulmana sono riusciti a conservare solo 6 dei 17 seggi che avevano all’Assemblea Nazionale, mentre gli alleati indipendenti del movimento radicale egiziano non ne hanno conquistato neppure uno.

In Malesia, gli islamisti non sono mai andati oltre l’11 per cento. In Indonesia, i diversi gruppi radicali musulmani non hanno mai raccolto più del 17. Gli islamisti del Bangladesh dall’11 per cento degli anni ‘80 sono scesi fino al 7 della fine degli anni ‘90.

A Gaza e in Cisgiordania, Hamas – il braccio palestinese della Fratellanza Musulmana – ha vinto le elezioni del 2006 con il 44 per cento dei voti, lontano dalla valanga di consensi tanto attesa. Ed anche allora era chiaro che tra gli elettori di Hamas non tutti ne condividevano l’ideologia islamista. Malgrado le accuse di malgoverno e corruzione, Fatah, l’avversario secolare di Hamas, ha ottenuto il 52 per cento.

In Turchia, il partito di Giustizia e Sviluppo (Akp) ha vinto due elezioni consecutive, le ultime nel luglio 2007, con il 44 per cento dei voti. Ma i leader dell’Akp hanno voluto mettere in chiaro che il loro partito “non ha nulla a che fare con la religione”. “Noi siamo un partito di tipo europeo moderno e conservatore”, ripete spesso il premier Recep Tayyib Erdogan. Alle elezioni dello scorso luglio, l’Akp ha perso 23 seggi e con essi la maggioranza dei due terzi all’assemblea nazionale.

Il successo dell’Akp in Turchia ha ispirato gli islamisti del Marocco che a loro volta hanno dato vita al Partito della Giustizia e dello Sviluppo (PDJ). Il PDJ ha richiesto e ottenuto la consulenza di ‘esperti’ dell’Akp per preparare le elezioni che si sono svolte a settembre. A fine conteggio, è risultato che il PDJ ha ottenuto appena il 10 per cento dei voti e 46 seggi su 325.

Gli islamisti non hanno fatto meglio nella vicina Algeria. Nelle consultazioni del maggio 2007, i due partiti islamisti, il Movimento per una Società Pacifica e il Risveglio Algerino, non sono andati oltre il 12 per cento.

Nello Yemen, uno dei paesi arabi dove la cultura della democrazia ha le radici più profonde, negli ultimi 20 anni il supporto per le forze islamiste alle elezioni è sempre stato attorno al 25 per cento. Alle elezioni del 2003, la confraternita Yemenita per le Riforme ha preso il 22.

Il Kuwait è un altro dei paesi arabi in cui lo svolgimento di elezioni sufficientemente regolari è divenuto parte della cultura nazionale. Alle consultazioni del 2006, il blocco islamista, ben sostenuto finanziariamente, ha raccolto il 27 per cento dei voti e 17 dei 50 seggi dell’assemblea nazionale.

Nell’elezioni del 2005 in Libano, i partiti islamisti, Hezbollah (il Partito di Dio) e Amal (Speranza) hanno preso il 28 per cento dei voti e 28 seggi su 128 in parlamento. E ciò, malgrado il supporto massiccio in termini economici e di propaganda fornito dall’Iran, e gli accordi elettorali con il blocco cristiano guidato dal filo-iraniano ed ex generale Michel Aoun.

Molti osservatori non ritengono che le elezioni egiziane siano tanto libere e regolari da essere politicamente indicative. Tuttavia, le ultime avvenute nel 2005 possono essere considerate le più autentiche dal 1940, anche solo perché all’opposizione islamista è stato consentito di presentare i suoi candidati e di fare campagna elettorale. I candidati dei Fratelli Musulmani, però, hanno ottenuto meno del 20 per cento dei voti, nonostante la diffusa insoddisfazione nei confronti del regime autoritario di Hosni Mubarak.

Altri paesi arabi dove gli standard elettorali sono ancora lontani dall’essere accettabili sono Oman e Bahrain. Ma anche qui gli islamisti non sono riusciti a fare meglio. In Tunisia e Libia, gli islamisti sono fuori legge e non hanno potuto sottoporre la loro forza politica al test elettorale.

In Afghanistan e Iraq si sono svolte diverse elezioni dalla caduta dei talebani a Kabul e dei baathisti a Baghdad. Secondo tutti gli standard, le consultazioni sono state generalmente libere e regolari e di conseguenza un valido test per la propensione della popolazione alla democrazia. In Afghanistan, le forze islamiste, compresi gli ex talebani, sono riusciti a prendere circa l’11 per cento.

Il quadro in Iraq è più complicato, perché i votanti si sono trovati di fronte a liste bloccate che hanno permesso ai partiti di celare la loro vera identità dietro il velo delle appartenenze etniche e settarie. Solo le prossime elezioni nel 2009 potranno rivelare la vera forza dei partiti politici perché la competizione non sarà tra liste bloccate. I sondaggi più diffusi, comunque, ci dicono che le forze apertamente islamiste non supereranno il 25 per cento.

