mercoledì 31 marzo 2010

Ma adesso il Pdl riparta per dare corpo al suo destino

Il partito ha bisogno di parlare a tutto il paese, e di "pilotare" la coalizione

di Filippo Rossi


Cercare di capire quel che è successo senza entrare nel solito giochetto dei vinti e vincitori, senza tirare per la giacca i risultati. Non è facile, il giorno dopo, ma bisogna provarci. L'astensionismo, prima di tutto. È vero quello che è stato detto: che è il sintomo di un allontanamento della società civile dalla politica, che c'è bisogno, come oggi ha ribadito il capo dello Stato, di una nuova stagione di riforme per riavvicinare i cittadini alla res publica. Ed è anche vero che l'astensionismo così elevato non ha colpito affatto, come invece è successo in Francia nell'ultima tornata elettorale, la coalizione che governa il paese: segno evidente che la sfiducia verso la classe politica non si è scaricata sulla maggioranza. Merito di chi governa il paese. Demerito di un'opposizione che non riesce da darsi una strategia. Che non riesce a costruire un'alternativa.E questo è ancor più vero se si pensa alla splendida vittoria di Renata Polverini nel Lazio, nonostante il pasticcio delle liste, contro una candidata del centro-sinistra autorevole, forte e motivata. L'ex segretaria dell'Ugl ha saputo interpretare una campagna elettorale all'insegna della sobrietà e del buon senso, senza cavalcare slogan e atteggiamenti barricaderi che avrebbero snaturato il senso della sua candidatura. E non si può non sottolineare l'organizzazione del Pdl romano che è stata capace di un autentico miracolo trasferendo sulla lista Polverini il 33% dei consensi…Certo, una cosa è chiara: per il Pdl, una volta esaurita l’euforia per i risultati delle Regionali, sarà il momento della riflessione. E per un motivo, soprattutto. Un motivo che si chiama Lega. Il Carroccio è il vero vincitore di questa tornata elettorale. Lo è per i numeri (il 36% in Veneto, il 12% a livello nazionale, due presidenti di Regione, e che Regioni). Ma lo è anche “strategicamente”. Lo ha sottolineato subito, a spogli ancora in corso, il suo leader, Umberto Bossi, che, soprattutto, si è investito del ruolo di “arbitro delle riforme”. Le riforme. Tutti sono d'accordo che vanno fatte. E il presidenzialismo è tra quelle ineludibili. Ma il problema è capire quali riforme, che tipo di presidenzialismo. Bisogna capire, ad esempio, che in una democrazia occidentale non può esistere un esecutivo forte senza il bilanciamento di un Parlamento altrettanto forte...Ecco, la Lega proverà a incassare, a Roma, questo ruolo. Ed è su questo fronte che il Pdl dovrà dimostrare di avere una posizione chiara, autonoma, e di avere la forza per portarla avanti con decisione. Perché un partito maggioritario e nazionale non può farsi “trainare” da una formazione (per quanto forte e leale) che è nata e che si propone come fedele espressione delle realtà “locali”. Un grande partito di massa, come il Pdl, non può e non deve rinunciare al ruolo di “pilota”, non può farsi dettare l’agenda di governo. E allora un partito nazionale deve ripartire da questo risultato, dalle scelte vincenti e dai successi ottenuti, per riuscire a darsi un'anima che sappia rappresentare la speranza di una nuova Italia. Il Pdl ha tenuto al nord, è sempre più forte in tutto il sud dove è sempre più radicato, non ha lasciato spazio a un'estrema destra residuale, che riesce a prendere solo le briciole.

È da qui che deve ripartire per dare corpo al suo destino: quello di un grande partito a vocazione maggioritaria che sappia parlare a tutto il paese.


CREDITS: FFWebMagazine

giovedì 25 marzo 2010

Chi va contro Fini, è contro il PdL

Sul rapporto Berlusconi-Fini ha ragione Ferrara
Inserito il 19 marzo 2010
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Tags: Berlusconi, Della Vedova, Ferrara, Fini, PdL
Sul rapporto Berlusconi-Fini ha ragione Ferrara

Dichiarazione di Benedetto Della Vedova, deputato del PdL

Nella PdL c’è chi fa il tifo perché la dialettica politica interna sia soffocata nello scontro tra Fini e Berlusconi e tra finiani e berlusconiani. E’ un errore da cui mette giustamente in guardia oggi Giuliano Ferrara nel suo articolo su Panorama. Che il PdL non possa essere né anti-finiano né anti-berlusconiano è inscritto nelle stesse ragioni che hanno portato alla sua costituzione.

