mercoledì 29 settembre 2010

Si parte con il partito. Finalmente!

di Gianmario Mariniello

Lo avete chiesto in tantissimi, in questi mesi. “Ma il partito lo facciamo o no?”. Ebbene, oggi, dopo le comunicazioni del presidente del Consiglio, c’è stata una riunione di tutti i parlamentari di Futuro e Libertà – alla presenza di Gianfranco Fini – e la risposta alle vostre domande è finalmente arrivata: “sì, lo facciamo”.
La settimana prossima ci sarà il primo incontro di quello che sarà il Comitato promotore, composto in questa fase iniziale da tutti i parlamentari – nessuno escluso – che hanno aderito a FLI.
E’ l’approdo irrinunciabile, naturale e inevitabile per quella che è stata, è e sarà un’avventura politica difficile, esaltante, emozionante e lungimirante, che ha a cuore un solo interesse: gli italiani. Che sognano un Paese migliore, unito e orgoglioso di sè, con un’etica pubblica forte e con un concetto di Legalità condiviso da tutti. Un’Italia libera dalle caste, dalle cricche, dalle mafie. Un’Italia che dia opportunità ai propri figli, un’Italia dove lo Stato si limita a svolgere (bene) i suoi compiti fondamentali e solo quelli, lascindo poi spazio all’individuo, alla fantasia, ai giovani, a coloro che vogliono giocarsi la partita della propria vita.
Per fare tutto questo e tanto altro, serve un partito. Vero, libero, aperto, plurale. Quello che doveva essere e non è stato il Pdl. Un partito meritocratico, dove militanza, impegno, consenso sul territorio e capacità amministrative contano. Sul serio. Un partito dove gli organismi dirigenti si scelgano con i congressi e non con le nomine. Un partito nuovo, diverso, con lo sguardo al futuro. Un partito che dovrà usare il web non solo per comunicare, ma anche per coinvolgere, consultare e “sentire” iscritti, militanti, simpatizzanti.
Ecco, per fare tutto questo è necessario l’impegno di tutti. Noi ce la possiamo fare. Per l’Italia. Futuro e Libertà

CREDITS: Generazione Italia

sabato 25 settembre 2010

Caso Montecarlo, parla Fini

Caso Montecarlo. Parla Fini

Ecco il testo integrale dell'intervento di Fini


Purtroppo da qualche tempo lo spettacolo offerto dalla politica è semplicemente deprimente. Da settimane non si parla dei tanti problemi degli italiani, ma quasi unicamente della furibonda lotta interna al centrodestra. Da quando il 29 luglio sono stato di fatto espulso dal Popolo della libertà con accuse risibili, tra cui spicca quella di essere in combutta con le procure per far cadere il governo Berlusconi, è partita una ossessiva campagna politico giornalistica per costringermi alle dimissioni da presidente della Camera, essendo a tutti noto che non è possibile alcuna forma di sfiducia parlamentare. Evidentemente a qualcuno dà fastidio che da destra si parli di cultura della legalità, di legge uguale per tutti, di garantismo che non può essere impunità, di riforma della giustizia per i cittadini e non per risolvere problemi personali.

In 27 anni di Parlamento e 20 alla guida del mio partito non sono mai stato sfiorato da sospetti di illeciti e non ho mai ricevuto nemmeno un semplice avviso di garanzia. Credo di essere tra i pochi, se non l’unico, visto le tante bufere giudiziarie che hanno investito la politica in questi anni. È evidente che se fossi stato coinvolto in un bello scandalo mi sarebbe stato più difficile chiedere alla politica di darsi un codice etico e sarebbe stato più credibile chiedere le mie dimissioni. Così deve averla pensata qualcuno, ad esempio chi auspicava il metodo Boffo nei miei confronti, oppure chi mi consigliava dalle colonne del giornale della famiglia Berlusconi di rientrare nei ranghi se non volevo che spuntasse qualche dossier – testuale – anche su di me, “perché oggi tocca al premier, domani potrebbe toccare al presidente della Camera”. Profezia o minaccia? Puntualmente, dopo un po’, è scoppiato l’affare Montecarlo. So di dovere agli italiani, e non solo a chi mi ha sempre dato fiducia, la massima chiarezza e trasparenza al riguardo.

I fatti: An, nel tempo, ha ereditato una serie di immobili. Tra questi, nel 1999, la famosa casa di Montecarlo, che non è una reggia anche se sta in un Principato, 50-55 metri quadrati, valore stimato circa 230 mila euro. Essendo in condizioni quasi fatiscenti e del tutto inutilizzabile per l’attività del partito, l’11 luglio 2008 è stata venduta alla Società Printemps, segnalatami da Giancarlo Tulliani. L’atto è stato firmato dal segretario amministrativo, senatore Pontone da me delegato, un autentico galantuomo che per 20 anni ha gestito impeccabilmente il patrimonio del partito, e dai signori Izelaar e Walfenzao. Il prezzo della vendita, 300 mila euro, è stato oggetto di buona parte del tormentone estivo. Dai miei uffici fu considerato adeguato perché superava del 30 per cento il valore stimato dalla società immobiliare monegasca che amministra l’intero condominio.

Si poteva spuntare un prezzo più alto? È possibile. È stata una leggerezza? Forse. In ogni caso, poiché la Procura di Roma ha doverosamente aperto un'indagine contro ignoti, a seguito di una denuncia di due avversari politici e poiché, a differenza di altri, non strillo contro la magistratura, attendo con fiducia l’esito delle indagini. Come ho già avuto modo di chiarire, solo dopo la vendita ho saputo che in quella casa viveva il signor Giancarlo Tulliani. Il fatto mi ha provocato un’arrabbiatura colossale, anche se egli mi ha detto che pagava un regolare contratto d’affitto e che aveva sostenuto le spese di ristrutturazione. Non potevo certo costringerlo ad andarsene, ma certo gliel’ho chiesto e con toni tutt’altro che garbati. Spero lo faccia, se non fosse altro che per restituire un po’ di serenità alla mia famiglia.

È stato scritto: ma perché venderla ad una società off shore, cioè residente a Santa Lucia, un cosiddetto paradiso fiscale? Obiezione sensata, ma a Montecarlo le off shore sono la regola e non l’eccezione. E sia ben chiaro, personalmente non ho né denaro, né barche né ville intestate a società off shore, a differenza di altri che hanno usato, e usano, queste società per meglio tutelare i loro patrimoni familiari o aziendali e per pagare meno tasse. Ho sbagliato? Con il senno di poi mi devo rimproverare una certa ingenuità. Ma, sia ben chiaro: non è stato commesso alcun tipo di reato, non è stato arrecato alcun danno a nessuno. E, sia ancor più chiaro, in questa vicenda non è coinvolta l’amministrazione della cosa pubblica o il denaro del contribuente. Non ci sono appalti o tangenti, non c’è corruzione né concussione. Tutto qui? Per quel che ne so tutto qui.

Certo anche io mi chiedo, e ne ho pieno diritto visto il putiferio che mi è stato scatenato addosso: chi è il vero proprietario della casa di Montecarlo? È Giancarlo Tulliani, come tanti pensano? Non lo so. Gliel’ho chiesto con insistenza: egli ha sempre negato con forza, pubblicamente e in privato. Restano i dubbi? Certamente, anche a me. E se dovesse emergere con certezza che Tulliani è il proprietario e che la mia buona fede è stata tradita, non esiterei a lasciare la Presidenza della Camera. Non per personali responsabilità – che non ci sono – bensì perché la mia etica pubblica me lo imporrebbe. Di certo, in questa brutta storia di pagine oscure ce ne sono tante, troppe. Un affare privato è diventato un affare di Stato per l'ossessiva campagna politico-mediatica di delegittimazione della mia persona: la campagna si è avvalsa di illazioni, insinuazioni, calunnie propalate da giornali di centrodestra e alimentate da personaggi torbidi e squalificati.

Non penso ai nostri servizi di intelligence, la cui lealtà istituzionale è fuori discussione, al pari della stima che nutro nei confronti del sottosegretario Letta e del prefetto De Gennaro. Penso alla trama da film giallo di terz’ordine che ha visto spuntare su siti dominicani la lettera di un ministro di Santa Lucia, diffusa da un giornalista ecuadoregno, rilanciata in Italia da un sito di gossip a seguito delle improbabili segnalazioni di attenti lettori. Penso a faccendieri professionisti, a spasso nel Centroamerica da settimane (a proposito, chi paga le spese?) per trovare la prova regina della mia presunta colpa. Penso alla lettera che riservatamente, salvo finire in mondovisione, il ministro della Giustizia di Santa Lucia ha scritto al suo premier perché preoccupato del buon nome del paese per la presenza di società off shore coinvolte non in traffici d’armi, di droga, di valuta, ma di una pericolosissima compravendita di un piccolo appartamento a Montecarlo. Ma, detto con amarezza tutto questo, torniamo alle cose serie.

La libertà di informazione è il caposaldo di una società aperta e democratica. Ma proprio per questo, giornali e televisioni non possono diventare strumenti di parte, usati non per dare notizie e fornire commenti, ma per colpire a qualunque costo l’avversario politico. Quando si scivola su questa china, le notizie non sono più il fine ma il mezzo, il manganello. E quando le notizie non ci sono, le si inventano a proprio uso e consumo. Così, con le insinuazioni, con le calunnie, con i dossier, con la politica ridotta ad una lotta senza esclusione di colpi per eliminare l’avversario si distrugge la democrazia. Si mette a repentaglio il futuro della libertà.Chi ha irresponsabilmente alimentato questo gioco al massacro si fermi, fermiamoci tutti prima che sia troppo tardi. Fermiamoci pensando al futuro del paese. Riprendiamo il confronto: duro, come è giusto che sia, ma civile e corretto. Gli italiani si attendono che la legislatura continui per affrontare i problemi e rendere migliore la loro vita. Mi auguro che tutti, a partire dal presidente del Consiglio, siano dello stesso avviso. Se così non sarà, gli italiani sapranno giudicare. E, per quel che mi riguarda, ho certamente la coscienza a posto.


CREDITS: Secolo d'Italia

venerdì 24 settembre 2010

Il Fatto su Montecarlo

Repubblica.it, è Valter Lavitola il responsabile della “patacca”

La “patacca”, come la chiamano i finiani, avrebbe ora anche un nome e un autore. Secondo le indiscrezioni rivelate da Repubblica.it, nella produzione del documento sarebbe coinvolto Valter Lavitola. Mentre Italo Bocchino ad Annozero parla di un altro personaggio, giornalista e redattore dell’agenzia di stampa il Velino, che avrebbe lanciato la notizia di un’inchiesta dei servizi segreti verso i Caraibi.



Lavitola – che ha reagito annunciando possibili querele – è una vecchia conoscenza di casi giornalistici. Dal 1996 è editore dell’Avanti, il quotidiano del Partito socialista che nel gennaio del 1998 pubblicherà il falso dossier Demarcus per gettare fango su Stefania Ariosto. Neanche una settimana e lo stesso Demarcus finirà in prigione. Nel 2004 Lavitola si candida alle elezioni europee per Forza Italia dopo una lunga militanza, dal 1984, dentro il Partito Socialista Italiano. Nel 1996 rileva la storica testata del partito alla cui guida siederà per primo Sergio De Gregorio, quello stesso De Gregorio che, eletto nel 2006 nelle file dell’Italia dei Valori salterà la barricata per passare con l’opposizione.