Lontani dal rifiutare la democrazia perché considerata “aliena”, o dal servirsene come mezzo per creare sistemi totalitari islamisti, la maggioranza dei musulmani ha più volte dimostrato di desiderare le elezioni e l’integrazione nel circuito democratico globale. Il presidente Bush ha ragione quando sottolinea la necessità di svolgere elezioni libere e regolari in ogni paese musulmano.

I tiranni temono elezioni libere e regolari, come dimostrano gli sforzi del regime khomeinista di aggiustare il risultato delle elezioni del prossime mese in Iran selezionando i candidati. Il supporto per i movimenti democratici nel mondo musulmano resta l’unica strategia credibile per la vittoria nella guerra al terrorismo.



© Wall Street Journal

Traduzione di Emiliano Stornelli

Da: L'Occidentale

mercoledì 20 febbraio 2008

Se Musharraf difendeva anche noi...

La sconfitta del partito di Musharraf in Pakistan ricorda, per certi versi, quella del Partido Popular contro Zapatero in Spagna.
Oggi come allora, il sangue versato ha avuto un ruolo "strategico" nell'orientare le scelte elettorali del popolo. Come gli attentati ferroviari a Madrid, così anche l'assassinio Bhutto ha certamente segnato negativamente le forze governative.
E allora, forse, è il caso di riflettere bene sul "filo rosso (sangue)" che lega le due tornate elettorali.

Anche l'omicido del leader d'opposizone pakistana può esser stato frutto, più che di qualche fanatico del generale/presidente, di ambienti vicini al terrorismo islamico.

Sappiamo infatti che i talebani hanno alcune "roccaforti" in Pakistan e, guarda caso, queste elezioni hanno danneggiato un altro "amico dell'America", come lo erano certamente più i Popolari spagnoli che Zapatero (che infatti ha subito ritirato le truppe).

La "caduta" di "Mushy" è quindi un grave danno per il mondo occidentale, oltre che per parte della sua popolazione.

Chiaro che i pakistani non se la sono passata benissimo (eufemismo) con lui, ma certo andrebbe loro peggio in caso di un escalation degli estremisti islamici che, non nascondiamocelo, non hanno certo bisogno delle elezioni democratiche per prendersi il potere.

Musharraf ha saputo come tenerli a bada, sapranno i nuovi governanti fare altrettanto?!?

Anche per noi (Occidente) è importante saperlo...

lunedì 11 febbraio 2008

Italia, rialzati!



E' fatta, le basi sono state gettate. Col listone unico (o quasi) del centrodestra alle imminenti Elezioni Politiche, il partito unico dei moderati, il PdL, è veramente ad un passo. La (sperata) vittoria elettorale e una conseguente azione di governo incisiva ed efficace faranno il resto. E se dall'altra parte sono "partiti democratici", noi arriveremo LIBERI e VINCENTI. Italia, rialzati!

Su una prospettiva del futuro PdL, segnalo questo intervento di Benedetto Della Vedova, leader dei Riformatori Liberali, uno dei partiti che aderisce alla lista del PdL.

sabato 9 febbraio 2008

Il nuovo che avanza...

mercoledì 6 febbraio 2008

Il "forcing" della Chiesa e i politici subordinati

Intervista a Benedetto Della Vedova, di Elisa Borghi, dall’Opinione del 6 gennaio 2008

“Mai come ora si è visto un proliferare di attenzione verso sentimenti o valori ispirati o attribuiti alla chiesa cattolica” scriveva Dario Rivolta sul nostro giornale martedì. Il deputato azzurro si riferiva al sorgere di una serie di correnti politiche e di pensiero, dai teodem ai teocon agli atei-devoti, che si sono inseriti con prepotenza nel dibattito culturale del Paese, cercando di influenzarne la legislazione con istanze che si rifanno ai valori cattolici. La discussione di temi eticamente sensibili, dall’aborto all’eutanasia, oggi sembra dover tener conto, o per lo meno ascoltare molto attentamente, quanto dice il Vaticano. Ne parliamo con Benedetto della Vedova, deputato di Forza Italia.

Ritiene che in questo periodo storico le ingerenze della Chiesa Cattolica nella vita politica e sociale dello Stato italiano siano particolarmente marcate?
Io credo che la Chiesa oggi stia facendo quello che per molti aspetti ha sempre fatto, cioé incalza i politici, cattolici e non solo, rispetto alle istanze che più stanno a cuore alle gerarchie ecclesiastiche. In questa fase è in atto un “forcing”, si fanno delle pressioni, quello che bisogna valutare è come i politici si pongono di fronte a questo “forcing”, se in modo dialettico, o se in modo intellettualmente e politicamente subordinato alla Chiesa. Nell’essere subordinati sta quello che io giudico uno sbaglio. I politici liberali non dovrebbero cadere nell’errore di demonizzare le posizioni espresse della Chiesa. Ci sono tutti gli elementi per entrare nel merito delle varie questioni e dare risposte diverse.