Il futuro del partito non potrà essere costruito sul sospetto e sul redde rationem permanente, ma su di una competizione di idee aperta e su di una unità sostanziale di intenti, di cui sia il Presidente del Consiglio che quello della Camera sono protagonisti oggi e dovranno rimanerlo domani. Anche perché, se salta questa logica, non vince nessuno, ma muore il progetto e la realtà politica del PdL.

Roma, 19 marzo 2010

mercoledì 24 marzo 2010

La Cei scende in campo

Per i vescovi contano più le convinzioni personali che i programmi

di Francesco Nucara


Non ci permettiamo di mettere in discussione il fatto se la Cei davvero riesca a rappresentare in modo univoco tutta la variegata sensibilità del mondo cattolico.

Rispettiamo l’autorevolezza della Conferenza episcopale e ascoltiamo i suoi messaggi con attenzione. Ci chiediamo soltanto se tali messaggi, ormai abituali, siano opportuni in campagna elettorale. Per il ministro Meloni, ad esempio, si tratta di appelli con un loro vasto significato culturale. Ma non è detto comunque che cultura e politica si possano coniugare perfettamente, e in modo neutrale, in una campagna elettorale per le amministrative. Perché un conto è dire: siamo contrari all’aborto e al furto; un altro è affermare: non votate chi è per l’aborto, e magari chi ruba.

Può accadere, per assurdo, che in un Comune un candidato sia sospettato di essere un ladro, mentre il suo rivale si dichiara abortista. Se non ci sono altre alternative - o ce ne sono solo di perdenti, come in questo caso - un buon cattolico cosa dovrebbe fare per seguire il monito della Cei? Astenersi? Sprecare il voto?

Non ci sembra il caso di aprire un conflitto di coscienza tanto grave in vista di un semplice appuntamento amministrativo. E se, ovviamente, chi ruba danneggia la pubblica amministrazione (e si comprende che non vada votato anche se non ce lo dice la Cei), non capiamo quali effetti deleteri possa avere, in merito alla gestione di un Comune o di una Regione, il dichiararsi pro aborto (diritto, fra l’altro, garantito dalla legge italiana).

A meno che l’abortista non sia uno che voglia "imporre" l’aborto a chiunque (caso assurdo), il richiamo della Cei ci sembra se non altro forzato, anche perché è evidente che tutta l’attenzione non è puntata contro il ladro ma contro l’abortista.

In questa campagna elettorale per le regionali c’è una famosa abortista candidata alla guida della Regione Lazio, Emma Bonino, che, come si sa, non ha mai avuto buoni rapporti con l’episcopato, e non solo per l’aborto, ma anche sul tema dell’eutanasia. O perché i Radicali - vedi Pannella la settimana scorsa in un’intervista a Sky - si piccano di essere gli eredi dell’illuminismo e di Voltaire. Il punto è che è singolare l’idea di scegliere un candidato alla guida di una Regione importante come il Lazio sulla base della sue convinzioni personali e non sulla base dei suoi programmi, visto che la Bonino non può essere accusata di furto.

Buon senso vorrebbe che i cittadini decidessero serenamente se la Bonino è o non è un soggetto valido per l’incarico a cui si candida, limitatamente a ciò che intende fare. Perché, oltre al problema morale e culturale nell’ambito della gestione della cosa pubblica, c’è anche e soprattutto un problema di competenza.

Potrebbe infatti darsi il caso di un candidato che non è abortista, non ha rubato (e soddisfa per questi suoi requisiti la Cei) ma è un assoluto incompetente. Allora ci permettiamo di suggerire al cardinal Bagnasco che l’elezione di questo personaggio, cioè l’incompetente, potrebbe procurare danni culturali e morali superiori rispetto a chi è favorevole all’aborto. Del resto, come sosteneva Benedetto Croce, il cretino non andrebbe votato nemmeno se onesto.

