La diagnosi preimpianto e il fantasma dell'eugenetica
Come avrete notato, i temi etici hanno sempre molto risalto su questo blog. Ecco perchè la pubblicazione di questo scritto, dal sito dei Riformatori Liberali. Buona lettura!
Nessuna ‘parentela morale’ con la selezione della specie
di Carmelo Palma, da L’Opinione del 31 maggio 2008
La legalizzazione della diagnosi preimpianto comporta, di per sé, un rischio eugenetico? Il genitore preoccupato di trasmettere nei figli la grave malattia, di cui si sappia disgraziatamente portatore, è davvero un potenziale “parente morale” di quanti hanno teorizzato e praticato la selezione della razza? Parlare di rischio eugenetico significa affermare una qualche continuità o contiguità tra atti che, nell’esperienza comune, si continuano normalmente a inscrivere in universi morali tutt’affatto diversi, se non opposti. Eppure, a sentire quanti ritengono che fra le urgenze del nuovo governo vi sia la soppressione della Linee Guida sulla fecondazione assistita del ministro Turco, il senso della radicale diversità tra l’una e l’altra fattispecie morale (direbbe qualcuno: la maledetta indulgenza verso l’eugenetica “buona”) sarebbe in realtà l’ennesimo sintomo della malattia relativista che affligge la società e che il Parlamento e il Governo dovrebbero curare con dosi da cavallo di ricostituente morale.
La materia è sicuramente spinosa e sensibile. Le smisurate possibilità di indagine e programmazione sui codici della vita sono (anche) un pericolo, sono (anche) assoggettabili a piani di dominio e a progetti di sterminio, sono (anche) origine e causa di uno spaesamento etico-politico, che obbliga tutti a registrare nuove coordinate morali. La politica fa quindi bene a saggiare l’infinitamente “grande” che gli scenari della tecnoscienza squaderna dinanzi ai suoi occhi e ai destini dell’uomo. Ma farebbe malissimo a leggere in una chiave apocalittica e impersonale tutto ciò accade nell’infinitamente “piccolo” dell’esperienza individuale, nella morale concreta di chi è costretto a fare i conti con le responsabilità umanamente complesse e drammaticamente personali della maternità e della paternità.
Chi definisce eugenetica la diagnosi preimpianto deve misurarsi con la realtà di questa pratica, con l’esperienza (morale) concreta connessa all’esercizio di questa opzione e con i limiti precisi entro cui, prima della Legge 40 e delle ancora più restrittive Linee Guida, in Italia era consentito ricorrervi. Non si può vietare la diagnosi preimpianto per prevenire l’uso potenzialmente “sbagliato” che altri (e altrove) potrebbero farne: perché allora non vietare, anche, le ecografie? Qualunque strumento di indagine e accertamento diagnostico è potenzialmente esposto ad un uso totalitario.
Peraltro, si fa un torto (o, per altro verso, si riconosce un merito eccessivo) alle Linee Guida della Turco se le si identifica con il nuovo “fronte del male”. Infatti, lasciando da parte la questione della loro legittimità giuridica, non hanno di certo aperto le porte alla diagnosi preimpianto di massa, non avendo il Ministro potuto né voluto, visto i limiti della legge 40, estendere anche alle coppie portatrici di malattie genetiche l’accesso alla fecondazione assistita, (che rimane riservata alle sole coppie sterili e a quelle “sterili di fatto” per la sieropositività di un partner a virus di malattie sessualmente trasmissibili).
E’ infatti questa la domanda centrale, la questione fondamentale: chi è il nemico che si vuole arginare con questo perdurante divieto? Il nemico è uno Stato, una organizzazione, una “potenza” politica e militare che vuole programmare e selezionare caratteri fisici e mentali eccellenti, nell’interesse della specie o della nazione? No. In Italia, oggi, il nemico è un altro. E bisogna guardarlo bene in faccia e ascoltare la sua storia, prima di affibbiargli una parentela morale con il nazismo.