Oltre a Lavitola, però, comparirebbe un altro uomo, che a dire del finiano Italo Bocchino avrebbe dato notizia che i servizi segreti per il caso Tulliani stavano indagando sui Caraibi. Capita il 17 settembre scorso quando il Giornale dà la notizia citando alcuni articoli de il Velino. L’autore è Vittorugo Mangiavillani, redattore anzi inviato, così si legge dal sito, de il Velino, agenzia di stampa gestita dalla società Impronta srl con sede in via del Tritone 169 a Roma e diretta da Lino Jannuzzi. Classe ’49, siciliano di Piazza Armerina in provincia di Enna. Giornalista, ma soprattutto grande conoscitore dei giochi interni ai servizi segreti italiani come si capisce scorrendo i suoi articoli sui vari cambi di nomine all’interno delle varie agenzie. Non solo. A lui piacciono gli scoop. Pilotati? Nessuna prova, ovviamente, ma qualche dubbio sì. Il punto è l’inchiesta Why not dell’allora pm Luigi De Magistris. Indagine iniziata e poi abortita anche grazie a strane fughe di notizie. A dare il là è proprio lui, Mangiavillani che il 30 luglio 2007 ne dà notizia su il Velino. Da quel giorno Il Velino ma anche Libero almeno in altre tre occasioni anticipano fatti e nomi, compresa l’iscrizione nel registro degli indagati del ministro della Giustizia, Clemente Mastella.



Titolare dell’azienda agricola il Normanno in provincia di Enna, Mangiavillani per ben due volte è vittima di atti vandalici. La sua casa di campagna viene devastata una prima volta nel luglio del 2000. All’epoca riceve la solidarietà del capogruppo dell’Udeur alla Camera Roberto Manzione. Due anni dopo ci risiamo. A essere danneggiata è una sua proprietà in contrada Ciavarini in piazza Armerini



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Le domande che a St Lucia non trovano risposta

“Il ministro non c’è. E’ fuori dal Paese. Richiami tra una settimana ”. Questa è la risposta che si ottiene chiedendo di L. Rudolph Francis, ministro della Giustizia di St Lucia. Dopo l’iniziale disponibilità dei segretari, arriva la dichiarazione ufficiale: sono irreperibili sia il primo ministro, sia il ministro della Giustizia. Assenti per una settimana. Le loro risposte quindi arriveranno, se arriveranno, tra almeno sette giorni. Ma a quel punto, il voto sui cinque punti programmatici su cui Berlusconi potrebbe chiedere la fiducia al Parlamento sarà già passato e ogni nuova informazione sarà ininfluente sulle decisioni dei parlamentari.



Nessuna conferma dalle autorità di St Lucia sulla autenticità di un documento che oggi pesa molto nel dibattito politico italiano, al punto da spingere due quotidiani – Libero e il Giornale – a chiedere le dimissioni del presidente della Camera Gianfranco Fini. Si tratta della fotocopia di una presunta lettera “riservata e confidenziale” con cui il 16 settembre Francis avrebbe comunicato al capo del Governo che il proprietario e beneficiario (beneficial owner) delle società Timara e Printemps a cui è intestato l’ormai famigerato appartamento di Montecarlo è il signor Giancarlo Tulliani. Proprietario e locatario dell’immobile monegasco sarebbe quindi il cognato del Presidente della Camera. Da qui, le accuse di menzogne rivolte a Fini.



Ma che interesse può avere il governo di St Lucia a individuare il proprietario di una società off shore sotto la sua giurisdizione? Nella lettera il ministro della Giustizia racconta che la richiesta di informazioni è motivata dalla “possibile pubblicità negativa legata alle informazioni fornite da giornali internazionali” su società di St Lucia. Impossibile domandare altro, resta il fatto che l’isola è un paradiso fiscale con un livello di trasparenza inadeguato per gli standard internazionali e che normalmente informazioni dello stesso genere non vengono ricercate nemmeno su richiesta di autorità di paesi esteri.



Eppure la notizia, ripresa oggi in prima pagina sul Giornale, per quanto “riservata e confidenziale” era stata pubblicata nei giorni scorsi su due quotidiani di Santo Domingo, il Listin Diario e El Nacional. Entrambi gli articoli sono targati “Roma”, come se i pezzi provenissero da un corrispondente estero. E l’autore del primo articolo apparso sul quotidiano El Nacional mostra una approfondita conoscenza della politica interna italiana e fornisce precise notizie sulla rottura tra Fini e Berlusconi. Ad esempio i particolari del discorso tenuto a Mirabello con cui Fini ha sancito il definitivo smarcamento dal Pdl.



Resta poi un altro dubbio, quanto vale a Santo Domingo uno scoop che coinvolge un politico italiano, per quanto prestigioso, per spingersi a pubblicare la corrispondenza privata tra un ministro e il capo del governo?

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La telefonata anonima dal Governo di Saint Lucia ad Annozero: “Quella lettera è falsa”

C’è anche una telefonata alla redazione di Annozero a creare un ulteriore elemento di suspence nel giallo di Montecarlo. Che forse sarebbe meglio definire ormai il giallo di Saint Lucia. Intorno alle ore 22 e 20 di ieri, durante la trasmissione Annozero, un funzionario della direzione della Rai avvisa la redazione che un esponente del Governo di Saint Lucia vuole intervenire. La telefonata viene passata a un redattore del programma, Andrea Casadio, che parla un inglese fluente. L’uomo dice di essere a Ginevra (dove in quelle ore era il ministro Francis all’insaputa della stampa italiana) si qualifica come appartenente all’entourage “della moglie del ministro degli Esteri di Saint Lucia” ma si rifiuta di fornire le sue generalità e quelle della moglie del ministro che – come si evince dal sito del Governo dello Stato caraibico – si chiama Rudolf Bousquet. Il sedicente David sostiene di trovarsi in Svizzera perché le “famiglie dei ministri sono stati invitate a lasciare l’isola”. Precisa di parlare solo confidenzialmente con il giornalista e che il Governo non farà dichiarazioni ufficiali. Aggiunge che “Saint Lucia è piena di uomini dell’intelligence di Libia, Russia e Italia”. Sulla lettera del ministro della giustizia Francis, il sedicente amico della moglie del ministro Bousquet dice: “quel documento è falso”. Non solo. Aggiunge che “una grande società italiana” avrebbe chiesto di fare qualcosa al Governo di Saint Lucia. Poi accenna a minacce. Questa è la trascrizione della telefonata (audio 1 e audio 2).



Mi può dire il suo nome?



Non posso, mi spiace. Sono qui con la moglie del Ministro degli Esteri di Saint Lucia. Lei ha ricevuto molte chiamate da amici suoi sul vostro programma Anno Zero. Stavamo guardando… Ora siamo in Svizzera per affari… La moglie del ministro vorrebbe dire qualcosa… Ho appena chiamato il nostro governo e il nostro governo non ha assolutamente nulla da dichiarare. Ma la mia amica vorrebbe dire qualcosa…



Lei è il Primo Ministro?



No, sono solo un amico della moglie del Ministro degli Esteri…



Mi può dire il suo nome?



Mi può chiamare David.



E la moglie del Ministro può dirmi il suo nome?



Non posso dirlo, mi spiace.



E’ segreto? E’ una dichiarazione ufficiale?



No. Il nostro Governo non rilascia alcuna dichiarazione ufficiale. Ma la moglie del Ministro vorrebbe dire qualcosa perché ha paura. Se lei è interessato…



Mi sta dicendo che il governo di Saint Lucia non rilascia alcuna dichiarazione ufficiale al riguardo?



Sì, esatto. Ma posso dirle una cosa. Io solo so che ora Saint Lucia è piena di uomini dell’intelligence di Russia, Libia e Italia. Non per una operazione coperta dal segreto… ma piena di turisti… se capisce cosa intendo..



Sono lì e fanno finta di essere turisti ma sono spie, è questo che intende?



Voglio dire che in questo periodo ci sono molti turisti a Saint Lucia, e il nostro governo ha scoperto che questi turisti vengono dalla Russia e dalla Libia. La sola cosa ufficiale che sappiamo è che una corporation di intelligence Italiana ha chiesto qualcosa al nostro governo e non posso dire di più. Una corporation italiana ha chiesto qualcosa al nostro governo… su documenti e… la moglie dice che hanno richiesto al nostro governo di fare e dire qualcosa che riguarda il governo italiano… circa case e altre cose… ma il nostro governo si è rifiutato di farlo. Dopodiche’ Saint Lucia è diventato un paese pieno di turisti… intelligence russa e libica. Capisce cosa voglio dire?



Devo considerare queste dichiarazioni confidenziali?



Assolutamente confidenziali. Ma vorrei informarla di una cosa. Ora la moglie del ministro non desidera più parlare con e apparire in televisione. Ma ci teneva a farle sapere questo. Sta a lei decidere se vuole approfondire la questione o no. Le famiglie di tutti i ministri di Saint Lucia sono state invitate a lasciare l’isola. Tutte le famiglie di tutti i ministri, a parte due o tre, sono state invitate dal governo a lasciare Saint Lucia per qualche giorno.



Come misura precauzionale?



Potrebbe esserlo. Io faccio parte dell’entourage della moglie del ministro degli esteri. Le informazioni della nostra intelligence ci dicono che la Libia ha mandato agenti, che la Russia ha mandato agenti per parlare col nostro governo, e poi, alcuni giorni dopo, è accaduto che i vostri giornali hanno pubblicato un documento falso…



Falso? Lei dice che è falso? Lo conferma?



Assolutamente. Falso. Non è una dichiarazione ufficiale del governo di Saint Lucia, ma è un falso.



Il nostro governo ha detto a tutte le famiglie, ai membri del governo, all’intelligence, di non dire nulla al momento, perché il Primo Ministro non sa cosa fare per ora. Dovremo parlare con gli italiani e i libici e i russi. Così dice la moglie del Ministro. Poi parleremo. Siamo via dall’isola da una settimana e la moglie del primo ministro ha paura. Io sto traducendo quel che mi dice, le faccio da interprete. Lei voleva dire qualcosa agli Italiani, perché l’Italia è il cuore della faccenda, pensa. E’ da lì che parte tutto. Non possiamo parlare con altri giornali… Quando abbiamo contattato quelli di Santo Domingo abbiamo ricevuto delle minacce, non so se capisce cosa voglio dire. Lo so che tutto questo le può sembrare strano, potrei essere un pazzo o uno stupido ma non lo sono. La moglie del ministro voleva parlare nel suo programma, ma ora ha appena ricevuto una chiamata da suo marito che le ha detto che la vostra compagnia la Rai, lo ha chiamato… Vi abbiamo chiamato e qualcuno ci ha contattato e lei si è spaventata… Se vuole sviluppare questa notizia, lo faccia, è a sua discrezione. Può dire che la notizia proviene dall’entourage del Ministro degli esteri. E voglio dire un’ultima cosa. Il nostro Primo Ministro non dirà nulla. Ci ha detto che entro un mese sarà tutto finito, niente più libici, russi o italiani. Questo è tutto. Ora mi spiace dobbiamo chiudere, stiamo partendo. Grazie per averci ascoltato. La moglie del ministro le dice Felicidad, che significa Grazie.



Grazie, arrivederci…

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Saint Lucia, il primo ministro:

“Nessuno di noi è al sicuro”

Ad aumentare la confusione sulla piccola isola dei Caraibi, una settimana fa c'è stato un omicidio in uno degli uffici del governo. Una storia di gang, non di servizi segreti

Membri del governo che non si fanno trovare. Turisti che sembrano agenti segreti libici e russi. Documenti veri che paiono finti. Oppure finti che qualcuno cerca di far passare per veri. Altro che pace e tranquillità, come uno si aspetta da una piccola isola dei Caraibi. A Saint Lucia è il momento della confusione. E ci si mette pure il primo ministro Stephenson King, che dal giornale on line St. Lucia Star avverte: “Nessuno di noi è al sicuro!”. No, questa volta, non c’entrano Giancarlo Tulliani e suo cognato Gianfranco Fini. Né c’entrano i servizi segreti italiani. Questa volta c’entra l’assassinio che una settimana fa è avvenuto negli uffici del primo ministro. Lì sparano pure nei palazzi del governo.