E se dovessimo essere noi dei maestri di morale, come lo è la Conferenza episcopale, avremmo un autentico motivo di imbarazzo a consigliare cosa sia giusto e cosa sia sbagliato sostenere nella complessità sociale del mondo contemporaneo. Per questo non invidiamo la Cei e le sue adamantine sicurezze; che, se messe in atto, potrebbero anche causare autentici disastri.

Roma, 23 marzo 2010

CREDITS: PRI

venerdì 19 marzo 2010

Ancora su Generazione Italia

Generazione Italia, un altro mezzo, per lo stesso fine: costruire una destra europea

Dopo tanti anni dal crollo della cosiddetta Prima Repubblica, il sistema politico italiano è ancora fluido. A destra come a sinistra ci si muove, si cerca, ognuno come può e come sa, di trovare una forma “solida” per i due poli di questo insicuro sistema bipolare. E al centro c’è chi spera nel fallimento di questi tentativi per tornare alla vecchia politica basata sulle oligarchie dei partiti e l’assenza di reale alternanza.
Oggi i riflettori, a causa soprattutto della debolezza – innanzitutto progettuale e di elaborazione politico-culturale – del Partito democratico, sono puntati sul PdL, dove perlomeno qualcosa accade. E accade soprattutto nell’area cosiddetta “finiana”. L’ultimo evento è rappresentato dall’annuncio della creazione di una struttura “aggregante” dentro al PdL: “Generazione Italia”.
Dovrebbe trattarsi di un’iniziativa per creare nuovi spazi di partecipazione e “militanza” per quanti sono interessati ad entrare nella vita del partito, soprattutto a livello locale; per quanti, fino ad oggi, con un PdL ancora poco strutturato sul territorio e restio ad aprire spazi di democrazia ed un’effettiva partecipazione dal basso in grado di “pesare”, hanno avuto difficoltà a vivere il partito “dal di dentro”.
Questo a me pare che Generazione Italia voglia essere. Dunque, perché dovrebbe esserci un conflitto con una Fondazione, Fare Futuro, o con testate come FFwebmagazine e il Secolo d’Italia, che si occupano soprattutto di analisi e di elaborazione culturale, certo al “servizio della politica”, ma non di organizzare l’impegno di quanti vogliono, nelle diverse realtà italiane, partecipare e contribuire alla vita del PdL?
Credo che Generazione Italia sia un progetto importante, che persegue con mezzi diversi – e con una dimensione più direttamente organizzativa – lo stesso fine perseguito in questi anni da Fare Futuro, o da altre realtà, come Libertiamo: dare un contributo alla costruzione di una moderna destra europea. Le due dimensioni, quella dell’elaborazione e dell’organizzazione, dunque, non mi pare confliggano, ma credo che siano anzi destinate a divenire complementari.
Per questo, le interpretazioni che circolano sulla stampa di un leader (Fini), pronto a lanciare qualcuno per emarginare qualcun altro, fanno sorridere. Fanno sorridere innanzitutto perché quest’area non è fatta di soldatini obbedienti, ma di persone che si sono ritrovate ad un certo punto della loro storia personale a condividere un’avventura culturale e politica. In secondo luogo, perché non si capisce il motivo per cui, per dare forza alle proprie posizioni politiche e alla propria idea della politica, Gianfranco Fini non dovrebbe attingere a tutto ciò che di vitale lo circonda.
Dunque, che gli amici de Il Giornale stiano tranquilli: non sono previsti esodi da Fare Futuro verso lidi più à la page, nessuno sta “drizzando le orecchie” per capire dove sia più conveniente “trasferirsi”. Si continua a lavorare, per ciò in cui si crede.