Un esempio legato all’attualità?
Sulla questione dell’aborto, i legislatori devono dire sì o no alla normativa che ha legalizzato l’interruzione volontaria di gravidanza. All’interno di questa poi si può intervenire, si possono fare delle modifiche. Io non considero la legge 194 un tabù. Se ne può discutere come di qualsiasi altra legge. Il punto, al di là delle convinzioni di fondo di ciascuno, è se una normativa che rende legale l’aborto vada mantenuta oppure no. È questo l’interrogativo che i politici devono porsi. Purtroppo molti di loro su questi temi ragionano in termini astratti. Personalmente, sono disposto a riconsiderare la 194 ma se l’obbiettivo di quelli che vogliono discuterne è cancellarla dico no. Penso che ci siano eccellenti ragioni per ritenere che una legislazione che riconduce il fenomeno dell’aborto entro la legalità e ne regolamenta la pratica debba essere mantenuta.

Cosa pensa dell’appello “per la laicità” firmato da 1500 docenti della Sapienza?
Non capisco il senso di quell’appello. Bisogna comprendere che certe scelte si fanno giorno per giorno dal punto di vista politico. E’ su quel terreno che si misura la capacità dei politici di mantenere una visione autonoma da quella della chiesa, non cercando di mettere a tacere il Vaticano. Credo inoltre che il centro destra debba caratterizzarsi come uno schieramento che si fa forte di una varietà di posizioni sui temi eticamente sensibili, perché sono convinto che in quell’elettorato siano presenti posizioni diverse sui questi temi.

Aldo Schiavone su Repubblica ieri sosteneva che l’Italia è un paese debole che si affida al Vaticano per colmare le proprie lacune.
Non credo che la politica italiana sia così debole. In un futuro in cui mi auguro che vinca il centro destra, si dimostrerà che la crisi di questi anni è stata per molte ragioni la crisi del centrosinistra. La politica deve avere la capacità di esprimere il governo del Paese, deve avere la capacità e la forza di proporre dei progetti di governo che non possono essere quelli spirituali e religiosi della chiesa cattolica. Ma non penso nemmeno che la volontà della Chiesa sia quella di occuparsi del governo dell’Italia.

Gli integralismi si evitano confinando rigidamente Chiesa e Stato dentro i propri confini?
Non mi stupisce il protagonismo delle gerarchie ecclesiastiche e non lo reputo una cosa di per sè negativa. Nella storia italiana è piuttosto un fatto. È un elemento di dialettica e di confronto che diventa dannoso solo quando viene assunto come un dato da cui non si può prescindere, allora diventa un problema della politica. Credo che ci siano buone ragioni per fare delle scelte, sul piano normativo, diverse da quelle che promuove il Vaticano. Inoltre anche all’interno della comunità cristiana ci sono posizioni diverse da quelle espresse dalla chiesa o quantomeno c’è un’idea che alcune posizione della chiesa non debbano diventare leggi dello stato.


Credits: Riformatori Liberali

sabato 2 febbraio 2008

McCain for President

In seguito alla debacle nelle primarie repubblicane della Florida, l'ex sindaco di New York, Rudolph "Rudy G" Giuliani si è ritirato dalla corsa per la candidatura alla Casa Bianca. Ovviamente la cosa dispiace, visto il mio personalissimo "endorsement", con tanto di adesione agli "Italian Bloggers for Giuliani 2008".

"The America Mayor" era il candidato ideale per i liberali, visto le sue posizioni liberiste in economie e, soprattutto, quelle NON conservatrici in ambito etico-morale.

Ora, sia lui sia il Governatore della California Schwarzenegger (altro campione dei repubblicani "liberal") hanno dato il loro pubblico appoggio a John McCain, il mitico reduce della guerra in Vietnam e campione dell'americanismo "bald eagle style".

In effetti, il senatore dell'Arizona è il meno "evangelizzato" tra i candidati rimasti in gara, certamente più moderato del folkloristico Huckabee e del mormone Mitt Romney.

L'unico suo problema è che forse è un po' troppo anziano in una corsa molto "giovanilistica", nonostante non si tratti certo di un "parruccone".

Inoltre, proprio per la sua "indipendenza", difficilmente potrebbe riuscirgli una "chiamata alle armi", tipo quella per la rielezione di George W. Bush.

La sua fortuna potrebbe essere nell'eventualità di una affermanzione di Hillary Rodham Clinton in campo democratico. La "signora Bill" è talmente invisa all'opinione pubblica, che potrebbe anche perdere.

Se dovessi guardare "nel piccolo", dovrei quasi auspicare una vittoria democratica e sperare nuovamente in Giuliani tra 4 anni.

Ma a me piace vincere sempre, per cui dico FORZA McCAIN!