Secondo quanto racconta il St. Lucia Star, il 17 settembre scorso il primo ministro stava ricevendo in uno dei suoi uffici i propri elettori. Un ragazzo, Alfred Richard detto “Ding Ding”, si era presentato per chiedere aiuto nella ricerca di un lavoro. Stava aspettando nella veranda, quando qualcuno lo ha ucciso con tre colpi d’arma da fuoco. Una storia di gang, secondo la polizia. “Sull’isola nessuno di noi è al sicuro – ha commentato il primo ministro –. C’è bisogno che ognuno di noi assuma il controllo della situazione esistente”.



Ma il controllo della situazione, dopo qualche giorno, sembra essere completamente sfuggito di mano ai governanti di Saint Lucia. Invasa da agenti segreti che arrivano dall’Italia, come ha scritto Il Giornale una settimana fa. O dalla Libia e dalla Russia, coma ha denunciato ieri sera in una telefonata ad Annozero un sedicente amico della moglie del ministro degli Esteri: “Da due settimane l’isola è piena zeppa di agenti segreti libici, russi e italiani travestiti da turisti – ha raccontato –. Siamo in Svizzera. Chiariremo tutto tra un mese”.



Magari questi agenti sono pure coinvolti nel confezionamento della lettera “privata e confidenziale” per il primo ministro, mittente il Guardasigilli Lorenzo Rudolph Francis, in cui si dice che è di Giancarlo Tulliani la società off shore proprietaria della casa di Montecarlo. Se è così, allora ha ragione Italo Bocchino, che ha parlato di lettera “patacca”. E a essere confuso è il ministro della Giustizia di Saint Lucia che, dalla Svizzera, ha detto a Il Fatto Quotidiano: “Quel documento è vero”.



Se invece la lettera è autentica, a far confusione è il funzionario della stamperia di Stato che, sentito da ilfattoquotidiano.it, ha affermato che l’intestazione della lettera è diversa da quella ufficiale. E, forse, confusi sono pure i ministri di Saint Lucia, che fanno nomi e cognomi di chi porta soldi nel loro paradiso fiscale, anziché mantenere il riserbo. A questo punto, meglio per loro passare qualche giorno altrove e non farsi trovare sull’isola. Per chiarirsi un po’ le idee. E per non esserci, se qualche altra gang spara in un palazzo del governo.

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Seconda Repubblica al veleno

Adesso che il tappo è saltato, diventa chiaro a tutti perché Silvio Berlusconi premier non conviene. Mai prima d’ora, nella storia della Repubblica, si era assistito a una simile guerra di dossier. E soprattutto, mai all’interno della stessa maggioranza parlamentare si erano sentiti volare simili scambi di accuse. Mentre l’esecutivo non governa, i berluscones chiedono nuovamente le dimissioni del presidente della Camera, Gianfranco Fini. E lo fanno sulla base di una presunta lettera segreta del governo di Santa Lucia che inchioderebbe suo cognato Giancarlo Tulliani per l’affaire di Montecarlo. Una lettera di cui nessuno in Italia ha mai visto l’originale.



I finiani rispondono ringhiando. Secondo loro, dietro il documento lanciato da un sito Internet di Santo Domingo e ripreso senza se e senza ma da Il Giornale e da Libero, ci sarebbe un’operazione orchestrata da Valter Lavitola. Un editore amico di Berlusconi e soprattutto proprietario de L’Avanti già nel periodo in cui (1997) l’ex glorioso quotidiano socialista pubblicava, sotto la direzione dell’attuale senatore Pdl Sergio De Gregorio, falsi dossier sulla supertestimone Stefania Ariosto. Il panorama, insomma, è disgustoso. Ma, bisogna ricordarlo, non è un’assoluta novità. Alle prove generali si era già assistito prima, nel 1995 quando Berlusconi e Cesare Previti producevano personalmente in tribunale registrazioni taglia e cuci di testimoni per mandare sotto processo Antonio Di Pietro. E poi, nel ‘96, quando ad Arcore veniva ricevuto un maresciallo dei carabinieri che poco dopo avrebbe calunniato l’intero pool di Mani Pulite. Oggi, però, è stato fatto un passo avanti. La tecnica del veleno si internazionalizza. Così accade che non appena la stamperia di Stato di Santa Lucia dice che l’intestazione della presunta lettera anti-Tulliani non corrisponde all’originale e invita i giornalisti de Il Fatto a contattare il ministero della Giustizia, il ministro della Giustizia in persona, dopo tre giorni di silenzio, accetta di parlare: “Il documento è vero”, afferma. Aggiungendo però che i chiarimenti arriveranno lunedì. E così altre due cose diventano chiare: mai prima d’ora il governo di un paese off-shore aveva parlato pubblicamente della sua clientela. Mai prima d’ora l’Italia era stata vicina non ai paradisi fiscali, ma alle vecchie dittature centro-americane.

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007, Licenza di infangare. Cimici e nastri, da Pollari a Marrazzo

Il finiano Raisi: "Sulla vicenda Tulliani, qualcuno ha dato una mano ai giornali del premier". Poi c'è un ex affiliato P2 punto di convergenza tra cricche e "bande larghe"

Ascrivere che c’è la manina dei Servizi segreti nella campagna contro Gianfranco Fini è una fonte insospettabile, il Giornale: agenti dei servizi e della Guardia di finanza – racconta il 17 settembre il quotidiano della famiglia Berlusconi – sono stati inviati a Saint Lucia, l’isola dei Caraibi dove sono domiciliate le società che hanno comprato l’appartamento di An a Montecarlo poi affittato dal cognato di Fini, Giancarlo Tulliani. Secca smentita, ieri, della presidenza del Consiglio: “Le illazioni, le voci e le congetture apparse su alcuni quotidiani in relazione a una presunta attività di dossieraggio sono assolutamente false, diffamatorie e destituite di ogni fondamento”. Bene, commenta Italo Bocchino, capogruppo di Futuro e libertà: “Palazzo Chigi ha fatto benissimo a definire irresponsabili le illazioni sul coinvolgimento dei nostri servizi d’intelligence in operazioni di dossieraggio politico-scandalistico”. Ma, visto il passato dei nostri servizi, non si può “avere la certezza che, come accaduto in passato, non ci siano azioni torbide, illegali, deviate”.



La denuncia di Briguglio

Un altro deputato di Futuro e libertà, Carmelo Briguglio, componente del Copasir (il comitato parlamentare che vigila sui servizi di sicurezza) chiede di approfondire, “al di là delle smentite ufficiali, sia la possibile partecipazione a questa azione di dossieraggio di pezzi di servizi deviati, sia l’attività della nostra intelligence a tutela delle massime cariche della Repubblica”. Briguglio già l’11 agosto scorso aveva evocato, proprio in un’intervista al Fatto Quotidiano, l’ombra dei servizi: “Ogni qualvolta ci sono vicende ad alta tensione politica, spunta sempre una manina, con carte di natura scandalistica che poi, come è già successo nel caso Boffo, si risolvono in un nulla di fatto”. Così, rivelava il deputato, “ci sono stati colleghi parlamentari di area finiana che sono stati spiati e filmati”.



Il riferimento era a Bocchino, che “è già stato sentito dal Copasir e c’è un’indagine interna in corso”. Dopo mesi di “rivelazioni” e polemiche, le ombre, invece che diradarsi, si sono moltiplicate. Così ora è possibile cominciare una prima rassegna dei personaggi e degli interpreti, dei meccanismi e degli strumenti coinvolti nell’operazione “distruggere Fini”. Il primo livello, quello visibile, è costituito dai giornali che da mesi stanno conducendo un’ossessiva, monomaniacale campagna contro il presidente della Camera.



Intendiamoci: le inchieste giornalistiche ci piacciono ed è nonsololegittimo,maanchemeritorio fare luce sui retroscena dei potenti. La campagna sulla casa di Montecarlo realizzata dal Giornale e da Panorama (di proprietà della famiglia Berlusconi) e Libero (testata posseduta dalla famiglia Angelucci) è però troppo simile a un’operazione di vendetta condotta dal presidente del Consiglio contro un uomo politico considerato ormai un traditore e un nemico. Accanto ai giornali di Berlusconi o a lui vicini, è stato indicato, come motore della campagna, anche il sito Dagospia, che effettivamente ha inventato e praticato prima di tutti il genere letterario “sputtanare Fini e famiglia Tulliani”. Roberto D’Agostino è un simpatico guastatore che si diverte a sparare su tutto e tutti e, nella sua furia iconoclasta, finisce spesso per fare dell’ottimo lavoro giornalistico. Ma sulla vicenda Fini-Tulliani qualcuno potrebbe avergli dato un aiutino per trovare materiale da mettere in circolo: è quanto sostiene un altro finiano, Enzo Raisi, che parla di “polpette avvelenate” passate a Dagospia. Sito che, dice Raisi, avrebbe “rapporti con i servizi segreti”.



Senza scomodare le barbe finte, c’è un nome che viene da giorni evocato e sussurrato a mezza voce a proposito di questa vicenda: Luigi Bisignani. È lui l’uomo che, secondo gli amici di Fini, passa notizie a Dagospia. Il sito è da tempo attivo in due campagne: quella contro il presidente della Camera e quella contro Alessandro Profumo, il “Mister Arrogance” fino a martedì sera al vertice di Unicredit. Bisignani ha un ruolo in entrambe le partite. È l’uomo che collega, che realizza campagne, che rende operative le strategie e realizza i desideri dei suoi autorevoli referenti politici (Gianni Letta), finanziari (Cesare Geronzi), economici (Paolo Scaroni). È il punto alto di convergenza tra “cricche” e “bande larghe”, vecchie e nuove P2. Uomo brillante e intelligente, scrive romanzi gialli e parla, oltre che con Letta e Geronzi, con Angelo Balducci, con Guido Bertolaso, con Denis Verdini, con Pier Francesco Guarguaglini… Con Daniela Santanchè, sua compagna fino a qualche tempo fa, aveva anche progettato di rilevare il Giornale. Bisignani ha davvero, come sostengono i finiani, rapporti anche con Dagospia?



L’ombra di agenti segreti

Più sotto, in questa vicenda a più piani che ripropone l’eterna storia italiana della politica fatta a colpi di dossier, si muove l’ombra dei servizi segreti. Controllati da Palazzo Chigi, attraverso il sottosegretario delegato, Gianni Letta. Oggi come ai bei tempi di Niccolò Pollari, direttore dell’intelligence militare (che allora si chiamava Sismi, oggi Aise), e di “Shadow”, la sua ombra, il diligente funzionario Pio Pompa che a partire dal 2001 ha accumulato nel suo ufficio di via Nazionale a Roma una mole imponente di dossier illegali su magistrati, giornalisti, politici, intellettuali d’opposizione, considerati“nemici”di Berlusconi da“disarticolare, neutralizzare e dissuadere”, anche con “provvedimenti” e “misure traumatiche”.



Allora furono messi in circolo da Pompa, tra l’altro, falsi dossier su Romano Prodi. Anni dopo, la macchina del fango si è rimessa in moto per azzoppare il governatore del Lazio, Piero Marrazzo, non senza contorti passaggi di documenti e informazioni tra Vittorio Feltri, il direttore di Chi Alfonso Signorini e Silvio Berlusconi. E proprio a lui fu portata, la vigilia di Natale del 2005, l’intercettazione segreta tra Piero Fassino e Giovanni Consorte (“Siamo padroni di una banca?”): almeno secondo quanto racconta il faccendiere Fabrizio Favata. Pochi giorni dopo, quella telefonata finì sulla prima pagina del Giornale. Il Parlamento, che dovrebbe vigilare sull’intelligence con il Copasir, naturalmente non riesce a bloccare eventuali manovre illegali. Anche perché la legge che nel 2007 ha riformato i servizi ha allargato gli spazi d’impunità di cui possono godere. Si è dilatata anche l’area coperta dal segreto di Stato. E poi le operazioni più delicate (e compromettenti) sono realizzate ai margini dei servizi. Da che mondo è mondo, le operazioni sporche si fanno con gli “irregolari”.