Questo articolo esce in contemporanea su libertiamo.it e ffwebmagazine.it

Sofia Ventura - Nata a Casalecchio di Reno nel 1964, Professore associato presso l’Università di Bologna, dove insegna Scienza Politica e Sistemi Federali Comparati. Studiosa dei sistemi politici in chiave comparata, ha dedicato la sua più recente attività di ricerca ai temi del federalismo, delle istituzioni politiche della V Repubblica francese, della leadership e della comunicazione politica.
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Commento interessato su Generazione Italia (e consiglio non richiesto ai promotori)


Solo un cieco non si è accorto di quanto magmatica (e cioè fluida, bollente, dinamica) sia oggi la realtà del Popolo della Libertà. Tra fondazioni, associazioni e webmagazine, il grande partito di centrodestra ha una vitalità che l’altera pars, il Pd, probabilmente invidia. La realtà la fa la realtà (dice spesso Benedetto Della Vedova parafrasando Tremonti), e nel caso del PdL l’ingessatura formale dello statuto del partito è stata resa obsoleta dalle dinamiche reali, dal confronto e dallo scontro – non tenero in verità – tra idee diverse. Essendo il PdL sicuramente berlusconiano, i fatti hanno dimostrato che non tutti i suoi esponenti hanno voglia che il partito diventi nel suo futuro “berlusconista”, e cioè basato sulla cristallizzazione della leadership carismatica del suo fondatore. Ed è un bene: un partito che ambisce a coprire elettoralmente e politicamente, per i prossimi decenni, l’enorme spazio moderato e liberale dell’opinione pubblica italiana ha il dovere di offrire agli elettori una piattaforma politica di una destra moderna, innovativa e non più “eccezionale”, di ampio respiro e di lungo periodo, che proponga un’idea di Paese e le misure concrete per realizzarla. Sottesa a questo discorso c’è ovviamente la questione della leadership, come è ovvio: escludendo per definizione la successione per investitura o per adozione (che sarebbe il corollario della scelta “berlusconista”), è giusto che nel PdL si rifletta seriamente sui meccanismi istituzionali di selezione del leader del partito. Non farlo, considerando la mera discussione un “attentato” alla guida di Berlusconi, significa non voler bene al progetto del PdL, considerarlo consustanziale al Cavaliere e, in fondo, incapace di sopravvivergli.

Libertiamo è nata un anno fa (il 14 marzo 2009, per l’esattezza) e da un anno diciamo le stesse cose – queste cose – sul PdL: lavoriamo alla costruzione di un grande partito (un po’ come i Tories o l’UMP, un po’ come il GOP) che sia un coacervo di idee e proposte di policy in competizione dialettica tra loro in un’organizzazione aperta, tenuta insieme da un’identità inclusiva. Tutto ciò che contribuisce a costruire “questo” partito a noi piace, anche quando non incontra direttamente il nostro gusto politico. Quindi non ci piace solo Generazione Italia, che intende dare corpo e braccia alla proposta politica “finiana” (descritta, a torto, come troppo elitistica e culturale). Ci piace anche l’iniziativa dei Promotori della Libertà, la costola più movimentistica e mainstream della leadership berlusconiana, che è legittima proprio perché è vera e rappresentativa di un pezzo importante dell’elettorato e del consenso del maggiore partito italiano.

La nascita di entrambe le associazioni evidenzia la necessità di soddisfare un bisogno – di partecipazione, di impegno, di luoghi di aggregazione e di “lotta politica” interna – che il PdL non ha ancora saputo organizzare. Un bisogno che non sono le associazioni di cultura politica, come Libertiamo o Fare Futuro, e neppure il partito in sè a potere soddisfare.

Agli ideatori di Generazione Italia ci permettiamo di inviare un consiglio, non richiesto in verità: evitare il rischio che, all’ombra della leadership e delle idee finiane, il nuovo movimento diventi una somma di piccole cordate locali, ognuna interessata a massimizzare sul proprio territorio il numero di “posti” ed il proprio potere rispetto ad altri pezzi del partito. Questo corromperebbe e spoliticizzerebbe il progetto. Il PdL ha tremendamente bisogno di luoghi di formazione di una nuova classe politica, preparata ed onesta. Generazione Italia ha allora la preziosa occasione di rappresentare uno di questi luoghi, uno dei migliori. Non la sprechi.