Cosa ci dicono le facce e le storie dei “nemici” della Legge 40? Ci dicono, innanzitutto, che a questa indagine vogliono accedere genitori preoccupati di prevenire eventuali e gravi patologie del nascituro e non di selezionare un “figlio su misura” scegliendone il sesso e le caratteristiche psico-fisiche preferite. Inoltre, queste storie ci dicono che, a seguito della diagnosi preimpianto, la scelta di sacrificare l’embrione malato non discende da un calcolo, ma esprime un senso (discutibile? Certo, discutibilissimo) di responsabilità morale nei confronti del nascituro. In una situazione classicamente indecidibile, in cui non si danno concrete alternative al male, c’è chi sceglie avendo riguardo e pietà del dolore e della sofferenza, con un senso di responsabilità e di colpa reso più acuto dalla percezione di una sostanziale e disarmata impotenza. La scelta di interrompere il processo di sviluppo dell’embrione appare, ad alcuni, preferibile alla sua prosecuzione, perché consentire il realizzarsi di “quella” vita significherebbe, ai loro occhi, infliggere la pena di esistere ad una persona che ancora non c’è e che si ha, al contrario, il dovere di sottrarre a un destino irrimediabilmente segnato. Tutto questo ci raccontano, di norma, le storie di chi corre questo “rischio”. Il rischio e l’azzardo di questa scelta si staglia però nell’orizzonte morale consegnatoci dalla tragedia greca, non in quello della paranoia nazista. Non mi pare una differenza da poco.
L’astratta equiparazione di questa condotta ad un sostanziale e preventivo uccidere (un omicidio terapeutico somministrato in luogo della cura) non rende giustizia e conto della realtà di questa decisione morale (condivisibile o no che essa sia). E lo stesso può dirsi dell’altrettanto astratta convinzione che questa scelta sia eugenetica per il fatto di poggiare logicamente sul piano inclinato che, senza soluzione di continuità e senza sostanziali salti, potrebbe portare infine alla giustificazione dell’infanticidio. Chi sacrifica l’embrione lo fa (per giusto o sbagliato che appaia il suo gesto, nelle sue premesse e nelle sue conseguenze) proprio per evitare che sia il neonato e poi il bambino ad essere immolato e sacrificato ad un male, che si annunciava fin dal momento in cui esisteva “solo” l’embrione. Qualunque sia il giudizio che si ritiene meriti una simile scelta, occorre accettare che questa (non un’altra, più semplice da condannare) è la sua natura, la sua logica e la sua realtà. C’è ovviamente chi, in identiche condizioni, fa la scelta opposta: che è altrettanto rispettabile, discutibile e tragica.
Equiparare la diagnosi preimpianto all’eugenetica e il non impianto all’omicidio equivale a risolvere le aporie bioetiche attraverso il ricorso ad un abusivo e controproducente manicheismo giuridico, che fa correre la legge (dello Stato) in soccorso della morale (individuale) fino a sostituirla ad essa. Ma per operare questo scambio, per giustificare questa esigenza, è necessario che, nella rappresentazione del male, siano moralmente sfigurati anche i responsabili di quel male che si vorrebbe scongiurare. E dunque si devono obbligatoriamente definire eugenetiche, per meglio condannarle, anche condotte che con ogni evidenza non perseguono alcun obiettivo di miglioramento e di selezione della specie umana, ma sono mosse da una sollecitudine morale e da un quasi creaturale senso di pietà di fronte ad una sofferenza irreversibile e imminente, di cui ci si sente responsabili e autori.
L’impossibilità di stabilire politicamente se la diagnosi preimpianto sia moralmente giusta o sbagliata, condivisibile o meno, censurabile o no, non segna affatto uno scacco o una debolezza della politica. E’ solo l’ulteriore conferma del fatto che il pluralismo etico ammette (anzi: esige) la convivenza di posizioni moralmente inconciliabili, non ordinabili, da parte del legislatore, secondo un’unica gerarchia di valore. Questo “silenzio” della politica è una delle più alte conquiste della modernità occidentale.
Il pluralismo etico non comporta, ovviamente, un’uguale giustificazione di tutte le scelte di valore, che per il fatto di essere diverse, sono suscettibili ? da parte dei singoli individui e non dello Stato ? di un differente apprezzamento morale. Ma un clima civile di convivenza dovrebbe comportare, per ciascuna di esse, un uguale rispetto. Un rispetto che parte dal riconoscimento di ciò che ciascuna scelta è e appare nell’esperienza concreta di chi se ne rende responsabile. Sarebbe considerato volgare e ignominioso squalificare moralmente i genitori che, pur consci dell’alta probabilità di trasmettere ai figli malattie dolorose e mortali, si affidano, per ragioni etiche e religiose, alla Provvidenza o alle leggi del caso. Dovrebbe essere considerato altrettanto offensivo liquidare come tardivi e inconsapevoli epigoni dell’Aktion T4 (il programma nazista di eugenetica) quanti, nelle identiche circostanze, pensano di non dovere né potere affidarsi al corso naturale degli eventi.
Carmelo Palma
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