Da il Fatto Quotidiano del 24 settembre 2010

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La pistola c’è, il fumo no

Alla fine ha cominciato a preoccuparsi persino il direttore di Libero Maurizio Belpietro. “Non vorrei”, ha scritto domenica, mettendo le mani avanti, “che i professionisti della polpetta avvelenata stessero provando a rifilare bidoni ai giornali impegnati in un’operazione trasparenza”.



Un chiaro segnale di come, anche tra i fedelissimi del Cavaliere, serpeggi sempre più forte l’impressione che puntare tutto sulla storia dell’appartamento di Montecarlo per far fuori (politicamente) Gianfranco Fini, sia stato un errore.



“Ecco i documenti che smentiscono Fini” aveva titolato sabato a tutta pagina Il Giornale riproducendo la ricevuta dell’acquisto di una cucina Scavolini da parte di Elisabetta Tulliani. Peccato però che il documento non dimostri niente.



La fotocopia racconta solo che la compagna del presidente della Camera ha acquistato dei mobili nel centro Castellucci, alla periferia di Roma. Non che quei mobili siano poi stati inviati nel principato di Monaco. E nemmeno le parole di Davide Russo – un “impiegato” del negozio che sostiene di essersi dimesso proprio per poter rispondere alle domande del quotidiano di via Negri senza mettere in imbarazzo i suoi datori di lavoro – riescono a chiarire il mistero.



Quando gli chiedono se davvero la cucina fosse diretta a Montecarlo lui risponde: “La certezza non posso averla”.



Insomma la pistola fumante, che già venerdì aveva spinto Vittorio Feltri a scrivere, “Fini mente: ecco la prova”, non c’è. E adesso l’ennesimo attacco a colpi di dossier e rivelazioni del direttore de Il Giornale al capo dei ribelli del centrodestra, minaccia di risolversi in favore di quest’ultimo.



Che cosa accadrà se nelle prossime ore, come giurano più o meno tutti i finiani, il presidente della Camera convocherà i giornalisti per mostrare l’ormai celebre cucina installata in un italianissimo appartamento?



Certo, la vicenda resta tutt’altro che chiara. La casa di Montecarlo è stata venduta sotto-costo. Il fatto che la occupi il troppo silenzioso fratello di Elisabetta Tulliani lascia aperta la porta ai sospetti. Ma l’affaire monegasco rispetto agli scandali e le inchieste, condite di circostanziate prove, in cui è rimasto invischiato il Cavaliere, è davvero poca cosa. E ora cominciano a pensarlo pure gli elettori del Pdl.



Certe campagne stampa per avere successo si devono risolvere nello spazio di un mattino. Il Caimano deve adocchiare la preda e sbranarla nel giro di un secondo. Perché una seconda possibilità non ce l’ha. Nemmeno se si chiama Berlusconi.



Non per niente anche i nuovi testimoni (l’ultimo un certo Luciano Care) sfoderati per dimostrare come Fini e compagna si siano fatti vedere assieme nel Principato, cominciano per molti ad avere il sapore di patacca. E il rischio sempre più concreto (per il premier) è che l’intera storia faccia la fine dell’assalto a Antonio Di Pietro del 1994-1996.



Allora Silvio Berlusconi, suo fratello Paolo e l’avvocato Cesare Previti si erano mossi personalmente per convincere una serie di sedicenti testimoni a presentarsi in procura a Brescia per incastrare l’ex pm di Mani Pulite.



Poi grazie alle intercettazioni e alle contro-indagini di Di Pietro saltò fuori che tutti loro, o quasi, avevano ricevuto in cambio qualche promessa dal Cavaliere. L’imprenditore Antonio D’Adamo fu addirittura ascoltato mentre si accordava per telefono con il leader di Forza Italia per ottenere molti miliardi di lire di affidamento da una serie di banche e degli appalti in Libia dal colonnello Gheddafi.



“Papà, ma tu sei riuscito a fare qualcosa per lui?”, chiedeva la figlia di D’Adamo al padre il 7 settembre del ’95. E l’imprenditore, prima di diventare il grande accusatore dell’ex Pm, rispondeva: “Certo Patrizia, c’è tutta una contropartita”. Più chiaro di così.



Anche per questo oggi è ovvio domandarsi quale sia (se esiste) la contropartita dei testimoni anti-Fini. E se emergeranno (cosa tutt’altro che improbabile) pagamenti o la garanzia di contratti o di posti di lavoro, il pasticcio in salsa previtiana, sarà completo.



Risultato: la campagna di agosto del Cavaliere che mirava a spingere almeno una decina di parlamentari finiani a tornare all’ovile fallirà. E Berlusconi si troverà a fare i conti con il problema Bossi.



Il senatur, è vero, continua a giurare di essergli fedele. Ma la macchina del fango e dei ricatti messa in moto dal premier, se non porterà alla scoperta di elementi che inchiodano davvero Fini, finirà per spaventare ancor di più gli elettori.



Già ora i sondaggi dicono che nel nord a fare il pieno di voti sarà la Lega. Questo, vuol dire che il Pdl in caso di elezioni anticipate, avrà trenta parlamentari in meno. E allora perché i deputati e senatori di Berlusconi dovrebbero accettare di andare alle urne solo per perdere le loro comode poltrone?



Agosto è ancora lungo, è vero. Ma i continui colpi di cannone che partono dalle corazzate mediatiche del premier e finiscono fuori bersaglio, sembrano avvicinare il Paese a un fatidico nuovo 8 settembre.



Quel giorno per la democrazia sarà un armistizio. Per il Cavaliere una sconfitta.

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sabato 11 settembre 2010

Il Belpaese senza i conservatori

di Luca GERONICO

Avvenire, 30.3.2000.


I mali italiani e il mancato sviluppo politico di fine ‘800: oggi un dibattito a Roma.
Tutta colpa di Giolitti? Rudinì cercò di dare soluzione al trasformismo italiano
Fonzi: "Mancò l'apporto del popolo"



Conservatori senza partito: e se la colpa fosse di Giolitti? Insomma, se l'Italia risorgimentale, quella della destra e sinistra storica moriva - come da manuale - con le cannonate di Bava Beccaris a Milano, l'età giolittiana che si andava ad aprire, oltre che la culla del trasformismo, della prima industrializzazione e dell'accordo clerico-moderato, fu pure la tomba del partito conservatore italiano. Così la patologia del sistema politico italiano, incapace di una alternanza fra due grandi schieramenti secondo la più schietta tradizione anglosassone, troverebbe la sua origine nel fallimento di due tantitivi ravvicinati di creare un partito conservatore antagonista ad un partito liberal democratico.

Ripartiamo allora proprio dalle schioppettate di Bava Beccaris, o meglio da quel marchese Antonio di Rudinì allora capo di governo che, bollato come effimero reazionario, si scopre aver tentato durante il suo primo governo (1891-93) "una delicata operazione di raccordo dell'area moderata" aprendo trattative con il Vaticano per ottenere il consenso cattolico, "fattore indispensabile per la costituzione di un partito conservatore in Italia". Un progetto politico riscoperto da Paolo Carusi, ora esposto in «Superare il trasformismo. Il primo ministero di Rudinì e la questione dei partiti nuovi», un tentativo da abbinare ai cento giorni del governo di Sidney Sonnino - un altro bistrattato dalla memoria - che nel 1906 cercò, unendo cattolici transigenti e liberali non anticlericali, di costruire un'alternativa di destra a Giolitti, come lumeggiato da Umberto Gentiloni Silveri in «Conservatori senza partito. Un tentativo fallito nell'Italia giolittiana». Un partito conservatore mai realizzato, anche se nel 1908 vi fu chi redasse il «Manifesto per un partito conservatore italiano». Un fallimento che "porta con sè riflessioni e conseguenze che hanno più a che fare con il futuro sviluppo dell'Italia che con il movimento conservatore ottocentesco", scrive Gentiloni Silveri. Due volumi rigorosi e documentati - entrambi editi da Studium e al centro di un dibattito oggi all'Istituto Sturzo di Roma con gli storici Fausto Fonzi, Ernesto Galli della Loggia, Luigi Lotti e Pietro Scoppola - che presentano una sintesi inedita, una «inventio» delle origini di una questione quanto mai di attualità.

"La mancanza di un partito conservatore - spiega lo storico cattolico Fausto Fonzi - fu il riflesso della mancata partecipazione di tutto il popolo italiano alla vita politica, in particolare l'assenza di gran parte dei cattolici". Insomma il non ancora risolto rapporto Stato-Chiesa che plasmò in modo anomalo rispetto al resto d'Europa i nuovi equilibri politici italiani del primo Novecento. Ma secondo Lorenzo Lotti, che insegna Storia moderna all'università di Firenze, i tentativi di Di Rudinì e Sonnino erano comunque velleitari perché "almeno fino al 1994 tutto il sistema politico italiano è stato imperniato su una grande aggregazione al centro. Un mito risorgimentale il bipolarismo anglosassone che si scontrava con la realtà di una sinistra estremista e con i cattolici estranei allo Stato unitario. Il partito conservatore non poteva nascere con i cattolici all'opposizione dello Stato liberale". "Il superamento del non expedit - precisa a sua volta lo storico Pietro Scoppola - non fu la condizione per il formarsi di un forte schieramento moderato, perché prevalse un uso strumentale del voto cattolico utile a mantenere gli equilibri giolittiani contro i socialismi. Una politica di alto trasformismo, ma che rese impossibile la polarizzazione del sistema come avvenne negli altri Paesi dove i partiti conservatori nacquero, durante la prima industrializzazione, in difesa del mondo agricolo e del mondo religioso ad esso strettamente legato". Invece in Italia, mentre nel declino del sistema liberale ottocentesco i partiti di massa conquistavano spazi sociali e consensi, i ceti medi, ossessionati dal rischio della proletarizzazione, si identificarono culturalmente nel futurismo e politicamente con il movimento nazionalista. L'esito, esauritasi anche la fase giolittiana, fu il costituirsi di un nuovo blocco sociale, formato da ceti medi e grande industria, che sostenne Salandra e poi l'ingresso in guerra.

Conservatori senza partito, ma anche senza eredità? "Il merito di quel tentativo - sostiene Fonzi - fu di aver posto con chiarezza una certa linea ideologica. Una tradizione di liberalismo di destra, che si può far risalire addirittura a Stefano Jacini che aveva teorizzzato il sistema politico all'inglese e il partito conservatore nazionale. Una tradizione perduta, ma di alto profilo morale che resta un punto di riferimento".

Per Scoppola invece la parte migliore di quella tradizione conservatrice "venne valorizzata da Alcide De Gasperi, in una situazione complicata dall'unità politica dei cattolici che i conservatori di inizio secolo, pensando ad una possibile alleanza con una parte di essi, non si ponevano. Viceversa il mondo cattolico venne tenuto unito dalle rivendicazioni temporalista e poi dalla difesa degli interessi cattolici. Uno spazio politico che non riesce a trovare una propria autonomia perché sovrastato da preoccupazioni confessionali legittime, ma che hanno prevalso sulla dinamica di una società in fase di modernizzazione".