Piercamillo Falasca - Nato a Sarno nel 1980, laureato in Economia alla Bocconi, è fellow dell’Istituto Bruno Leoni, per il quale si occupa di fisco, politiche di apertura del mercato e di Mezzogiorno. È stato tra gli ideatori di Epistemes.org. E’ vicepresidente dell’associazione Libertiamo. Ha scritto, con Carlo Lottieri, "Come il federalismo può salvare il Mezzogiorno" (2008, Rubbettino) ed ha curato "Dopo! - Ricette per il dopo crisi" (2009, IBL Libri).

mercoledì 17 marzo 2010

W 'Generazione Italia'

Farefuturo e Generazione Italia: ma che problema c'è?
Semplicemente, si continua a lavorare per quello in cui si crede


di Sofia Ventura

Dopo tanti anni dal crollo della cosiddetta Prima Repubblica, il sistema politico italiano è ancora fluido. A destra come a sinistra ci si muove, si cerca, ognuno come può e come sa, di trovare una forma “solida” per i due poli di questo insicuro sistema bipolare. E al centro c’è chi spera nel fallimento di questi tentativi per tornare alla vecchia politica basata sulle oligarchie dei partiti e l’assenza di reale alternanza.

Oggi i riflettori, a causa soprattutto della debolezza – innanzitutto progettuale e di elaborazione politico-culturale – del Partito democratico, sono puntati sul Pdl, dove perlomeno qualcosa accade. E accade soprattutto nell’area cosiddetta “finiana”. L’ultimo evento è rappresentato dall’annuncio della creazione di una struttura “aggregante” dentro al PdL: “Generazione Italia”. Dovrebbe trattarsi di un’iniziativa per creare nuovi spazi di partecipazione e “militanza” per quanti sono interessati ad entrare nella vita del partito, soprattutto a livello locale; per quanti, fino ad oggi, con un Pdl ancora poco strutturato sul territorio e restio ad aprire spazi di democrazia ed un’effettiva partecipazione dal basso in grado di “pesare”, hanno avuto difficoltà a vivere il partito “dal di dentro”.

Questo a me pare che Generazione Italia voglia essere. Dunque, perché dovrebbe esserci un conflitto con una Fondazione, Farefuturo, o con testate come Ffwebmagazine e il Secolo d’Italia, che si occupano soprattutto di analisi e di elaborazione culturale, certo al “servizio della politica”, ma non di organizzare l’impegno di quanti vogliono, nelle diverse realtà italiane, partecipare e contribuire alla vita del Pdl? Credo che Generazione Italia sia un progetto importante, che persegue con mezzi diversi – e con una dimensione più direttamente organizzativa – lo stesso fine perseguito in questi anni da Farefuturo, o da altre realtà, come Libertiamo: dare un contributo alla costruzione di una moderna destra europea. Le due dimensioni, quella dell’elaborazione e dell’organizzazione, dunque, non mi pare confliggano, ma credo che siano anzi destinate a divenire complementari.

Per questo, le interpretazioni che circolano sulla stampa di un leader (Fini), pronto a lanciare qualcuno per emarginare qualcun altro, fanno sorridere. Fanno sorridere innanzitutto perché quest’area non è fatta di soldatini obbedienti, ma di persone che si sono ritrovate ad un certo punto della loro storia personale a condividere un’avventura culturale e politica. In secondo luogo, perché non si capisce il motivo per cui, per dare forza alle proprie posizioni politiche e alla propria idea della politica, Gianfranco Fini non dovrebbe attingere a tutto ciò che di vitale lo circonda.

Dunque, che gli amici de Il Giornale stiano tranquilli: non sono previsti esodi da Farefuturo verso lidi più à la page, nessuno sta “drizzando le orecchie” per capire dove sia più conveniente “trasferirsi”. Si continua a lavorare, per ciò in cui si crede.
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Non arrocchiamoci: è tempo di andare "oltre le radici"
Perché la difesa dell'identità non può essere sterile arroccamento