Pochi spiccioli d'eredità, secondo Lotti, per il pensiero conservatore nel seguito del secolo: "Qualche elemento sopravvisse nella tradizione del liberalismo moderato, sconvolto dal primo dopoguerra e addirittura travolto dal secondo dopoguerra". Sconfitti o subalterni nel giolittismo e nel centrismo i conservatori per Scoppola adesso avrebbero una nuova chance: "La domanda politica al termine di questa riflessione è se, esauritasi con Moro ogni possibile sintesi centrista, sia giunto il momento di una polarizzazione della politica in cui gli «interessi religiosi» siano sostenuti lealmente da tutti i cattolici nonostante le divisioni politiche". Una nuova fase politica che, anche secondo Lotti "rende in teoria possibile non il bipartitismo, ma il bipolarismo. Un'ipotesi adesso non velleitaria sopratutto in un contesto internazionale inedito". Insomma, dopo la svolta post comunista, la «Cosa» del Duemila potrebbe essere il partito conservatore.
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Gli italiani sono singoli geni che formano, tutti insieme, un popolo politicamente disordinato e immaturo.

Una collettività talmente sorprendente da rendere problematico un giudizio complessivo.
A.Lattuada

lunedì 6 settembre 2010

L'intervento integrale di Fini a Mirabello





Care amiche e cari amici di Mirabello, ogni volta che ho avuto modo di prendere la parola in questo piccolo paese della provincia di Ferrara che mi è caro per tante ragioni; ogni volta che in questi anni ho avuto modi di rivolgermi al popolo prima della destra e poi del centrodestra, ho sempre provato una certa emozione. Per ragioni note, perché qui affondano le radici di una parte della mia famiglia, perché qui, tanti anni fa, un uomo certamente capace di guardare innanzi, indicò al suo popolo, quello che allora era il popolo del Movimento sociale, la necessità di un salto di generazione. E credo che la presenza qui, insieme a tanti, di un uomo come Mirko Tremaglia sia la più bella dimostrazione di quella ideale continuità. Mirabello come luogo, per me e tanti, delle emozioni, emozioni che nel corso del tempo, si sono rinnovate qui. La destra italiana qui ha vissuto dei momenti importanti. Fu qui, con Pinuccio Tatarella, che anticipammo quella che poi divenne Alleanza nazionale. E fu ancora qui che, insieme con tanti altri, preconizzammo quell'ulteriore svolta - così la chiamarono i giornalisti - che portò alla nascita del Popolo delle libertà. Ogni qualvolta, per queste e altre ragioni, mi sono rivolto da questo palco a coloro che ascoltavano e più in generale agli italiani, ho provato una grande emozione. Ma, credetemi, l'emozione di ieri e dell'altro ieri non è nulla rispetto all'emozione che provo in questo momento. Credo che mai mai mai nel mio cuore ci sia stata un'emozione forte come quella che avverto in questo istante. Un'emozione che deriva dal fatto che questo appuntamento, questa festa del 2010, è diventato, com'è ormai a tutti noto, un appuntamento rilevante per l'intera politica italiana, non soltanto per le sorti del Popolo delle libertà, del centrodestra, della destra italiana. Mirabello è diventata, ed è, per un giorno la capitale della politica italiana. E credo, caro Vittorio Lodi, che questo sia il regalo più bello che ti potevamo fare e diventa un regalo per chiunque segua le vicende politiche nazionali.



Un ringraziamento sincero, quindi, a Vittorio, alla famiglia, a tutti coloro che in questi giorni hanno dato vita ai dibattiti, un ringraziamento alle tante donne e ai tanti uomini che hanno raggiunto Mirabello, molte volte per la prima occasione, provenienti da ogni parte d'talia. È quella mobilitazione spontanea di popolo, cui facevano riferimento Bellotti, Raisi, Moroni, di un popolo che non è qui perché precettato, un popolo che è qui perché sente profondo il desiderio di partecipare, di ritrovare un orgoglio, un'appartenenza, un desiderio che è quello di un impegno politico all'insegna anzitutto di alcuni valori, di precise idealità. Un popolo di donne e di uomini che si ritrova, in alcuni casi dopo molti anni, in altri casi, si ritrova dopo poche settimane. E allora spero che questa piazza, che mi dà forza, e vi ringrazio, in questa fase di difficoltà possa esser l'occasione da parte mia per dare un contributo di chiarezza su quello che è accaduto e su quello che accadrà. Che cosa è accaduto in questo tormentato periodo estivo? Non lo si comprende, care amiche e cari amici, se non si torna indietro al giorno in cui tutto è cominciato. Un giorno che non è lontano, calendario alla mano, ma che sembra ormai sepolto, il 29 di luglio. Quando l'ufficio politico del Pdl, il massimo organismo di vertice del partito, dopo una riunione durata un paio d'ore, in mia assenza, ha decretato di fatto la mia espulsione da quel partito, un partito che ho certamente contribuito a creare, non in ragione di quel che potevo rappresentare come persona, ma in ragione di quel che rappresentava quella grande comunità politica che era ed è la destra italiana. Una riunione al termine della quale è stato approvato un documento in cui si scrive testualmente che la mia posizione, e la posizione dei cosiddetti finiani, rappresentava uno stillicidio di dissenso, una critica demolitoria, un atteggiamento di opposizione permanente spesso in sintonia con posizioni e temi della sinistra, una - e questa veramente è da ridere - una partecipazione attiva al gioco al massacro delle procure e, quindi, - questa era la conclusione - Fini è assolutamente incompatibile con i principi ispiratori del Popolo della libertà. Il 29 di luglio. E, allora, per cominciare a fare chiarezza, non c'è stata alcuna fuoriuscita, non c'è stato alcun tipo di scissione, non c'è stato alcun atteggiamento volto a demolire il Popolo della libertà. C'è stata di fatto la mia estromissione dal partito che avevo contribuito a creare con un atto profondamente illiberale, con un atto autoritario, con un atto che nulla ha a che spartire con quel pluralismo che rappresenta una delle garanzie, una delle condizioni perché un partito sia autenticamente un partito liberale di massa. Nessuna follia, nessuna scissione. Un atto, non ho difficoltà a dirlo, che forse è stato ispirato da quel libro nero del comunismo che ci fu consegnato quando demmo vita ad Alleanza nazionale. Un atto in perfetto stile stalinista quello di essere messi alla porta senza alcun contraddittorio. Quel documento fu una brutale repressione della dialettica interna, prima che del dissenso, fu il tentativo di annullare ogni tipo di diversità. E, allora, ragioniamo, chiediamoci se nel Popolo della libertà, il partito liberale di massa, in quello che un po' enfaticamente fu definito "partito dell'amore" era ed è possibile fare delle critiche, esprimere dei dubbi, indicare delle prospettive? Per fare qualche esempio, non c'è ombra di dubbio, e chi ha seguito la politica negli ultimi mesi sa bene, che da parte mia ci sono state in alcune occasioni delle critiche, dei dubbi, ma aprendo prospettive, facendo delle proposte. Credo che sia più che naturale quando si sta all'interno di un grande partito che vuole essere liberale e di massa. È possibile avanzare delle critiche e dire, ad esempio, che a fronte di un governo che per molti aspetti aveva ben operato contro la crisi finanziaria. Non è vero che siamo a priori contro l'azione dell'esecutivo, sarebbe ridicolo. Ci sono amici del Popolo della libertà, esponenti di Futuro e libertà che sono nel governo Berlusconi. Un governo che ha ben operato contro la crisi finanziaria, forse poteva modulare in modo diverso alcuni interventi. Poteva ad esempio evitare quei tagli lineari alla spesa, vale a dire tagliare ciò che era superfluo e inutile e contemporaneamente tagliare ciò che era essenziale, taglia che hanno determinato, per citare solo due casi, due clamorose proteste. Proteste di gente che lavora, di donne e uomini che potevano essere qui, e in alcuni casi sono qui. Mi ha ferito quando a Venezia ho visto le forze di polizia costrette a manifestare il proprio dissenso.



Credo che meriti rispetto ogni dirigente, ogni cittadino italiano colpito da quei tagli che non andavano fatti. E penso anche ai tagli ai fondi alla scuola, causa della protesta dei precari che ancora non sanno se fra qualche giorno, quando ricomincerà l'anno scolastico, ci sarà una cattedra per loro. Non è una critica demolitoria nei confronti del governo. È la constatazione del fatto che quando si interviene occorre intervenire sapendo perfettamente quali possano essere le conseguenze. Allora, è lecito avanzare critiche, esprimere dubbi? Come quelli non sul federalismo fiscale, ma sui suoi costi effettivi, sui suoi tempi di attuazione, perché non c'è dubbio che il federalismo fiscale può essere una grande riforma per tutta l'Italia, ma in alcuni momenti è parso che così non fosse. È lecito pensare che nel Pdl le prospettive non siano condivise da tutti. Per esempio, quando si parla di lotta all'immigrazione clandestina, ed è sacrosanto, si deve indicare anche la prospettiva dell'integrazione dell'immigrato onesto. E ancora, la questione più spinosa, il garantismo è un principio sacrosanto, ma mai e poi mai può essere considerato una sorta di impunità permanente: garanzia dell'imputato, certo, ma i processi si devono svolgere. Tutto questo è eresia, è disfattismo? È stillicidio polemico ribadire che la magistratura italiana è un caposaldo della nostra democrazia? Non si può a causa di qualche mela marcia contestare quello che rimane il presidio della nostra Repubblica. È uno stillicidio dire che noi siamo un grande partito nazionale e che, proprio perché deve avere a cuore gli interessi di tutti, da Vipiteno a Lampedusa, non può appiattirsi sulle posizioni di un alleato certamente importante come la Lega che però ha soltanto una dimensione regionale? Quando si dice che non è stato un grande atto di lungimiranza da parte del Pdl, per dar ragione a Bossi, accontentare un migliaio di produttori di latte che sforavano le loro quote a scapito di tanti agricoltori onesti? Il Pdl doveva essere un grande partito nazionale, un grande partito occidentale, con valori di riferimento precisi: libertà, rispetto e dignità della persona umana. E se non fossi stato espulso dal Pdl avrei detto quello che dico adesso, dopo aver visto lo spettacolo poco decoroso di Gheddafi a Roma, un personaggio che non ha nulla da insegnarci. Da ex ministro degli Esteri conosco le ragioni della realpolitik, posso anche arrivare a dire che ci possa essere una quota di realpolitik dettata da un legittimo calcolo di interessi, da una logica di tipo finanziario. Ma questo non può portare a una sorta di genuflessione.



E allora, continuando, è possibile dire all'interno del Pdl, come ho detto in passato, che c'è un preciso dovere per chi ha responsabilità istituzionali, quello di rispettare le altre istituzioni? Quando il premier chiede che gli venga riconosciuto il rispetto dovuto, lui deve riconoscerlo agli altri, in primis al capo dello Stato che rappresenta la Costituzione. E si deve rispettare il Parlamento, che non è una dependance dell'esecutivo. E non lo dico da presidente della Camera, ma perché devono essere equilibrati i poteri. È stillicidio dire che governare è una nobile e ardua impresa ma non può mai significare comandare? Sì, perché governare significa comprendere le ragioni di tutti e garantire equilibrio. E sempre per essere chiari: era stillicidio, provocazione, boicottaggio, ribadire che il Pdl doveva essere la garanzia della possibilità di portare a termine le grandi riforme di tipo costituzionale, economico, sociale? È vero, la crisi è stata un ostacolo. Ma perché non si parla più della necessità di una grande riforma, a partire da quella della carta costituzionale, che possa davvero porre fine a questa interminabile transizione e far nascere davvero l'alba di una nuova repubblica? Non avevamo concepito il Pdl per mantenere l'esistente, ma come forza di vero e autentico cambiamento.



E, ancora, è stata dimostrazione di preconcetta ostilità ribadire che in questa fase di crisi - in cui è ancora più indispensabile l'impegno per una politica volta a garantire un miglior passo di giustizia sociale. Negli ultimi due anni, da questo punto di vista è cambiato poco. E quella grande rivoluzione basata sul merito, con cui si riempivano le piazze in occasione della campagna elettorale deve diventare il prima possibile non soltanto un impegno ma un atto politico conseguito giorno per giorno con tutti gli interventi volti ad aiutare chi è più capace. E ritengo di avere diritto di porre alla mia comunità politica anche quesiti scomodi e questo non credo che meritasse il gesto infastidito e stizzito di chi ha detto che è incompatibile con il Pdl. Il presidente del Consiglio, lo dico senza ironia, ha tanti meriti, ma anche qualche difetto: innanzitutto quello di non capire che in una democrazia liberale non può esserci eresia perché non ci può essere l'ortodossia. Gli siamo tutti grati per quello che ha fatto nel '94, per aver battuto la cosiddetta macchina da guerra, ma la gratitudine non implica che non possa esistere il confronto, che i distinguo debbano essere accusati di lesa maestà: perché non siamo un popolo di sudditi. Io gli ho contestato la sua attitudine a confondere la leadership con quello che è l'atteggiamento di un proprietario di azienda. Proprio perché il Pdl ha aperto orizzonti di grandi speranze, non può essere derubricato a contorno del leader, ma deve essere una fucina di idee, un polmone che respira e dà ossigeno all'intera nazione. Rivendicare la possibilità di esprimere opinioni, di avanzare proposte, critiche, fare valutazioni non può essere boicottaggio ma democrazia interna, fisiologia di un partito liberale di massa, non teatrino della politica. È possibile che la sola volta in cui si sia riunita la direzione del Pdl abbia segnato il momento di avvio del processo che ha portato al 29 di luglio? Giorno che considero lesivo non della mia persona, ma di un grande partito che è il Pdl e si fonda sulla democrazia.



Continuare in questa dialettica interna non significa tradire gli elettori perché ci sono tanti, tanti elettori del Pdl autenticamente moderati che non si accontentano dell'affermazione "siamo il partito dei moderati". Ci sono per davvero tanti elettori del Pdl convinti che la ragione prima della politica sia garantire l'interesse generale, il bene comune, della polis, l'interesse della comunità, nazionale, non l'interesse di una parte. C'è gente che non capisce perché il Pdl anziché lavorare per unire, lavori per dividere, per alzare gli steccati, per determinare scontri.



Ecco il Pdl autenticamente nazionale. Certo, questi elettori del Pdl sono in molti casi donne e uomini che hanno votato Alleanza nazionale, ma non solo. Sono elettrici ed elettori di altre tradizioni politiche. E ne abbiamo avuto la riprova dopo l'espulsione, quando si sono costituiti i gruppi di Futuro e libertà. Si sono uniti uomini e donne che non avevano avuto niente a che fare con quella tradizione politica.



Il ringraziamento che voglio fare è a quei parlamentari che non erano mai stati a Mirabello. Fli non è An in sedicesimo. Chi lo pensa non ha capito assolutamente nulla. Qui c'è il tentativo difficile ma doveroso di non disperdere quel sogno. Dobbiamo dare risposte alle tante donne e ai tanti uomini che nemmeno leggono più le pagine della politica, che nutrono fastidio per telegiornali e giornali che, salvo rare eccezioni, sembrano essere quasi fotocopie. Nel Paese sta crescendo il distacco nei confronti della politica, di quella degli steccati. Fli deve essere punto di riferimento di tanti elettori che nelle ultime elezioni magari si sono astenuti o che nelle prossime amministrative, senza un'alternativa, si asterrebbero. Sono elettori che ci dicono di andare avanti, di cercare di difendere non solo le nostre buone ragioni ma i principi originari, più autentici del Pdl, che ci chiedono di dar vita a una buona politica, che è l'unico antidoto alla sfiducia crescente nelle istituzioni. Quando tante persone perdono fiducia nella politica è la vigilia di momenti che possono essere più problematici. Il Pdl, come lo avevamo concepito e voluto, è finito il 29 luglio perché è venuta meno la volontà di dar vita a quel confronto di idee che è il sale della democrazia. Il Pdl non c'è più, ora c'è il partito del predellino. Per certi aspetti il Pdl è Forza Italia che si è allargata con qualche colonnello o capitano che ha soltanto cambiato generale e magari è pronto a cambiarlo ancora. E il fatto che il Pdl non c'è più è la ragione per la quale è facile rispondere alla domanda: cosa accadrà? Ed è molto più facile rispondere se si ragiona, piuttosto che se ci si fa prendere dai desideri o dalle paure. Fli non può rientrare in ciò che non c'è più, non accadrà. Non si entra in ciò che non c'è più, si va avanti con le nostre idee, con il nostro impegno, con la nostra elaborazione politica. Non ci ritiriamo in convento, né erriamo raminghi in attesa del perdono.



I gruppi parlamentari non possono essere trattati - Berlusconi è un uomo di spirito e non se la prenderà - come se fossero dei clienti della Standa, che se cambiano il supermercato dove fino a quel momento si sono serviti ottengono poi il premio di fedeltà. I parlamentari che stanno con noi hanno voglia di far politica, di parlare con la gente. Si va avanti con le nostre idee, con le nostre proposte, si va avanti senza farsi intimidire da quello che è stato definito il "metodo Boffo", messo in campo nell'ultimo mese da alcuni giornali che dovrebbero essere il biglietto da visita del "partito dell'amore". E se questo è l'andazzo, immaginate se non fossero stati amorevoli che cosa poteva succedere. Non ci facciamo intimidire, perché di intimidazioni ne abbiamo vissute ben altre, in anni in cui i pericoli per la destra erano ben altri. Non ci facciamo intimidire da campagne paranoiche e patetiche. Paranoiche perché indecenti, e patetiche perché non si rendono conto del disprezzo che sta montando nella gente.



Noi attendiamo fiduciosi che sia la magistratura a chiarire quali e quante calunnie, quali e quante diffamazioni, quali e quante insinuazioni, quali e quante volgarità, quali e quante azioni volte a dar vita a un'autentica lapidazione di tipo islamico. Altro che valori della libertà. È stato un atteggiamento infame, non perché rivolto alla mia persona, ma alla mia famiglia, ed è tipico degli infami. Si va avanti e lo si fa per tenere fede allo spirito delle origini, si va avanti per non tradire lo spirito del Pdl, si va avanti per evitare che il governo commetta altri errori, si va avanti - e se lo tolgono dalla testa - senza cambi di campo, senza ribaltoni e tatticismi, perché da questo punto di vista le polemiche sono indice dello scarso livello del comprendere. Si va avanti convinti, come siamo, della necessità di portare a termine il patto scritto con gli elettori, senza dimenticare nessuna parte del programma e senza aggiungerne qualcuna che nel programma non c'era e poi diventa un'emergenza di fronte alla quale tutto si deve fermare. Si va avanti anche quando il presidente del Consiglio presenterà il nuovo patto per i prossimi anni della legislatura, i famosi cinque punti - la riforma della giustizia, il Mezzogiorno, il federalismo, il fisco e la sicurezza - è di tutta evidenza che i nostri capigruppo parleranno chiaro e forte e parleranno senza distinzioni tra falchi e colombe, perché a noi non interessa l'ornitologia. Siamo appassionati di dibattito politico e a differenza di altri ci confrontiamo.



E ci mancherebbe altro: i parlamentari di Futuro e libertà, se vogliono ridare dignità e spirito di attuazione a quello che era il progetto del Pdl, possono opporsi ai capisaldi del programma? E allora sosterremo da donne e uomini liberi questo programma. Ma credo che non possa essere negato, a noi come a nessun deputato o senatore della maggioranza, di chiedere come si declineranno questi obiettivi del programma. Con spirito costruttivo chiederemo come si vuole dare vita a questo programma. Fli non rema contro, ma rappresenta l'azione politica di chi vuol far camminare veloce il governo in modo proficuo ristabilendo anche un buon rapporto con la pubblica opinione (perché c'è qualche segnale di stanchezza, amici miei, sondaggi o non sondaggi). Cercheremo di dare vita a un patto di legislatura, dunque, per riempire di fatti concreti gli anni che ci separano da quando andremo a votare. È un "interesse nazionale", e per questo riteniamo che sia avventurismo politico minacciare un giorno sì e l'altro pure le elezioni, magari per intimidirci e magari per regolare i conti con qualcuno. Governare è fatica, confidiamo nel senso di responsabilità di tutti, nessuno escluso. Perché il fallimento di questa legislatura sarebbe un fallimento per tutti: per me, per Fli, per Berlusconi. E credo che ne sia cosciente, Berlusconi. Perché al di là di tante espressioni polemiche, quando si ottiene una fiducia talmente ampia e si ottiene una maggioranza parlamentare come mai era capitato nella storia della Repubblica, la prima cosa da fare non è mettere alla porta il dissenso o chi magari è antipatico, ma governare. Siamo certi che un patto di legislatura possa garantire la legislatura. E credo che ne siano consapevoli anche Bossi e la Lega. Bossi capisce gli umori della gente, è un leader popolare. Abbiamo polemizzato spesso, è vero. Solo chi non conosce la storia, oltre che la geografia, può pensare che la Padania esista per davvero! Bossi ha capito che quella bandiera che ha alzato per primo anni fa, anche raccogliendo l'ironia e lo scetticismo di molti, il federalismo, può essere una bandiera da alzare, che determinerebbe il compimento di quella missione storica che Bossi ha dato al suo movimento. Ma il federalismo è possibile solo se è nell'interesse di tutta l'Italia. Bossi è uomo concreto, sa che il nord ha bisogno del federalismo a condizione che sia nel nome dell'interesse generale. E potrei tranquillamente dire che nella commissione bicamerale con trenta componenti per il federalismo fiscale, il nostro senatore Baldassarri è determinante. Allora, discutiamo assieme a Lega e a Forza Italia allargata di che significa federalismo equo e solidale. È una grande questione che non si riduce al rapporto tra Calderoli e Tremonti. Si può realizzare a patto che si stabiliscano i costi standard.



Il Meridione ha tutto da guadagnare da una riforma in senso federalistico, nella quale è indispensabile valutare i costi standard delle regioni, perché nessuno può obiettare il fatto che i costi in Emilia Romagna non sono la stessa cosa di quelli in Calabria. Nessuno difende la spesa storica, quella in base alla quale le amministrazioni si vedevano pagare le loro spese a pié di lista, ma la definizione dei parametri di spesa non può non essere discussa, come si deve discutere dei tempi del federalismo o di cosa voglia dire fondo perequativo. Tanto più che, con questa riforma dobbiamo essere all'altezza di una ricorrenza, quella della celebrazione dei 150 anni di unità italiana, che non deve essere solo ricostruzione degli eventi storici, ma occasione per una riforma nazionale, che non lasci indietro alcune regioni, che non sia espressione di egoismo di parte ai danni di tutti. L'Italia una e indivisibile è non solo interesse del Sud, ma anche del Nord. E basta vedere cosa accade fuori dalla nostra nazione per accorgersi che se la crisi della Grecia fa tremare la Germania, la Padania non può certo sopravvivere alla crisi di un solo paese europeo o che si affaccia nel Mediterraneo. L'Italia ha il dovere di confermare la sua unità e di mettersi in competizione con gli altri paesi. Ha il dovere di fondare un nuovo patto di legislatura, che non sia più un tavolo a due gambe, né un accordo gestito con quiescenza.