di Antonio Rapisarda

«Percorso privo di sostanza» viene definito così da Giampaolo Rossi sul Tempo il cammino politico e culturale di Gianfranco Fini, alla luce dell'iniziativa che sta portando alla costruzione di un contributo proprio del presidente della Camera al Pdl. L'inventario delle accuse è noto. Sono le ormai classiche rivendicazioni che rimbalzano ormai da più di un anno ogni volta che si parla dell'idea di partito di Fini («contenitore senza contenuto», viene definito) e della sua idea di destra (una destra "nichilista" che, a quanto si legge, vorrebbe dare voto e cittadinanza a tutti gli immigrati ora e subito e che sarebbe succube del giustizialismo di Di Pietro, sic). Niente di nuovo, così come le accuse rivolte a loro, i "maledetti intellettuali" di cui il presidente della Camera continua a circondarsi. Peccato, però, che il Pdl sia proprio questo. L'approdo naturale di un partito post-ideologico come è stato Alleanza Nazionale. Perché, è bene ribadirlo, questo non è stato l'addizione di due o più soggetti politici. Ma un processo dove ognuno ha svuotato un po' di sé.Venendo alla metafora jungeriana utilizzata da Rossi, è proprio un "passaggio dal bosco" quello che è stato richiesto a chi ha fatto nascere il più grande partito italiano. Il tentativo, cioè, di non fermarsi al "meridiano zero" ma andare oltre le proprie radici. Altro che nichilismo. E che il meccanismo non sia stato unidirezionale è evidente. Del resto, il Pdl - dal punto di vista del dibattito sull'economia - è decisamente più evoluto rispetto alle posizioni iniziali, fortemente liberiste, di Forza Italia. E, viceversa, sul tema delle libertà individuali le posizioni della destra oggi sono altro rispetto alla vulgata della tradizione missina. Questo a dimostrazione che la destra italiana è "nella" storia. Proprio come insegnava Pinuccio Tatarella.Altra accusa che viene mossa a Fini (così come a Farefuturo) è la perdita di "identità". Che da queste parti sarebbe addirittura parola "pornografica". Ma identità è una cosa (e per definizione mai statica, perché si fonda su qualcosa che prima non c'era). Arroccamento un'altra. E la tentazione di una certa destra - e di un certo dibattito sulla destra - è proprio quella di sbandierare ancora la nostalgia per il minoritarismo culturale (che in quei tempi, guarda caso, era il prodotto di una marginalità politica). Oggi, invece, la destra italiana è chiamata a governare i fenomeni, a determinare una nuova fase costituente. A rifondare una destra alla luce della grande sfida europea. Non è un caso, infatti, che proprio questa destra sia interlocutrice privilegiata con i massimi esponenti del centrodestra continentale (da Aznar a Sarkozy). Ancora una volta toccherebbe analizzare cosa ne pensa - in materia di integrazione, laicità, ecologia - il "naturale approdo" della destra italiana in Europa, ossia il Ppe. Toccherebbe infine parlarne con Angela Merkel che ha recentemente derubricato la parola "conservatore" dal dizionario della Cdu.«Occorre che Gianfranco Fini torni a una dimensione più politica», si legge ancora nella riflessione di Rossi. Ma proprio "Generazione Italia" ad esempio, assieme al think tank, è la testimonianza di come sia volontà di Fini riallacciare un discorso politico a partire proprio dal Pdl. Discorso "aperto", alla luce del sole. A meno che anche qua non ci sia la tentazione di una doppia morale. Quella per cui ogni azione - vuoi anche situazionista - da parte del premier o di altri esponenti del Pdl, è giudicata come un'innovazione salutare contro la vecchia politica che arranca. Mentre quando la stessa cosa viene proposta da Fini diventa un attacco preventivo a una leadership che nessuno mette in discussione. Mettetevi d'accordo un volta per tutte, per favore.

CREDITS: FFWebMagazine

giovedì 4 marzo 2010

Chi critica ha capito che il Pdl è molto più di un patto tra AN e FI

In un partito vero e vivo si fa così: si discute, senza logiche di ex e post

di Filippo Rossi
C’è una vulgata tutta sbagliata che ancora gira sul Pdl. Una vulgata propagandata dai giornali “duri e puri” del centro-destra e, quindi, ripresa da certe interpretazioni politichesi che si leggono qua e là, un po’ ovunque. Il senso della vulgata è, in estrema sintesi, questo: c’è un partito, il Pdl, nato da poco e ancora sostanzialmente spaccato verticalmente, An di qua e Forza Italia di là. Roba di strutture, insomma. Di apparati e di tessere. E, infatti, i più vanno in giro a chiedere, disperati: ma quante truppe ha quello, e quante quell’altro?

Come se il Pdl fosse un partito “mai nato”, una sorta di federazione mascherata, un patto elettorale da poter sciogliere alla prima difficoltà. Questa convinzione, oltretutto, è riscontrabile anche in alcune reazioni scomposte a critiche che sarebbero normalissime in qualsiasi partito occidentale. Ma il Pdl non è un matrimonio, non è una società con soci di maggioranza e minoranza, ognuno col proprio capitale: d’idee, di uomini, di strutture. Non esistono “beni separati”. Non esistono più gli ex-An, non esistono più gli ex-Forza Italia.