Ma che fine ha fatto nel programma quel punto con il quale si pigliavano gli applausi relativo all'abolizione delle province? Che fine ha fatto quel punto del programma che prevedeva la privatizzazione delle municipalizzate? È stato sufficiente capire che in alcune aree diventavano i tesoretti di un partito per allineare la Lega alla sinistra italiana. Il nuovo patto di legislatura non è più soltanto tra Berlusconi e Bossi, ma nell'interesse di tutti, della Lega ma anche di Silvio Berlusconi. Sono convinto che nel suo realismo e pragmatismo metterà da parte l'ostracismo, anche perché non ci fermiamo. È inutile che dicano "facciano quello che vogliono", perché lo faremo. Non servono a nulla gli ultimatum anche perché non ci spaventano. Silvio Berlusconi ha il sacrosanto diritto di governare, perché è stato scelto in modo inequivocabile dagli elettori e non ho alcuna difficoltà a dire che pensare a scorciatoie giudiziarie per toglierlo di mezzo, rappresenterebbero un tradimento del volere democratico. Nessuno è contrario al lodo Alfano o al legittimo impedimento. Siamo convintissimi che occorra risolvere la questione relativa al diritto che Berlusconi ha di governare senza che vi sia l'interferenza di segmenti iperpoliticizzati della magistratura che vogliono metterlo in fuorigioco. Affidarsi al dottor Stranamore - che è l'onorevole Ghedini - è incomprensibile. La soluzione non si trova mai e il problema si acuisce. Non va fatta una legge ad personam che danneggi parte della società, ma una legge a tutela del capo del governo, del capo dello Stato che esiste in molti paesi d'Europa.



Il che non vuol dire impunità, non vuol dire cancellare i processi, ma la sospensione degli stessi. E dobbiamo farlo cercando di avere in mente che alcune riforme sono giuste: come si fa a essere contrari al processo breve? Si deve lavorare per quello e dobbiamo ricordare a proposito che l'Ue ci ha condannati più volte per la loro eccessiva durata, spesso occorrono anni per sapere come va a finire. Ma la cosa inaccettabile è il rischio che, nel momento in cui tante vittime aspettano di sapere il destino del processo, poi rimangano con un pugno di mosche in mano. La riforma va fatta per garantire i cittadini. La riforma della giustizia non può essere fatta contro la magistratura, che certamente non ha il compiuto di interferire con il Parlamento. E allora discutiamo in Parlamento, di come garantire a Berlusconi il diritto di governare, discutiamo anche con le parti più responsabili dell'opposizione: una dimostrazione su questo punto l'ha data Casini. Discutiamo anche delle proposte che derivano dall'opposizione, senza che i solerti consiglieri del principe le straccino subito. E penso anche alle proposte avanzate da giuristi come Pecorella, Consolo e dall'attuale vicepresidente del Csm, Vietti. Facciamo la riforma della giustizia senza per questo determinare però un perenne cortocircuito tra il potere politico e la magistratura. È un impegno gravoso, difficile, che comunque dobbiamo portare avanti. Se la sovranità appartiene al popolo, la sovranità si esprime in tanti modi. Qui vogliamo rilanciare una proposta, una di quelle per le quali dicono: "Fini dice cose che lo avvicinano alla sinistra". La sovranità popolare significa anche che la gente ha il diritto di scegliere i propri rappresentanti. Se la sovranità è popolare credo che la gente abbia il diritto di scegliere anche questo. Federalismo e giustizia: sono grandi questioni, ma non possono essere i soli temi del dibattito. Perché l'attenzione degli italiani non è rivolta solo alla giustizia: oggi tanti italiani sono preoccupati per le condizioni economiche.



Gli italiani, al nord come al sud, sono preoccupati per le condizioni economiche e sociali e per il lavoro: non è propaganda, né demagogia, né "fare il verso" all'opposizione. Sono i problemi delle famiglie. Fli deve fare tutto per affiancare ai due temi del federalismo e della giustizia gli altri temi che davvero interessano i cittadini. Teniamo presente quello che hanno detto il capo dello Stato, le imprese, i lavoratori. Possibile che nei cinque punti non ci sia nulla per far ripartire l'economia e renderla competitiva? C'è un'Italia preoccupata. E Berlusconi ha ragione quando parla di ottimismo, ma non può essere ottimismo solo verbale, deve diventare azione concreta. Perché, fermata la crisi (e il nostro governo ha operato bene in questo senso), oggi dobbiamo far ripartire l'economia. Non possiamo accontentarci che le entrate siano garanzia dell'economia. Serve il coraggio politico di ridare vita a quelle riforme che erano nel programma originale del Pdl e di cui non sento parlare: per esempio, il superamento dei due miti fasulli del Novecento, la lotta di classe e il mercatismo. È arrivato il tempo di dare vita a una sintesi, a nuovo patto tra capitale e lavoro: significa mettere i produttori di ricchezza dalla stessa parte della barricata. Una proposta che feci in occasione di quella direzione nazionale e che è caduta nel nulla, è una riforma del mondo del lavoro. Serve una politica che comprenda le esigenze del nostro mondo produttivo. I piccoli imprenditori lo sanno meglio di tutti. È importante ricordare che il tessuto produttivo è diverso da altri paesi, si basa su imprese medio piccole. Si tagli il superfluo, ma non si lesini in infrastrutture, in ricerca, in produzione di eccellenze di avanguardia. Viviamo in una fase in cui i giacimenti culturali valgono più - nella globalizzazione - dei giacimenti petroliferi. Dobbiamo investire, anche se è evidente che la coperta è corta. Sarebbe facile dire "il governo tiri fuori le risorse". Ma dobbiamo passare dallo scontentare tutti a dire che c'è un settore su cui si deve investire, ed è il settore connesso a ciò che può dare competitività al nostro sistema produttivo. Soprattutto per le nostre imprese che esportano: non basta pensare alla delocalizzazione delle imprese, ma bisogna attrarre capitale e mettere chi vuole nelle condizioni di investire e di poterlo fare.



Vuol dire dare attuazione ai punti qualificanti del programma del Pdl. Non voglio affondare il coltello nel burro ma nonostante il "ghe pensi mi", vi sembra possibile che ancora non si conosca il nome ministro allo Sviluppo economico, in quale altro paese sarebbe possibile?



È chiaro che deve essere un ministro capace di ragionare e lavorare con il ministro dell'Economia. Ed è chiaro che serve una politica capace di liberalizzazioni, una politica che riesca a dare vita al patto generazionale. Perché credo ci sia un altro grande campo in cui un governo di centrodestra che ha a cuore il governo nazionale non deve risparmiarsi: è il contesto giovanile, infatti non esiste genitore degno di questo nome che non sia disposto a fare un sacrificio personale per il futuro dei propri figli.



La questione giovanile è centrale, e mi piange il cuore che tra i giovani ci sia un disoccupato su quattro. C'è chi contrabbanda la flessibilità, che è invece necessaria per l'economia e per le imprese, con la precarietà permanente: dimenticano che in Germania ci sono sì molti contratti a tempo determinato, però lì le buste paga non sono certo leggere come da noi, ma spesso più corpose di quelle dei contratti a tempo indeterminato. E dobbiamo renderci conto che il patto generazionale è importante come quello tra Nord e Sud se abbiamo a cuore il governo nazionale. Perché non è giusto che serva l'aiuto del nonno per far vivere più sereno il nipote: si è completamente ribaltato il mondo, prima spesso era grazie al lavoro del nipote che si sosteneva il nonno.



Poniamoceli questi problemi. Chiediamo ai ragazzi un impegno e quando dico andiamo avanti e non ci fermiamo, lo dico anche perché in queste settimane abbiamo visto come siano i più giovani a dirci "provateci, non vi fermate, siamo con voi". Credo che sia estremamente bello vedere anche qui questa sera tante ragazze e tanti ragazzi che vogliono ancora credere in una politica capace di costruire il loro futuro. Il futuro della libertà. E la prima libertà è metterli nella condizione di far vedere ciò di cui sono capaci. Che fine ha fatto la rivoluzione meritocratica? Preoccupiamoci delle condizioni sociali. Credo che debba destare preoccupazioni in tutti leggere che nell'ambito della cosiddetta spesa sociale il nostro paese è uno degli ultimi paesi in Europa. Ecco perché andrà avanti Futuro e libertà, perché sono servite le fondazioni che hanno riempito un vuoto. È doveroso chiedersi, visto che la società è profondamente cambiata, se la spesa sociale deve essere rivolta a quelle categorie tradizionalmente più deboli o non è il momento di investire su quella famiglia che rimane il luogo in cui da sempre si dà vita alla trasmissione di valori, si crea la condizione per la quale ci si sente figli di una comunità. Serve un welfare delle opportunità per i giovani, basato sulle esigenze della famiglia, soprattutto quella monoreddito. Oggi, il centrodestra deve saper tradurre in realtà ciò che era stato inserito nel programma di governo.


Intervenire con politiche a sostegno delle famiglie vuol dire anche che se nei cinque punti c'è la riduzione del carico fiscale non possiamo annunciarlo e basta ma si deve assume l'onere di fare delle proposte. E noi queste le abbiamo fatte: interveniamo, ad esempio, sul cosiddetto quoziente familiare, che faccia sì che chi ha a casa più figli o un disabile abbia poi un carico fiscale diverso dagli altri. Ed è necessario che di tutto ciò ne parliamo in Parlamento, e mi fa piacere che lo abbia fatto ad esempio il ministro Tremonti. E facciamolo cercando di coinvolgere anche le opposizioni, se hanno delle idee per capire anche se il concetto di interesse nazionale ha fatto breccia anche da quelle parti. Una maggiore giustizia sociale sta a cuore a tutti, un governo grande sa prendere una buona idea anche se viene dall'opposizione. Prendiamo a raccolta questa Italia che lavora. L'Italia che lavora, che poi equivale all'Italia onesta, che quando sente parlare di etica del dovere non ha l'atteggiamento di chi alza le spalle e dice: "È ragnatela del passato". È l'etica che il padre insegna al figlio, e la politica deve sentire il dovere di praticarla.



Il senso civico, il senso di appartenenza. Basta con questo egoismo diffuso, con questa Italia parcellizzata che non si fa più carico del disagio del vicino. Una politica nazionale non ha timore di parlare di legge come garanzia per il più debole. Perché da che mondo a mondo si dice che "la legge è uguale per tutti" perché la garanzia serve ai più deboli, non ai più potenti, a chi riesce a piegarla ai suoi interessi. Questo è il centrodestra. Se crediamo in queste cose, non stanchiamoci di ringraziare chi fa il suo dovere per lo Stato: è gratitudine, è senso civico. Essere servitori dello Stato, nell'Italia che sogniamo, deve essere motivo d'onore. Non si può dire che "sono poveretti che non sanno che altro fare e allora decidono di entrare nelle forze dell'ordine": significa servire il nostro popolo, la nostra patria. E ancora più convinti di prima, portiamo avanti la lotta contro ogni forma di criminalità, compresa quella dei colletti bianchi, dei furbetti del quartierino, di chi pensa che il garantismo è impunità. Continuiamo la lotta per la legalità, rilanciamo il decreto anticorruzione: cosa costa rimetterlo al centro dell'attenzione del Parlamento? Discutiamo sull'opportunità di stabilire un codice etico per chi ha cariche pubbliche. Stabilendo ciò che è legale e ciò che no, ma anche ciò che è opportuno e ciò che non lo è. Su questi temi e su altri, lavoriamo per unire non per dividere. Su queste questioni cerchiamo di dare vita a una politica che segni un salto di qualità. Gli italiani sono stanchi di questa perenne campagna elettorale che non finisce mai, di questo trionfo della propaganda, di questa ordalia quotidiana. Fli guarda a un futuro per unire, siamo convinti che su queste questioni, con un'azione politica che parta dal centrodestra si possano ritrovare anche altri. Gli italiani sono stanchi di muri e di risse, smettiamola con gli insulti, con gli appelli che cadono nel vuoto. Diamo vita a una politica che sia capace di uno scatto di orgoglio, di un colpo di reni, in nome di ciò che è giusto, non di ciò che è utile. Sapete, in molti mi hanno detto: "Chi te lo fa fare? Ma aspetta, sei più giovane!". Ma io credo che se vogliamo ridare all'Italia quella passione che merita.



Basta con l'utilitarismo, basta con il calcolo del farmacista, basta con il meglio attendere domani. Bisogna buttare il cuore oltre l'ostacolo, bisogna dare un senso alla politica e bisogna farlo nel nome delle nostre idee e della nostra concezione politica. Ricordando quello che avevamo nel cuore a 18-20 anni, quando nessuno di noi pensava all'ingresso in Parlamento o a cariche istituzionali e nessuno era mosso dall'utilitarismo, né c'era qualcuno che diceva: «Aspetta non ti conviene, sai è permaloso». Tenendo bene a mente, come ci piaceva dire da giovani, che se un uomo non è disposto a lottare per le proprie idee o non valgono niente le sue idee o non vale niente lui come uomo. Allora, in nome di un centrodestra autenticamente liberale, nazionale, riformatore, sociale, europeo, avanti con Futuro e libertà per l'Italia!


CREDITS: il Secolo d'Italia & Repubblica.it

sabato 4 settembre 2010

11/12.10 – A Milano il gotha del pensiero liberale nella prima European Liberty Conference

di Alberto Manassero



Tra il 25 e il 28 agosto si sono dati appuntamento a Bruxelles i principali gruppi studenteschi liberali e libertari (tra cui Oxford Libertarian Society, l’associazione belga LVSV, il Berlin Manhattan Institute, ecc.) sotto l’egida del Cato Institute, dell’Atlas Research Foundation e dell’Istitute for Economic Studies.

Gli studenti italiani erano rappresentati da una delegazione di Italian Students For Individual Liberty (Isfil), una realtà nata dall’impegno congiunto di associazioni studentesche sullo stile degli Studenti Bocconiani Liberali, ormai diffuse e attive nei più importanti atenei italiani con l’obiettivo di divulgare le ragioni del libero mercato e la tutela delle libertà individuali.Numerose sono state le occasioni di confronto tra i gruppi su tematiche teoriche, ma anche di natura organizzativa: proprio da esse è nato una prima idea di network europeo, capace di catalizzare e realizzare le istanze delle sue diverse componenti.



Il più grande successo di questo summit è forse la stesura di un manifesto intellettuale e programmatico, firmato da tutti i partecipanti all’incontro. In esso, si richiama la necessità di un ritorno alle intenzioni iniziali riguardo al processo di integrazione europeo: la riaffermazione della cultura della libertà, del mercato come teatro della realizzazione personale, privo di impedimenti che possano ostacolare lo sviluppo economico e politico delle nostre società.



Il modello e lo spirito che caratterizzeranno questo network saranno ispirati a Students for Liberty, la più grande organizzazione studentesca liberale americana, che coinvolge più di diecimila studenti nei campus universitari americani attraverso attività divulgative e scientifiche.



Il nostro Paese ha bisogno, più di ogni altro, di un’iniezione di cultura liberale e riformista: chi meglio di un gruppo studentesco, scevro da ogni condizionamento politico, che fa della qualità e’ delle risorse umane coinvolte il proprio punto di forza, può riuscire in questo ambizioso progetto?



Il nostro gruppo svolge un ruolo leader nella costituzione di questa nuova organizzazione europea, come testimoniato dall’organizzazione della European Liberty Conference che si terrà all’Università Bocconi di Milano l’11 e il 12 di Ottobre. La conferenza, che vedrà tra i suoi protagonisti alcuni tra i più significativi esponenti del pensiero liberale e libertario contemporaneo, rappresenta uno degli step più importanti verso la concretizzazione del progetto unitario a cui si accennava. Anthony De Jasay, Francesco Giavazzi, Loren Lomasky, Mario J. Rizzo, John Hasnas, Jim Lark sono solo alcuni degli speaker della prossima conferenza. Si discuterà di crisi economica, del rapporto tra liberalismo classico e democrazia, di global warming, ma anche di strategie per la diffusione della libertà individuale.



E’ un appuntamento unico sia da un punto di vista scientifico, sia perché costituisce un momento di rottura rispetto al tradizionale paradigma culturale italiano, sostenuto dall’iniziativa di molti esponenti del panorama liberale italiano, europeo e mondiale.



Da Milano, dunque, partirà la riconquista palmo per palmo dei territori strappati al liberalismo e alla libertà individuale dalla burocrazia, dalle tasse, dai monopoli legali e, ultima, dalla lettura strumentale e sbagliata della crisi economica. Una battaglia non facile, che necessita di passione, impegno, erudizione. E di sostenitori convinti, che non si sentano condannati a rassegnarsi.



European Liberty Conference, Milano 11, 12 ottobre





CREDITS: ISFIL & GenerazioneItalia

11/12.10 – A Milano il gotha del pensiero liberale nella prima European Liberty Conference

di Alberto Manassero



Tra il 25 e il 28 agosto si sono dati appuntamento a Bruxelles i principali gruppi studenteschi liberali e libertari (tra cui Oxford Libertarian Society, l’associazione belga LVSV, il Berlin Manhattan Institute, ecc.) sotto l’egida del Cato Institute, dell’Atlas Research Foundation e dell’Istitute for Economic Studies.

Gli studenti italiani erano rappresentati da una delegazione di Italian Students For Individual Liberty (Isfil), una realtà nata dall’impegno congiunto di associazioni studentesche sullo stile degli Studenti Bocconiani Liberali, ormai diffuse e attive nei più importanti atenei italiani con l’obiettivo di divulgare le ragioni del libero mercato e la tutela delle libertà individuali.Numerose sono state le occasioni di confronto tra i gruppi su tematiche teoriche, ma anche di natura organizzativa: proprio da esse è nato una prima idea di network europeo, capace di catalizzare e realizzare le istanze delle sue diverse componenti.



Il più grande successo di questo summit è forse la stesura di un manifesto intellettuale e programmatico, firmato da tutti i partecipanti all’incontro. In esso, si richiama la necessità di un ritorno alle intenzioni iniziali riguardo al processo di integrazione europeo: la riaffermazione della cultura della libertà, del mercato come teatro della realizzazione personale, privo di impedimenti che possano ostacolare lo sviluppo economico e politico delle nostre società.



Il modello e lo spirito che caratterizzeranno questo network saranno ispirati a Students for Liberty, la più grande organizzazione studentesca liberale americana, che coinvolge più di diecimila studenti nei campus universitari americani attraverso attività divulgative e scientifiche.



Il nostro Paese ha bisogno, più di ogni altro, di un’iniezione di cultura liberale e riformista: chi meglio di un gruppo studentesco, scevro da ogni condizionamento politico, che fa della qualità e’ delle risorse umane coinvolte il proprio punto di forza, può riuscire in questo ambizioso progetto?



Il nostro gruppo svolge un ruolo leader nella costituzione di questa nuova organizzazione europea, come testimoniato dall’organizzazione della European Liberty Conference che si terrà all’Università Bocconi di Milano l’11 e il 12 di Ottobre. La conferenza, che vedrà tra i suoi protagonisti alcuni tra i più significativi esponenti del pensiero liberale e libertario contemporaneo, rappresenta uno degli step più importanti verso la concretizzazione del progetto unitario a cui si accennava. Anthony De Jasay, Francesco Giavazzi, Loren Lomasky, Mario J. Rizzo, John Hasnas, Jim Lark sono solo alcuni degli speaker della prossima conferenza. Si discuterà di crisi economica, del rapporto tra liberalismo classico e democrazia, di global warming, ma anche di strategie per la diffusione della libertà individuale.



E’ un appuntamento unico sia da un punto di vista scientifico, sia perché costituisce un momento di rottura rispetto al tradizionale paradigma culturale italiano, sostenuto dall’iniziativa di molti esponenti del panorama liberale italiano, europeo e mondiale.



Da Milano, dunque, partirà la riconquista palmo per palmo dei territori strappati al liberalismo e alla libertà individuale dalla burocrazia, dalle tasse, dai monopoli legali e, ultima, dalla lettura strumentale e sbagliata della crisi economica. Una battaglia non facile, che necessita di passione, impegno, erudizione. E di sostenitori convinti, che non si sentano condannati a rassegnarsi.



European Liberty Conference, Milano 11, 12 ottobre





CREDITS: ISFIL & GenerazioneItalia

11/12.10 – A Milano il gotha del pensiero liberale nella prima European Liberty Conference

di Alberto Manassero


Tra il 25 e il 28 agosto si sono dati appuntamento a Bruxelles i principali gruppi studenteschi liberali e libertari (tra cui Oxford Libertarian Society, l’associazione belga LVSV, il Berlin Manhattan Institute, ecc.) sotto l’egida del Cato Institute, dell’Atlas Research Foundation e dell’Istitute for Economic Studies.
Gli studenti italiani erano rappresentati da una delegazione di Italian Students For Individual Liberty (Isfil), una realtà nata dall’impegno congiunto di associazioni studentesche sullo stile degli Studenti Bocconiani Liberali, ormai diffuse e attive nei più importanti atenei italiani con l’obiettivo di divulgare le ragioni del libero mercato e la tutela delle libertà individuali.Numerose sono state le occasioni di confronto tra i gruppi su tematiche teoriche, ma anche di natura organizzativa: proprio da esse è nato una prima idea di network europeo, capace di catalizzare e realizzare le istanze delle sue diverse componenti.

Il più grande successo di questo summit è forse la stesura di un manifesto intellettuale e programmatico, firmato da tutti i partecipanti all’incontro. In esso, si richiama la necessità di un ritorno alle intenzioni iniziali riguardo al processo di integrazione europeo: la riaffermazione della cultura della libertà, del mercato come teatro della realizzazione personale, privo di impedimenti che possano ostacolare lo sviluppo economico e politico delle nostre società.

Il modello e lo spirito che caratterizzeranno questo network saranno ispirati a Students for Liberty, la più grande organizzazione studentesca liberale americana, che coinvolge più di diecimila studenti nei campus universitari americani attraverso attività divulgative e scientifiche.

Il nostro Paese ha bisogno, più di ogni altro, di un’iniezione di cultura liberale e riformista: chi meglio di un gruppo studentesco, scevro da ogni condizionamento politico, che fa della qualità e’ delle risorse umane coinvolte il proprio punto di forza, può riuscire in questo ambizioso progetto?

Il nostro gruppo svolge un ruolo leader nella costituzione di questa nuova organizzazione europea, come testimoniato dall’organizzazione della European Liberty Conference che si terrà all’Università Bocconi di Milano l’11 e il 12 di Ottobre. La conferenza, che vedrà tra i suoi protagonisti alcuni tra i più significativi esponenti del pensiero liberale e libertario contemporaneo, rappresenta uno degli step più importanti verso la concretizzazione del progetto unitario a cui si accennava. Anthony De Jasay, Francesco Giavazzi, Loren Lomasky, Mario J. Rizzo, John Hasnas, Jim Lark sono solo alcuni degli speaker della prossima conferenza. Si discuterà di crisi economica, del rapporto tra liberalismo classico e democrazia, di global warming, ma anche di strategie per la diffusione della libertà individuale.

E’ un appuntamento unico sia da un punto di vista scientifico, sia perché costituisce un momento di rottura rispetto al tradizionale paradigma culturale italiano, sostenuto dall’iniziativa di molti esponenti del panorama liberale italiano, europeo e mondiale.

Da Milano, dunque, partirà la riconquista palmo per palmo dei territori strappati al liberalismo e alla libertà individuale dalla burocrazia, dalle tasse, dai monopoli legali e, ultima, dalla lettura strumentale e sbagliata della crisi economica. Una battaglia non facile, che necessita di passione, impegno, erudizione. E di sostenitori convinti, che non si sentano condannati a rassegnarsi.

European Liberty Conference, Milano 11, 12 ottobre


CREDITS: ISFIL & GenerazioneItalia