Esiste un nuovo partito e, forse, l’ha capito meglio chi lo critica rispetto a chi fa finta di difenderlo mummificandolo nel suo passato. E forse l’ha capito meglio chi ragiona sul futuro senza accartocciarsi sulle appartenenze del passato. Chi ragiona su nuove appartenenze, nuovi intrecci, nuove opportunità. Chi propone diverse strategie.

Perché in un partito (vero e vivo) si fa così: si discute, ci si differenzia, si propone, si critica e poi ci si conta. E poi si decide. Di volta in volta. In un processo innovativo di avanguardia permanente.

Invece ogni racconto sul Pdl sembra ridursi allo scontro di bande di potere, allo confronto tra gruppi conservativi che si difendono l’un l’altro, sognando un mondo (e un partito) bloccato e irrigidito come se fosse un patto sottoscritto davanti al notaio, come se fosse un consiglio d’amministrazione. Come se fosse proprietà privata e non un corpo di sangue e carne che vive nella società e ne assorbe gli stimoli e le sollecitazioni. Perché le radici di ogni decisione politica affondano nella terra futura. Perché è la più fertile. Quella con più linfa vitale.

3 marzo 2010

Quelli che la politica...

di Alessandro Campi

Pubblicato sul Riformista del 3 marzo 2010


Quelli che ti spiegano le tue idee senza fartele capire, per esempio
Quelli che la politica...
di Alessandro Campi Quelli che fanno politica perché ci hanno l’amante da mantenere, oh yes!
Quelli che da quindici anni fanno un lavoro di squadra convinti di fare politica, oh yes!
Quelli che tanto la politica è un mestiere come un altro e si è visto come va a finire, oh yes!
Quelli che accendono un cero alla Madonna perché così le elezioni si vincono di sicuro, oh yes!
Quelli che di mestiere ti spengono il cero, così le elezioni le vincono loro, oh yes!
Quelli che Mussolini è dentro di noi, ma i fascisti sono sempre gli altri, oh yes!
Quelli che non votano più a destra perché non c’è più Almirante che parla bene, oh yes!
Quelli che votano a destra perché hanno paura degli immigrati, oh yes!
Quelli che dicono “fuori gli immigrati” e intanto cercano una badante per la nonna, oh yes!
Quelli che gli stranieri sono tutti buoni ma poi licenziano la filippina perché non ha spolverato bene l’attico, oh yes!
Quelli che votano scheda bianca perché è l’unico modo per non sporcare la politica, oh yes!
Quelli che non si sono mai occupati di politica, ma la politica purtroppo si occupa di loro, oh yes!
Quelli che vomitano, ma non sanno nemmeno loro perché, oh yes!
Quelli che vomitano, perché tanto è tutto uno schifo, oh yes!
Quelli che tengono al Presidente, perché lui ha sempre ragione, oh yes!
Quelli che tengono al Milan, tanto è lo stesso, oh yes!
Quelli che non tengono nemmeno un bicchiere di vino e intanto si fanno di cocaina, oh yes!
Quelli che non ci risultano, oh yes!
Quelli che “ci vorrebbe uno che decide per tutti”, oh yes!
Quelli che non decidono mai niente, ma lo decidono in fretta, oh yes!
Quelli che la colpa è sempre degli intellettuali, oh yes!
Quelli che gli impiegati pubblici sono tutti fannulloni, tanto loro fanno un altro mestiere, oh yes!
Quelli che promettono i miracoli, oh yes!
Quelli che nei miracoli ci credono, oh yes!
Quelli che credono che Gesù Bambino sia Silvio Berlusconi da giovane, oh yes!
Quelli che la notte di Natale scappano con l'amante dopo aver rubato il panettone ai bambini, oh yes!
Intesi come figli, oh yes!
Quelli che fanno l'amore in piedi tra una riunione di governo e l’altra, oh yes!
Quelli, quelli che sono dentro nella merda fin qui, e poi dicono “Napolitano pensaci tu”, oh yes! Oh yes!
Quelli che con una bella dormita passa tutto, anche una bella sconfitta alle urne, oh yes!
Quelli che, quelli che non possono crederci neanche adesso che la Prima Repubblica è finita, oh yes!
Quelli che se ne tornerebbero in Russia a fare i dispersi, oh yes!
Quelli che non hanno mai avuto un incidente perché tanto girano con l’autista, oh yes!
Quelli che non vogliono arruolarsi nelle SS, ma tengono in cantina il ritratto di Goebbels, oh yes!
Quelli che ti spiegano le tue idee senza fartele capire, oh yes!
Quelli che non hanno idee, ma te le spiegano lo stesso, oh yes!
Quelli che dicono "la mia serva", oh yes! Oh yes!
Quelli che organizzano la marcia per la pace tanto in guerra ci vanno sempre gli altri, oh yes!
Quelli che organizzano tutto, oh yes!
Quelli che perdono le elezioni... per un pelo, oh yes! Oh yes!
Quelli che ti vogliono portare a mangiare dal Bolognese tanto il conto non lo pagano loro, oh yes!
Quelli che sono soltanto le due di notte, oh yes!
Quelli che hanno un sistema sicuro per perdere le elezioni, oh yes!
Quelli che non hanno mai avuto un incidente mortale, ma di incidenti ne provocano in continuazione, oh yes!
Quelli che non ci sentiamo, oh yes!
Quelli che ti chiedono sempre un appuntamento, perché al telefono non possono parlare, oh yes!
Quelli che non hanno un amico e lo cercano su facebook, oh yes!
Quelli diversi dagli altri, ma così diversi che sembrano eguali agli altri, oh yes!
Quelli che puttana miseria, quante puttane ci sono i giro di questi tempi, oh yes!
Quelli che quando perde l'Inter o il Milan dicono che in fondo è una partita di calcio e poi vanno a casa e picchiano i figli, oh yes!
Quelli che dicono che i soldi non sono tutto nella vita, tanto c’è sempre un fesso che paga, oh yes!
Quelli che qui è tutto un casino, ed è sempre colpa dei comunisti, oh yes!
Quelli che per principio non per i soldi, tanto loro i soldi li hanno, oh yes! Oh yes!
Quelli che l'ha detto il telegiornale, parola di Minzolini, oh yes!
Quelli che stanno sempre in televisione così parlano meglio al popolo, oh yes!
Quelli che in televisione le domande se le fanno da soli, oh yes!
Quelli che si fanno le domande da soli ma non sanno cosa rispondersi, oh yes!
Quelli che lo statu quo che nella misura in cui che nell'ottica, quelli insomma che la politica ce l’hanno nel sangue, oh yes!
Quelli che non hanno una missione da compiere, oh yes!
Quelli che purtroppo ce l’hanno, la missione da compiere, oh yes!
Quelli che sono onesti fino a un certo punto, oh yes!
Quelli che sono proprio dei ladri, ma si offendono se glielo ricordi, oh yes!
Quelli che fanno un mestiere come un altro, ma poi scopri che non hanno mai lavorato.
Quelli che aspettando il tram e ridendo e scherzando ti ci spingono sotto, oh yes!
Quelli che aspettano la fidanzata per darsi un contegno, oh yes!
Quelli che la mafia non ci risulta, oh yes!
Quelli che non hanno paura nemmeno delle cambiali, oh yes!
Quelli che lavoriamo tutti per Agnelli, oh yes!
Quelli che tirano la prima pietra, ma che anche la seconda, la terza, la quarta e dopu? E dopu se sa no...
Quelli che alla mattina alle sei freschi come una rosa si svegliano per vedere l'alba che è già passata.
Quelli che per fortuna non assomigliano a tuo figlio, oh yes!
Quelli che non si divertono mai neanche quando ridono, oh yes!
Quelli che ridono quando gli altri non si divertono, magari perché gli è crollata la casa, oh yes!
Quelli che a teatro vanno solo nelle prime file, così tutti li vedono, oh yes!
Quelli, quelli di Roma, ma anche quelli di Milano.
Quelli che non c'erano.
Quelli che hanno cominciato a fare politica da piccoli, non hanno ancora finito e non sanno che cavolo fanno, oh yes!
Quelli lì...